La lettura della tragedia di San Lorenzo ha avuto numerose chiavi. Al solito la cronaca ha attirato interpretazioni ed accaparramenti: l’ordine, le case occupate, gli immigrati, la sicurezza.

A me la vicenda mi ha fatto invece venire in mente una parola, cosificazione.

Quel corpo martoriato, quel corpo violato, quel corpo irriconoscibile non è il corpo di Desirée, non è Desirée.

Il corpo esanime di una persona cessa di essere la protesi della sua intenzione, cessa di essere il cane fedele che ti porta nel mondo, che ti permette di interagire col mondo, di trasformarlo.

La radice profonda della violenza sta nel fatto il fatto di trasformare l’altro in una cosa, di negare la sua intenzione, la sua umanità. Questo è stato fatto con Desirée in un modo così estremo e così evidente. Nel modo della violenza sessuale e del femminicidio. Ma nulla di differente succede tutti i giorni, quando il nostro corpo e le intenzioni che esso esprime sono trasformate in cose, in modo che le intenzioni degli altri possano vincere. Nulla di differente accade nella normalità di tutti i giorni e molta di questa cosificazione è tranquillamente considerata normalità.

Questa forma di violenza sommerge le persone ed anche  i popoli in una supposta naturalità: le donne, i negri, i poveri, i disabili ecc ecc.
Trasformare l’altro in cosa, in protesi della mia intenzione, appropriarsi delle sue possibilità e trovare il modo di giustificare ideologicamente questa azione è una caratteristica tipica delle classi dominanti e del sistema mentale che esse generano e che finisce per contaminare il pensiero di ognuno, molto spesso in un livello sostanzialmente incosciente, nel senso letterale che uno non se ne rende conto.

Quindi la lotta nonviolenta è una lotta cosciente per la trasformazione di questa forma mentale dominante, e questa lotta comincia da ognuno di noi nel riconoscimento di tutte le forme di violenza, di cosificazione che percepiamo dentro di noi e che finiscono per condizionare le altre persone e l’ambiente sociale in cui viviamo.

Questa lotta non può fermarsi lì, deve necessariamente estendersi ad altri, raggiungere altri, creare rapporti solidali con altri, generare umanità. C’è una risposta umana alla barbarie e consiste nel riconoscere l’altro come diverso da me e come essere prezioso, unico, da trattare con amorevolezza. E questo trattamento, quello della Regola d’Oro, non ammette eccezioni perché, nell’ammetterle, ricadiamo di nuovo nella cosificazione, nella disumanizazione e nella violenza.

Quando parliamo di nuovo mondo parliamo di quest’atteggiamento, questo sistema di relazioni radicalmente diverso che scorgiamo in alcune situazioni della nostra vita, in certi ambiti “privilegiati” in cui c’è toccato vivere. Dobbiamo imparare a riconoscere questo sistema di relazioni, a costruirlo, a rafforzarlo perché è a partire da questo cambiamento di mentalità e relazioni che può nascere qualcosa di nuovo che ci permetta di veder uscire l’Essere Umano dall’apparente stato di nonsenso in cui si è cacciato.