La nave Aquarius della ONG SOS Méditerranée con i suoi 630 migranti a bordo, dopo 9 nove giorni di navigazione nel Mediterraneo è finalmente giunta nel porto di Valencia. La vicenda è stata al centro di un braccio di ferro tra il governo italiano e l’Unione Europea sul tema immigrazione. Nodo della questione è il Trattato di Dublino che stabilisce quale paese prende in carico la richiesta di protezione internazionale da parte di un rifugiato che ha varcato illegalmente i confini dell’UE.

L’episodio dell’Aquarius, destinato purtroppo a ripertersi, ha dato nuova linfa al dibattito, – soprattutto nelle cosiddette sinistre – sul fenomeno dell’immigrazione coinvolgendo le categorie di razzismo e antirazzismo, destra e sinistra, capitalismo e socialismo, sovranismo e internazionalismo, morale e immorale, mondialismo e mondializzazione.
Tutto questo per giustificare, a secondo dello schieramento, l’apertura o la chiusura dei porti oppure la creazione di centri di raccolta di rifugiati dentro o fuori i confini europei. In sintesi accogliere o non accogliere.
In questa discussione sull’accoglienza c’è però molta confusione tra ciò che significa accogliere e quello che il sistema mette in atto di fronte al fenomeno migratorio mondiale. Il sistema non accoglie, il sistema importa. E allora chi dovrebbe accogliere? Dovrebbero accogliere quelle fasce della popolazione autoctona che, come i migranti, sono vittime del sistema disumano in cui viviamo. Come non vedere che i migranti bussando alle nostre porte sollevano le contraddizioni del Sistema? Come non vedere che la sofferenza da cui provengono, sia essa una guerra, la violenza economica o quella politica, rappresenta quotidianamente l’ipocrisia del Sistema? Come non cogliere che i migranti sono una risorsa che non dovrebbe essere lasciata in mano al Sistema.
Fino a quando ci si porrà di fronte a questo fenomeno storico e mondiale con i se e con i ma, si farà sempre il gioco del Sistema, il quale come ha già fatto nei secoli passati procede verso l’integrazione e non verso l’accoglienza. Farà dei rifugiati e diseredati di tutto il mondo il proprio esercito di difesa.
Bernie Sanders, leader della “sinistra” statunitense, nel 2015 diceva che aprire le frontiere è una proposta di destra perché arricchirebbe i poveri del mondo a scapito dei cittadini americani mettendo fine al concetto di Stato Nazione. Con quelle affermazioni Sanders mostra quel cinismo raffinato tipico della cattiva coscienza occidentale che non fu però sufficiente davanti al cinismo rozzo del suo avversario politico Trump. Infatti, con un più schietto “America fisrt”, Trump è diventato Presidente degli States. La solita storia: quando la sinistra propone gli stessi argomenti della destra finisce per far vincere la destra neofascista.
“Sono stufo di vedere morire bambini in mezzo al mare” diceva Salvini, Ministro dell’Interno del governo M5S/Lega, in Parlamento pochi giorni fa. “Che vadano a morire a casa loro!” avrebbe dovuto aggiungere se fosse stato più sincero. Questa è la cattiva coscienza a cui ci riferiamo.
Non vogliono superare la sofferenza e il dolore delle popolazioni, vogliono semplicemente starne lontani. Non hanno il coraggio di dire sinceramente che si rappresentano come dei dominatori, degli sfruttatori, dei privilegiati, dei violenti. Hanno bisogno di dire che hanno figli, mogli, mariti, genitori, e che hanno amici negri, disabili, omosessuali, disoccupati e precari per giustificare che loro no, non sono disumani, stanno solo facendo i tuoi interessi e che quelli lì, quegli altri, quelli al di là della frontiera, al di là del mare, quei figli, mogli, mariti, genitori, negri, disabili, omosessuali, disoccupati e precari non sono come gli altri, sono diversi e bisogna che stiano a casa loro, che non disturbino troppo, che muoiano a casa loro, lontano dai nostri occhi e dalla nostra vita tranquilla. “Quelli lì, sono troppi! Non ce la facciamo a integrarli tutti!”

Bernie Sanders ci dice che bisogna difendere lo Stato Nazione e quasi lascia intendere che quelle popolazioni migranti costituiscono la minaccia, il pericolo da cui bisogna difendersi. Difendere cosa precisamente? la propria ricchezza? o la propria emarginazione, la propria precarietà? Difendere il proprio padrone?
Difenderci da chi? dai diseredati, dai senza terra, dagli avventurieri pronti a tutto in cerca di un futuro?
O non dovremmo invece difenderci dai malati, dagli infermi, dagli schiavi di questo Sistema, di quelli cioè che questo Sistema lo sostengono e lo mantengono?

Siamo in un periodo di crisi, una crisi dell’identità senza precedenti in cui i due fenomeni più importanti del dopoguerra, la regionalizzazione e la migrazione sono talmente mal digeriti che siamo ai conati di vomito, ai rigurgiti, ai reflussi gastroesofagei. I politici parlano agli stomaci perché gli stomaci non digeriscono più. Esalazioni, effluvi malsani irritano il pensiero. Il sistema nervoso è debole. In questi momenti di crisi ecco che si risponde con un sentimento religioso. Le cose non si fanno più per rispondere alla necessità ma al desiderio sconnesso dalla necessità. Le cose si fanno per fede. Si vive per fede.

Spesso si parla di nuova religiosità ma religione viene da “religare”.
Ma cos’è questa nuova religiosità che non relaziona che non mette insieme, che non accorda, che non lega gli uni agli altri. E’ semplicemente il fanatismo della frustrazione, del risentimento, della vendetta, del fallimento rimosso!
Abbiamo oggi due fenomeni umani planetari in moto da secoli e forse da millenni. Uno si chiama mondializzazione e l’altro migrazione. Sono fenomeni interconnessi, dalla forza tremenda perché in modi diversi fanno tremare i polsi della coscienza sociale. Ci si agita nel tentativo di governarli ma ogni volta al loro cospetto tutti falliscono, dimostrando di non essere nemmeno lontanamente all’altezza dei tempi e nemmeno dell’umano.
Come sia possibile riempirsi la bocca di parole come “progresso” e “cambiamento” senza abbandonare quell’effimero e insulso senso di appartenenza a una patria, uno stato, una nazione. Ma quale sovranismo, ma quale internazionalismo? di che si parla? Parlano dei moribondi, vogliono resuscitare i morti!
Ecco la sola, vera e grande illusione dei migranti: credono che quando arriveranno troveranno la vita quando in realtà dovranno abituarsi a vivere in un cimitero. Integrati sì, ma in un cimitero.

Sono certo, anzi strasicuro che questo discorso risulterà per alcuni ingenuo, superficiale, strampalato, radical-chic, comunista o magari di destra. Già li sentiamo dire “accoglili a casa tua!”, “dov’è il denaro?”, “stacci tu in mezzo a ‘sti negri!”, “ci incontreremo alla mensa della Caritas”. Cercheranno anche di argomentare. Faranno notare che l’immigrazione fa abbassare i salari, che rimpingua le schiere di schiavi di ogni tipo, che produrrà altre sacche di emarginazione, che aumenterà la criminalità e magari ci sarà pure chi si farà esplodere in un vagone della metropolitana.

Come non riconoscere in quei pensieri, i quei commenti, in quelle affermazioni una certa tanatofilia, un amore per il funebre, per il funereo. Si difendono i cimiteri, i sepolcri imbiancati.

Quando si starà dalla parte della vita?

Ecco perché dobbiamo accoglierli tutti, ecco perché dobbiamo aprire le frontiere. Non si può continuare a vivere nei cimiteri monumentali dell’ipocrisia. Dobbiamo aprire ai migranti affinché con i marmi delle tombe si edifichi la Nazione Umana Universale.

Articolo originale: https://csusalvatorepuledda.wordpress.com/2018/06/17/sono-per-laccoglienza-senza-se-e-senza-ma/