Qui ho compiuto molto di quello che mi ero proposto e i miei figli continuano a crescere”. Con queste parole Paul Ryan ha annunciato che alla fine di questa legislatura avrebbe lasciato il suo incarico di parlamentare e di speaker della Camera. Parlare della famiglia al momento di uscire dalla scena politica sembra essere divenuto quasi banale. Per quanto riguarda i risultati si tratta di una storia molto diversa.

Ryan fu eletto alla Camera per la prima volta nel 1998 all’età di 28 anni e rieletto ogni due anni, l’ultima delle quali nel 2016. Nel 2007 fu nominato presidente della potente Commissione del Bilancio alla Camera e nel 2012 fu scelto da Mitt Romney come suo vice nella corsa presidenziale, vinta alla fine da Barack Obama. Poi nel 2015, dopo le dimissioni di John Boehner, speaker della Camera, Ryan fu eletto a sostituirlo anche se lo fece con poco entusiasmo, accettando l’incarico per mettere fine alle “guerre” interne del Partito Repubblicano.

Ryan ci ha spiegato di essere soddisfatto del suo lavoro alla Camera, ma un’analisi delle sue idee e piani ci chiarisce che è riuscito a fare ben poco di quello che si era proposto. Ryan era grande ammiratore di Ayn Rand, la scrittrice americana di origini russe, che sosteneva la virtù dell’egoismo etico rifiutando l’altruismo. Partendo da questo principio si capisce la filosofia politica di Ryan, che ha sempre auspicato i tagli fiscali e di conseguenza la riduzione dei programmi sociali. Ryan crede che i poveri non vadano aiutati con programmi governativi, perché questo eliminerebbe l’incentivo per fare progressi economici e sociali. Ryan ha sempre voluto spingere per riformare il programma di Social Security e il Medicare privatizzandoli, preoccupandosi anche del deficit e del debito federale. L’insostenibilità di queste spese governative, secondo Ryan, doveva condurre a tagli costanti, i quali sarebbero stati accompagnati da riforme ai programmi sociali, il metodo migliore per aiutare le classi povere.

I successi legislativi di Ryan sono però limitatissimi. Ha fallito persino con la revoca della tanto odiata Obamacare, la riforma sanitaria di Obama. Ryan da speaker, era riuscito a farla revocare alla Camera, ma appena il disegno di legge è arrivato al Senato è stato bocciato, anche se con un margine risicato (51 no, 49 sì). Nonostante la maggioranza in ambedue le Camere e il controllo della Casa Bianca, Ryan e il suo partito hanno fatto poco per fare approvare le loro leggi. L’eccezione, come si ricorda, è stata la riforma fiscale del 2017, che ha tagliato le imposte principalmente a beneficio delle corporation e le classi abbienti. Il tanto odiato deficit di Ryan però è rimasto vivo, diminuendo solo nell’amministrazione di Obama a 438 miliardi per il 2015. Nel 2016 è aumentato a 584 miliardi e nel 2017 a 666 miliardi. Aumenterà ancora nel 2018 a 800 miliardi e arriverà a 1.000 miliardi nel 2020. Il debito pubblico è anche aumentato a più di 20.000 miliardi.  Per quanto riguarda il Social Security e il Medicare, Ryan non è riuscito a toccarli in quanto troppo popolari e il suo partito li ha considerati politicamente tossici. Un bilancio dunque che riflette poco i successi citati da Ryan quando ha annunciato di voler lasciare la politica.

Il più grande demerito di Ryan però si trova nella sua debole difesa dei valori dell’establishment repubblicano messi da parte per l’arrivo del ciclone Donald Trump.  Durante la campagna elettorale del 2016 Ryan ha cercato, anche se debolmente, di prendere le distanze da alcune delle dichiarazioni più offensive del tycoon, dicendo che non riflettono i valori del Partito Repubblicano. Dopo l’elezione, però, Ryan ha fatto quello che voleva il 45esimo presidente, mettendo da parte le riforme tanto sognate sul Social Security e Medicare perché mancava il supporto della Casa Bianca. In effetti, Ryan è divenuto “soldato” di Trump riconoscendo la sconfitta dell’establishment repubblicano e accettando le vicissitudini dell’inquilino della Casa Bianca.

L’uscita di scena di Ryan si aggiunge a quelle di più di altri quaranta parlamentari che non correranno per la rielezione  nel mese di novembre. La rinuncia di Ryan è la più visibile e potrebbe incoraggiare altri a seguire il suo esempio. Si prevede una vittoria democratica alle elezioni di midterm a novembre e una susseguente conquista della maggioranza della Camera e forse anche del Senato. L’assenza di Ryan è stata interpretata da alcuni come una maniera di evitare la macchia del probabile tracollo e di essere considerato responsabile  per la disfatta. Ciononostante, Ryan ha dichiarato che parteciperà alla campagna politica aiutando i candidati repubblicani, suscitando però seri dubbi sull’efficacia dei suoi contributi. I grandi finanziatori del Partito Repubblicano hanno già cominciato ad esprimere notevoli riserve sul fatto che i loro investimenti porteranno i frutti desiderati.

Alcuni leader del Partito Repubblicano spingeranno però per le sue dimissioni anticipate da speaker perché da anatra zoppa (espressione usata per designare un politico che a dispetto del ruolo sta perdendo il suo effettivo potere, N.d.R.) potrebbe fare ben poco per aiutare i candidati repubblicani a ottenere esiti positivi alle urne. Inoltre l’uscita di scena dello speaker creerà un’altra contesa fra le due ali del Partito Repubblicano per la sua sostituzione. Una battaglia che i repubblicani avrebbero voluto risparmiarsi poiché intorbidisce le acque in un momento critico in cui si dovrebbero spendere tutte le energie per evitare la perdita della maggioranza alla Camera.

Appena sentito l’annuncio delle dimissioni di Ryan, Randy Price, il candidato democratico nel distretto dello speaker, ha espresso l’obiettivo di “revocare e rimpiazzare” il loro avversario. Price ha continuato dicendo che con le dimissioni “la revoca” è stata compiuta; rimane solo da vincere a novembre e portare a termine  la sostituzione.