Via Padova è una strada della periferia milanese lunga più di quattro chilometri. La sua popolazione è cresciuta nel corso del Novecento grazie all’industria, che ha attirato masse crescenti di manodopera dalle campagne lombarde e da altre regioni d’Italia.

Non si tratta di un’area omogenea, ma di un susseguirsi di quartieri diversi per qualità urbanistiche e sociali. Via Padova ha però una storia di immigrazione alle spalle e ha conservato questa caratteristica. Una volta che si sono affievoliti gli arrivi dal Sud dell’Italia, negli ultimi venti anni ha accolto migliaia di persone provenienti dall’estero: dall’Africa (Maghreb soprattutto, ma anche altre regioni), dall’America Latina, dall’Asia (Cina, Filippine, Bangladesh), dall’Europa orientale e balcanica. In via Padova si parlano dozzine tra lingue e dialetti (italiani e stranieri) e sono ormai numerosissimi i negozi e i ristoranti gestiti da immigrati stranieri. Questo è un ritratto sommario della zona, ma chi vuole approfondire l’argomento trova diversi libri, tra i quali, di recente uscita, Via Padova e dintorni. Identità e storia di una periferia milanese, pubblicato dall’Associazione la Casa del Sole-Amici del Parco Trotter.

In via Padova da diversi giorni sta circolando un comunicato dal titolo forte e inequivocabile: “Via Padova rifiuta il razzismo”. Il comunicato ha a che fare con la manifestazione di sapore razzista che si è svolta nella via sabato 24 febbraio, pochi giorni prima delle elezioni. Quel giorno, un non numeroso gruppo di sostenitori di Fratelli d’Italia, con in testa Giorgia Meloni e altri esponenti di questa forza politica – tra cui i milanesi fratelli La Russa e De Corato, già vicesindaco della città – sono arrivati in via Padova per “riprendersela”, cioè, a loro detta, sottrarla agli stranieri, alla criminalità e al degrado (questo è stato annunciato ai media). Per farlo sono arrivati in via Padova con una bandiera italiana probabilmente più corta della misura annunciata (250 metri), ma comunque di notevole lunghezza. Il corteo, che ha sfilato in una via pressoché deserta, è stato più volte contestato, in particolare all’altezza di via Chavez, dove un gruppo di residenti impegnati in associazioni che operano nella zona ha esposto uno striscione ricavato da un lenzuolo con questa frase: “Noi ci occupiamo di via Padova ogni giorno, voi pensate solo alle vostre poltrone”.

In tema di immigrazione e di problemi a questa connessi, via Padova è da qualche anno una sorta di simbolo negativo e una fonte alla quale attingere ogni qualvolta si presenti l’occasione. Via Padova è diventata una sorta di marchio che ormai assicura buoni ritorni di audience: più volte, negli ultimi anni, episodi di criminalità accaduti nell’area nord-orientale di Milano sono stati collocati da giornali e televisioni “vicino a via Padova”, anche quando la distanza tra i fatti e la via superava qualche chilometro. E assicura ritorni in voti: nelle ultime elezioni il Municipio 2 è stato riconquistato dalla Lega dopo la parentesi, peraltro più che dignitosa, di centro-sinistra. L’attuale presidente del Municipio 2 Samuele Piscina, a poche settimane dalle elezioni aveva “festeggiato” il suo personale 25 aprile facendosi ritrarre con altri militanti della Lega mentre prendeva a martellate le povere cose lasciate dai rom di via Idro dopo lo sgombero del campo (per queste gesta Samuele Piscina è stato denunciato per istigazione al razzismo). Via Padova è diventata un terreno fertile: se si semina si raccoglie, utilizzando spregiudicatamente certi temi controversi tra i quali, non c’è bisogno di dirlo, figura l’immigrazione.

Tornando a noi, il 24 febbraio in via Padova era già programmato un altro evento, un incontro promosso da numerose associazioni per discutere sui destini dell’ex convitto del Trotter, i cui lavori di ristrutturazione, finanziati con risorse messe a disposizione della Fondazione Cariplo e del Comune, sono ormai finiti. Sono state queste associazioni, irritate per la nuova strumentalizzazione della via a fini propagandistici ed elettorali, che hanno deciso di scrivere il comunicato e di inviarlo alla stampa, che però lo ha ignorato (documentando però le contestazioni). Così il comunicato è stato rilanciato via facebook e in pochi giorni ha raccolto oltre quattrocento adesioni, tra le quali sono cinquanta quelle di associazioni, forze politiche e altre realtà varie (tra esse, per esempio, c’è una libreria, un teatro, la squadra del Sanga Basket, che sta facendo parlare di sé nel mondo del basket).

Fondamentalmente, ciò che si propongono i promotori del comunicato è di creare un “fatto”, che possibilmente riesca a rompere il silenzio dell’informazione sull’altra faccia della via: quella che conosce bene i problemi di via Padova, ma che non li addossa indiscriminatamente al capro espiatorio più redditizio in termini di clamore o di consensi; che è aperta e solidale; che è consapevole che nelle scuole della zona (a cominciare da quella del Trotter) c’è un pezzo del futuro dell’Italia, che è multietnico e multiculturale. Si propongono inoltre di costruire un argine contro il razzismo, che se in altri posti d’Italia procura danni ormai seri (si pensi a Macerata e a Firenze), qui potrebbe provocare lacerazioni profonde e conflitti molto acuti.

Venerdì 9 marzo alle 21 i promotori di “Via Padova rifiuta il razzismo” si incontreranno a Villa Pallavicini, sede di un’associazione molto attiva in zona con progetti di assistenza e di integrazione rivolti agli immigrati. Discuteranno di come proseguire la campagna antirazzista, con lo sguardo rivolto al problematico futuro.