Me lo ricordo il clima del 2010 quando per la prima volta dal dopoguerra la destra vinse in città. Me lo ricordo perché in quella campagna elettorale furono sdoganati. Pochi ma forti della vittoria della ‘parte loro’, sicuri di nuove coperture in città, portarono ad aggressioni fasciste ogni due giorni. L’assalto al Barattolo con le mazze prima di chiuderlo e poi la primavera del 2010 quando ti aspettavano nelle vie vicine a dove facevi le riunioni, in quelle vicine a dove a mattina finivi le feste. La digos ad ogni conferenza, ad ogni iniziativa della campagna del CNSU, a volte sotto casa tua.
In questi otto anni sono successe tante cose in città, e nel Paese, e ai nuovi fascisti è stato sempre concesso più spazio.
Politico, per inadeguatezza di proposta di tutte le altre forze politiche e per le risposte inadeguate delle istituzioni.
Di visibilità, perchè i media fanno parlare tutti e i rossi (?!) contro i neri fanno sempre un po’ notizia di ‘quiete cittadina turbata’.
Di spazio fisico vero e proprio, perché gli anticorpi democratici in questa folle epoca sono troppo deboli per evitare di far aprire loro sedi permanenti in città o di non abituarsi ai loro diversi tipi di propaganda.
Coperti e difesi, da chi più da chi meno, da tutte le istituzioni, dall’indifferenza di un’opinione pubblica orientata dalle varie narrazioni che il tutto ormai sia solo una lotta tra bande, una questione chiusa 70 anni fa, un rimasuglio delle guerre ideologiche degli anni 70, di storiacce vetero, ormai superate. E quindi via, tra silenzio ed alzate di spalle li si è fatti sfilare per le vie del centro, in parata militare e vessilli nazifascisti per anni; nel 2016 addirittura il sabato sera in città, con gli antifascisti -per i più- a far le macchiette non autorizzate per provare a far deviare il percorso, come se fosse tutto solo un Risiko politico, autoreferenziale e quasi autoerotico. Come se non ci fosse una questione Costituzionale vera, un allarme democratico, oltre che un problema di quiete cittadina nel far sfilare i peggiori 400 nazisti d’Italia nel cuore di una capitale della resistenza padana. E quindi manganellate sui non autorizzati, tra un senatore, due parlamentari, pezzi di giunta cittadina e del consiglio comunale e le massime cariche sociali della provincia; e poi di nuovo via al circo delle denunce, dai capi d’imputazione, dalla strategia della tensione giudiziaria sugli ultimi poi finita con la solita bolla di sapone. Otto anni così, fino a stanotte.
Stanotte sono andati fuori dalle case delle decine di antifascisti pavesi che in questi anni – con costanza e intelligenza – non hanno abbassato la guardia democratica e gli hanno marchiato lo stipite della porte con un adesivo che dice, in italiano ovviamente claudicante, “qui ci abita un antifascista”: una croce sopra e il loro bel carattere fascista a corredo. Case diverse in parti della città opposte, senza guardare il lavoro che uno svolge o che ruolo hanno nella città; qualcuno che vive in casa indipendente altri in condominio, qualcuno lì da sempre altri da poco più di un mese. Il giorno prima del voto, in pieno silenzio elettorale, escono così, perché in questo clima d’odio nazionale sanno che lunedì mattina l’urna elettorale premierà loro, grazie alla tensione politica e sociale di queste settimane. Tutto costruito con la stessa ricetta pavese sopra elencata ma solo su scala nazionale. Identico: la politica inadeguata che dorme, le Istituzioni che li proteggono, l’indifferenza dei molti e le fratture laceranti nel fronte democratico.
Sono partiti da Pavia ma lo faranno ovunque, perché si sono riorganizzati già da tempo mentre si guardava altrove. Da lunedì si sentiranno ancora più forti, tireranno fuori ancor più la testa e sarà sempre peggio: provocazioni, minacce, violenze.
Quelli senza famiglia come me se ne possono anche egoisticamente fregare, ma gli adesivi questa mattina erano pure sulle porte di famiglie e sinceramente se ne avessi una non sarei così sereno: avrei paura per i miei cari.
Questo è quello che ci aspetta nel Paese da lunedì e nei prossimi anni: servono risposte adeguate, ognuno con il ruolo che ha nella società. Soprattutto, credo, servirebbe una società civile che riscopra l’impegno democratico e che capisca che è finito il tempo di leggere il giornale la mattina e dire che, alla fine, è sufficiente capire che non è una cosa normale quello che sta accadendo.
Indignarsi e basta, non basta più.
(Ah e comunque si: QUI ABITA UN ANTIFASCISTA, avanzi fognari)

Michele Orezzi

L’articolo originale può essere letto qui