un’intervista a Marielle Franco, 8 marzo 2017
Marielle Franco, vittima di un attentato a Rio de Janeiro il 14 marzo 2018, era stata intervistata dal settimanale Brasil de Fato l’otto marzo 2017. Era iniziato da poco il suo mandato di consigliera comunale.
L’elezione di Marielle Franco (PSOL) come consigliera comunale a Rio de Janeiro ha rappresentato uno dei fenomeni più rilevanti negli ultimi tempi. Donna, nera, nata e cresciuta nel Complexo da Maré, che conta 130 mila abitanti nelle 16 favelas a nord di Rio, attivista dei diritti umani e sociali, Franco è stata la quinta candidata più votata alle elezioni comunali del 2016 con 46 mila preferenze. Dall’entrata in vigore del suo mandato, nel gennaio di quest’anno, ha presentato numerosi progetti mirati a rafforzare i diritti delle donne. Il primo è il progetto di legge «Per rendere accessibile l’aborto legale», volto alla formazione del personale sanitario con l’obiettivo di garantire programmi d’informazione e la presa in carica delle donne che hanno diritto all’aborto in caso di anencefalia del feto, di rischio di morte e di stupro. Durante la Settimana internazionale delle donne, Marielle ha parlato con Brasil de Fato delle sfide da affrontare, della necessità di discutere del femminismo e di alcune proposte del suo mandato.
Brésil de Fato: Perché è importante ancora oggi parlare di femminismo?
Marielle: Per assicurarsi che le donne non siano in posizioni secondarie. Per evitare lo statuto d’invisibilità nel quale vogliono metterci. Noi dobbiamo occupare tutti gli spazi nei quali siamo protagoniste. L’otto marzo è importante scendere in piazza e parlare pubblicamente, perché, nella misura in cui ci sono delle donne che parlano, entra il gioco il dibattito sul femminismo, la violenza di genere e il razzismo, e questo fa la differenza.
Recentemente lei ha raccontato, sulla sua pagina Facebook, il razzismo di cui è stata vittima in aeroporto, dove è stata sottoposta a una perquisizione illegale. Cosa vuol dire essere una donna nera in Brasile?
Essere una donna nera vuol dire resistere e lottare di continuo per sopravvivere. Guardano i nostri corpi per umiliarci, controllano se sotto il turbante abbiamo droga o pidocchi, negano la nostra esistenza. Quella che io ho vissuto all’aeroporto è stata un’esperienza per la quale molte donne sono già passate. Se si facesse un’inchiesta obiettiva per sapere quante donne e quanti uomini bianchi hanno subito un esame dei loro capelli, non se ne troverebbe nessuna/o. Noi siamo esposte e siamo violate tutti i giorni. Per ampliare la discussione, è importante comprendere che siamo oggetto di un trattamento discriminante. Bisogna riconoscere l’esistenza del razzismo.
Le donne lavorano in media 7,5 ore in più degli uomini alla settimana, secondo uno studio pubblicato questa settimana dall’Istituto di ricerche economiche applicate (IPEA). E tuttavia la riforma pensionistica propone che esse lavorino lo stesso numero di anni degli uomini per poter andare in pensione. Che ne pensa di questa proposta?
Come possono trattare le donne su un piano di eguaglianza, se tutti i giorni siamo trattate come disuguali? Noi stiamo alla base della piramide, insieme ai salariati meno pagati, con il doppio delle giornate lavorative, e ora vogliono trattarci da uguali per la pensione. Sollevano il tema dell’uguaglianza soltanto quando serve ai loro interessi. Dobbiamo ricordarci che siamo in posizione subalterna, non puramente simbolica. I dati oggettivi delle inchieste lo dimostrano. Purtroppo, le donne sono costrette a vivere sempre in condizione di vulnerabilità.
Durante la settimana internazionale delle donne, lei ha spesso tenuto dei discorsi sul femminismo nelle strade di Rio. Come sono stati accolti?
Abbiamo distribuito volantini e opuscoli, abbiamo organizzato corsi pubblici e dibattiti pubblici. In genere c’è stata una buona risonanza, tuttavia c’è ancora una certa resistenza. Io penso che in genere le persone abbiano molto sfiducia nei confronti della politica. Ecco perché c’è un rifiuto dei volantini e dei materiali dei partiti politici. Ma, a proposito di femminismo, quando si parla di soppressione dei diritti delle donne, c’è un’identificazione. Chi soffre di più della riforma delle pensioni, per esempio? Le donne più povere, che svolgono il lavoro più esternalizzato e manuale. Quindi, quando parliamo di questi temi, stiamo toccando problemi per i quali le donne si fermano e a cui danno attenzione. Noi siamo riuscite a dialogare.
Come funziona nella pratica il progetto di legge che lei ha promosso in Consiglio comunale «Per rendere accessibile l’aborto legale”?
È un programma che solleva un tema controverso, ma noi non sosteniamo la legalizzazione dell’aborto a livello comunale, anche se è uno degli slogan del PSOL a livello nazionale. Ciò che proponiamo è la garanzia dell’assistenza pubblica per le donne. In caso di stupro, di rischio di morte della gestante, di gravidanza con feto anencefalico, la donna ha il diritto di abortire e di ricevere pertanto un’assistenza adeguata. Noi vogliamo che il personale sanitario riceva una formazione specifica per non criminalizzare più le donne, indipendentemente dalle opinioni individuali. Dobbiamo rompere con questa logica. Lo Stato deve vegliare per garantire che le donne ricevano cure adeguate, senza le quali sono costrette a subire una doppia sofferenza al momento dell’aborto. Abbiamo già più di 8300 firme a sostegno del progetto.
Quali sono gli altri progetti del suo mandato che riguardano le donne?
Lo spazio coruja (gufo), che estende l’apertura degli asili nido alle ore notturne. Non si tratta di un progetto a favore solo delle donne: è pensato per le famiglie, anche se sappiamo che in Brasile la responsabilità dei bambini ricade soltanto sulle donne. Portiamo avanti anche il tema della visibilità delle donne trans e chiediamo il riconoscimento dell’identità sociale di una nostra assistente parlamentare nell’Assemblea Legislativa. Stiamo raccogliendo dati per individuare le richieste ed essere in grado di fare di più per le donne. Il mandato è appena cominciato.
Traduzione dal francese di Giovanna Vasciminno