Il 23 luglio 1967 il centro di Detroit è in fiamme. Gli immigrati afroamericani dopo decenni di vessazioni, promesse mancate e negligenza, sono esplosi in una guerriglia sediziosa che dura da qualche tempo. La risposta militare non fa che aumentare la spirale di violenza. Larry Reed, che tuttora vive a Detroit (nel film è interpretato da Algee Smith), è il cantante dei Dramatics, un gruppo di afroamericani che quella sera avrebbero dovuto esibirsi in un teatro ascoltati dai rappresentanti di un’importante casa discografica. Lo spettacolo però è interrotto e gli spettatori fatti evacuare perché c’è una sommossa. I musicisti riparano al Motel Algiers, dove incontrano due giovani bianche e altri ragazzi di colore ai quali si uniscono per passare la serata. Uno degli afroamericani da una finestra spara con una pistola giocattolo contro la Guardia Nazionale, ignaro della tragedia che si sarebbe scatenata …

La regista Katryn Bigelow e lo sceneggiatore Mark Boal, entrambi premi Oscar, bilanciando sapientemente l’aspetto del reportage alla narrativa, danno vita a un lungometraggio che vuole ristabilire la verità su un episodio criminale della polizia di Detroit, evento che segna vergognosamente la storia degli Stati Uniti. Il film riesuma un fatto dimenticato, cruciale, significativo, nel quale possiamo leggere anche il nostro presente: il rifiuto dell’immigrazione, il sadismo e la paura insita in ogni reazione razzista, la sottovalutazione della cultura verbale che spinge all’odio, la menzogna e la consorteria che coprono socialmente azioni ignobili.

La Bigelow compone un film avvincente nel quale racconta i torti di entrambe le parti e mostra come la combinazione tra caos e potere diventi una miccia incendiaria. Per ricostruire gli avvenimenti storici, la regista ha rintracciato il vero Larry Reed, protagonista che non aveva mai parlato prima; ha ascoltato decine di testimoni, tra cui tre vittime presenti alla mattanza. Il risultato è un’opera grande, che emoziona nel profondo, spinge a interrogarsi sulla maturità del nostro tempo e, proprio per questo, negli Stati Uniti non è stata amata. Anche da noi non sono pochi i critici che ritengono questa pellicola tendenziosa, forse perché la difesa di confine è più sottile e diffusa di quello che si crede: risiede in ogni uomo che rimuove ciò che sta oltre la superficie delle cose, soprattutto quando ci sono analogie col presente. Di certo, come racconta il film, il razzismo non conosce innocenza.