L’accordo di Parigi (12 dicembre 2015), su cui pure è imprescindibile lavorare, ha una trappola simile a quella del Trattato di Non Proliferazione: non c’è una scadenza che fissi la decarbonizzazione totale  dell’economia, cioé l’azzeramento delle emissioni di C02: questo è un grosso risultato della lobby fossile (e nucleare). Altro punto debole sono i controlli “autocertificati”. Ed infine non sono chiari i meccanismi del “Fondo verde” che dovrebbe investire dal 2020 al 2025 100 miliardi di dollari l’anno.

Quello che è certo è che gli attuali impegni nazionali autodeterminati faranno aumentare la temperatura a 3,5° C: una catastrofe assoluta. Ma anche se viene raggiunto l’obiettivo ufficiale dei 2°C siamo praticamente quasi rovinati, come spiega il Rapprto Stern (ex capo economista della Banca Mondiale incaricato dal governo inglese):

– Diminuzione del 30% della disponibilità di acqua in Africa e nel Mediterraneo.

– Brusca riduzione della resa agricola nelle regioni tropicali.

– 40/60 milioni di persone esposte alla malaria.

– 10 milioni colpite da esondazioni.

– Da 15 a 40% delle specie a rischio di estinzione

– Fusione del ghiaccio della Groenlandia.

– Aumento di livello del mare di 7 metri

– Brusche variazioni nella circolazione atmosferica.

– Rischio di collasso dell’Antartico occidentale.

– Rischio di collasso della circolazione termosalina atlantica.

A Marrakech con la COP 22 del novembre 2016 la sensazione è che le lobby fossili abbiano ripreso ulteriore spazio.

La COP 23 si terrà a Bonn dal 6 al 17 novembre 2017. Per informazioni

L’Europa continua ad incentivare il nucleare ed è soggetta alle direttive Euratom, che recepisce automaticamente.

L’Unione Europea ha definito nell’ottobre del 2014 una Strategia su clima ed energia che prevedeva l’obiettivo vincolante per gli Stati membri di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra nel territorio dell’Unione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, e di contribuire con una quota di almeno 27% di energia rinnovabile e un miglioramento del 27% dell’efficienza energetica.

Ma nel 2015 i Paesi dell’Ue hanno consumato sì meno energia, ma non meno fonti fossili: gli sforzi per decarbonizzare i sistemi energetici e i trasporti sono troppo lenti. Secondo i dati Eurostat (del 20 febbraio 2017), è aumentata l’incidenza dell’importazione di combustibili fossili nell’UE che soddisfa il 73% della domanda.

Bene fanno quindi i movimenti di base a mobilitarsi con iniziative internazionali, come è avvenuto l’11 marzo scorso, sesto anniversario di Fukushima, a Fessenheim (centrale nucleare stravecchia, al confine tra Francia e Germania) e Strasburgo, sede del Parlamento europeo.

A livello italiano registriamo invece la proposta di Strategia Energetica Nazionale (SEN) del Ministro Calenda, con la sua pecca di fondo nell’impostazione: separare l’energia dal Piano integrato sul clima. Quindi il problema che ci si pone a livello governativo non è come decarbonizzare il settore energia, ma come – è una vecchia solfa! – abbassare le bollette a suo dire troppo caricate dagli incentivi alle rinnovabili (quelli alle fossili non si toccano!) e come evitare che ENEL chiuda le sue vecchie centrali termoelettriche.

In realtà sappiamo che la vera strategia energetica decisa dall’Italia (che coincide con buona parte della politica estera) è quella decisa dalle multinazionali parapubbliche ENI ed ENEL, soprattutto dalla prima. All’ENI possiamo, ad esempio, fare risalire buona parte del nostro avventurismo bellico in Libia. Abbiamo poi la politica PRO-TRIV rinfrancata dal referendum che il movimento non è riuscito a vincere nell’aprile 2016.  Ai No TRIV, spalleggiati dai No TAV, dobbiamo oggi aggiungere i No TAP: i cittadini che protestano a Melendugno contro il gasdotto che dall’Azerbaigian porterà il gas in Puglia, dopo aver attraversato l’Adriatico (TAP sta per Trans Adriatic Pipeline). La molla della ribellione popolare è  l’espianto dei 200 circa ulivi secolari nel cantiere dove sarà installato l’impianto che permetterà il passaggio di gas (adesso il Tar del Lazio ha accolto la richiesta di sospensiva degli espianti avanzata dalla Regione Puglia).

E’ importante questo collegamento pratico tra realtà di “opposizione a un modello di sviluppo basato sulla distruzione del territorio e alla speculazione economica ai danni della popolazione”.

Ma non si vede al momento – è l’opinione del sottoscritto – la capacità di formulare e perseguire una strategia realmente alternativa rispetto a ciò contro cui ci si oppone.