Il 2 dicembre l’Africa ha stupito il mondo. E il presidente uscente del Gambia, Yahya Jammeh, ancora di più. Tutti pensavano che, come le altre quattro volte durante i suoi 22 anni di regime, di eccentrica megalomania, di terrore, repressione e di isolazionismo anti-imperialista e anti-occidentale, anche questo quinto appuntamento elettorale sarebbe stato una farsa che lo avrebbe riconfermato al potere. Invece, il dittatore gambiano è capitolato con il semplice voto popolare. E non solo: senza frode, senza contestare i risultati, senza alcun spargimento di sangue, ancora prima della proclamazione dei risultati ufficiali provvisori della Commissione elettorale, Jammeh è apparso in televisione per ammettere la sconfitta e congratularsi con il suo avversario e futuro presidente.

Le elezioni si sono svolte l’1 dicembre nella calma: dei circa 880.000 elettori, il 45,5% si è espresso a favore del candidato unico della coalizione d’opposizione Adama Barrow, il 36,7% per Yahya Jammeh e il 17,8% per Mama Kandeh, un fuoriuscito del partito al potere. Qualche segno di cambiamento, che faceva sperare alla fine dell’era Jammeh, c’era, è vero. L’opposizione, per la prima volta unita, si era più strutturata e contava su di un sostegno popolare cresciuto soprattutto dalle manifestazioni di aprile (durante il quale è stato ucciso un militante del Partito Democratico Unito, il partito di Barrow, il cui coordinatore è ancora in prigione). Intanto, tra la popolazione, che iniziava insieme agli oppositori a vincere la paura, si diffondeva sempre più il malcontento anche tra chi aveva sempre sostenuto Jammeh. Tra loro, sono alcune voci a dirlo, anche alcuni membri dell’esercito.

A contribuire a far sperare alla sua capitolazione, inoltre, era stato Jammeh stesso con gli insulti di luglio scorso all’etnia mandinga, la più numerosa del paese, mentre la crisi economica iniziava a dilagare nel più piccolo paese d’Africa continentale e i gambiani esiliati all’estero diffondevano sempre più messaggi rivoluzionari sui social network.  Già in campagna elettorale, durante la quale Barrow radunava folle e Jammeh sempre meno, quest’ultimo aveva iniziato a temere la sconfitta. Tuttavia, tutto faceva presagire che avrebbe attuato brogli o che non avrebbe accettato risultati avversi, trascinando il paese in sanguinose violenze post-elettorali. Il governo, infatti, aveva interrotto internet a partire dal 1 dicembre e aveva rifiutato l’ingresso agli osservatori dell’Ue e della Cdeao.

Eppure, si è verificato quanto i più ottimisti non avrebbero mai osato sognare.  Dalla sera del 2 dicembre, la popolazione si è riversata nelle strade della capitale Banjul per festeggiare, mentre i media di tutto il mondo annunciavano la notizia.  Se nei siti dei giornali gambiani (Le PointDaily Observer), ovviamente controllati da Jammeh, niente è più stato pubblicato dal 30 novembre, nei media internazionali si grida alla fine della dittatura e all’inizio di una nuova era per il Gambia.

I gambiani e il mondo volgono ora lo sguardo, intrepidi e speranzosi, verso Adama Barrow: un business-man militante dell’Udp, sconosciuto ai più fino a questa primavera, che ha battuto campagna elettorale promettendo più libertà e democrazia. Le prime iniziative dichiarate: l’instaurazione di un governo di transizione di tre anni in cui tutti i partiti dell’ormai vecchia opposizione siano rappresentati e la liberazione dei prigionieri politici in carcere.

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