E’ ora

Questa settimana le delegazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite potrebbero contribuire a modificare il corso della storia.

E’ qualcosa di sensazionale, specialmente per il First Committee. Mentre da un lato presenta sempre buone opportunità di progresso, il First Committee a volte può sembrare un impianto di riciclaggio per dichiarazioni e risoluzioni. Alcune delle proposte in discussione sono rimaste lettera morta per decadi, mentre fuori dalle sale conferenza aumentano i livelli degli armament e le bombe continuano a cadere.

Quest’anno è diverso. Quest’anno abbiamo L.41.

L.41 è il numero del documento di una risoluzione che stabilirà negoziati multilaterali verso uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari. Non abbiamo mai avuto una risoluzione del genere. Non abbiamo mai avuto niente di simile.

Nessuno degli stati in possesso di armi nucleari appoggia questa risoluzione. Essi sono legalmente obbligati a eliminare i loro arsenali nucleari, e lo sono da 46 anni, da quando il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) è entrato in vigore.Al contrario, stanno investendo miliardi di dollari nella modernizzazione degli armament nucleari.

Alcuni dei loro alleati che appoggiano la conservazione degli arsenali nucleari – perchè credono che la capacità di minacciare il resto del mondo con una massiccia violenza nucleare gli dia sicurezza – sono combattuti. Molti dei loro parlamenti e dell’opinione pubblica chiedono il loro supporto nella messa al bando delle armi nucleari, ma il loro apparato statale fa resistenza.

Questi governi sono piuttosto disturbati dalla L.41. Alcuni di loro avvertono degli indicibili orrori che il bando delle armi nucleari porterà al mondo – distruggendo il TNP e il regime di non proliferazione nucleare, promuovendo tensioni regionali e interregionali, ecc. Alla base di questa linea argomentativa c’è l’affermazione che un trattato che vieti le armi nucleari non avrà effetti positivi di sorta sul disarmo nucleare mentre farà arrabbiare così tanto gli stati dotati di armi nucleari che potrebbero diventare ancora più intransigenti sul loro ritiro e prendere ancora meno impegni verso il disarmo, e persino usare tali armi o cominciare una guerra nucleare. Da più di due anni siamo sottoposti a diverse formulazioni di questi sovraeccitati avvertimenti.

Altri sostengono che il trattato di divieto non è una “soluzione rapida” per il disarmo nucleare e non “garantisce” l’eliminazione delle armi nucleari – strano argomento da parte di paesi che sostengono le misure incrementali sul disarmo nucleare, o che hanno in precedenza difeso divieti su altri sistemi d’arma come mine, bombe a grappolo, armi chimiche e armi biologiche.

La realtà è che per questi paesi il trattato di divieto è incompatibile con il possesso di armi nucleari. Una proibizione giuridicamente vincolante al possesso di armi nucleari stigmatizzerebbe queste armi. Traccerebbe una linea mettendo in chiaro ciò che sono – strumenti di morte violenta e di irrecuperabile distruzione. Contribuirà a rendere inconcepibile l’idea che queste armi diano sicurezza, prevengano conflitti o siano un deterrente ad eventuali attacchi. Creerà obblighi giuridici, politici ed economici sulla base di questo stigma. Cambierà il modo in cui le armi nucleari sono considerate da persone, aziende, banche, governi, ecc. Diminuirà il potere, il privilegio e il profitto che pochi cercano di ottenere dal possesso di armi di distruzione di massa.

E’ questo che agita gli stati che vogliono le armi nucleari. E’ questo ad aver spinto alcune retoriche estreme contro il trattato di divieto e i suoi sostenitori. Naturalmente non dovrebbe essere così. Il TNP non conferisce legittimità al possesso di armi nucleari, o all’inclusione delle armi nucleari nelle dottrine sulla sicurezza. Al contrario, esso cerca di evitare che gli stati acquisiscano armi nucleari e impegna quelli che già le hanno, al disarmo. L’idea che un piccolo gruppo di stati abbia trovato scioccante e inaccettabile che il resto della comunità internazionale faccia pressione su di loro affinchè adempiano ai loro obblighi giuridici è alquanto sconcertante.

Non tutta la retorica è aggressiva. Alcuni hanno cercato di usare un tono più ragionevole. “Noi e molti altri siamo frustrati dal ritmo del disarmo nucleare”, ha assicurato la delegazione del Canada la scorsa settimana. Ma il Canada, come molti altri, trova ancora da ridire non con il mantenimento delle armi nucleari ma con quelli che sfidato questo stato di cose. “Sfortunatamente, questa frustrazione ha generato approcci divergenti che rischiano di far passare in secondo piano i nostri adempimenti, piuttosto che rinnovare il nostro impegno comune all’obiettivo universale di un mondo senza armi nucleari. Si rischia anche di minare le basi della fiducia e dell’impegno essenziali a ulteriori azioni”.

Perchè? Come? Queste sono domande a cui quelli che si oppongono al bando delle armi nucleari non hanno risposto. Chi sta minando fiducia e impegno? Quando la maggioranza degli stati del mondo, in pieno rispetto del TNP, ha lavorato per 46 anni all’interno di quel sistema cercando invano di incoraggiare e facilitare gli stati dotati di armi nucleari a procedere con il disarmo nucleare multilaterale come indicato dal trattato, la fiducia di chi è stata minata? Chi di volta in volta ha preso impegni, solo per vedere i propri sforzi in buona fede calpestati da coloro che dicono che “le condizioni non sono mature” per portare a compimento i loro obblighi giuridici?

Gli stati in possesso di armi nucleari e quelli che si affidano a loro per ciò che riguarda la sicurezza hanno creato divisioni. Hanno creato divisioni decenni fa attraverso lo sviluppo, la sperimentazione, l’utilizzo e lo stoccaggio di armi nucleari. Hanno fatto accordi e li hanno rotti. Insistono a dire che hanno bisogno di un diverso “ambito di sicurezza internazionale” prima di poter iniziare un reale lavoro sul disarmo – e nel frattempo continuano a costruire i loro arsenali, come se prepararsi all’uso di armi nucleari le renderà meno probabili.

E’ allarmante sentire il modo in cui gli stati armati e quelli che li appoggiano difendono queste armi come essenziali per la loro sicurezza. Questo è un incitamento alla proliferazione, oltre ad essere moralmente, legalmente, economicamente e politicamente ingiusto. Come hanno sostenuto Trinidad e Tobago, “Non dovrebbe esserci alcun prestigio legato alla capacità di minacciare la vita del pianeta e di ogni essere vivente che lo abita.Un tale prestigio può solo alimentare la proliferazione e gioca a sfavore delle intenzioni del TNP”.

E’ allarmante anche sentire alcuni degli stati armati denigrare quelli che appoggiano un trattato di divieto, ubicando il problema in stati o altri che dirigono l’attenzione sulle violazioni della legge piuttosto che su quelli che hanno violato la legge. Questo riflette una vasta tendenza sociale del “potere” di cercare di fermare chi agisce al fine di responsabilizzarli per aver commesso o minacciato violenza o ingiustizia. Questo squilibrio di potere, radicato nel nostro consolidato sistema patriarcale e militarista, è usato incessantemente e in vari modi per cercare di mettere a tacere coloro che credono che un diverso tipo di mondo è possibile.

Non si può permettere che accada questo. “Arriva un momento in cui devono essere fatte delle scelte, e questo è uno di quei momenti”, ha detto settimana scorsa l’Irlanda nelle sue osservazioni sul trattato. “Dati gli evidenti rischi associati all’esistenza delle armi nucleari, ora si tratta di scegliere tra responsabilità e irresponsabilità. La governance richiede responsabilità e leadership”.

Questa settimana (probabilmente), giovedì pomeriggio (soggetto a variazioni), a New York presso le Nazioni Unite (sicuramente), tutti i governi del mondo avranno l’opportunità di essere responsabili e di essere leader. E’ necessario che ogni governo partecipi al voto storico più importante che il First Committee abbia mai visto, e speriamo che il coraggio e la giustizia prevalgano al momento di agire sul L.41. Collettivamente, come esseri umani, abbiamo bisogno di una storia migliore di quella che stiamo scrivendo ora. Questo potrebbe essere un punto di svolta.

 

Traduzione dall’inglese di Matilde Mirabella