Nel turbinio dei “coccodrilli” (gergo giornalistico per denotare gli elogi funebri) vorremmo aggiungere queste due testimonianze di coloro tra di noi che hanno avuto l’occasione di incrociare Dario Fo nel suo movimentato e brillante passaggio per questo segmento dell’esistenza.

La figura di Dario Fo è per me legata a un periodo fondamentale della mia vita, i primi anni Settanta, con il passaggio da una quieta scuola media femminile (una delle poche ancora esistenti!) al clima tumultuoso ed esaltante fatto di cortei, occupazioni e riunioni studentesche al liceo Berchet di Milano.

E in quel clima di impegno e speranza Dario Fo, Franca Rame e i loro spettacoli rappresentavano un punto di riferimento importantissimo, capace di dare vigore a un’arte teatrale che fino a quel momento mi era sembrata distante e astratta. Tanto per citarne due tra i tanti, “Morte accidentale di un anarchico” traduceva in un misto di sberleffo e denuncia l’indignazione di chi non credeva alla versione ufficiale sulla bomba di Piazza Fontana. “Mistero buffo” riscriveva la storia e dava spazio a figure straordinarie e cancellate dai testi ufficiali, come Fra Dolcino. Ricordo bene l’occupazione della Palazzina Liberty, nella primavera del 1974: seduta sul prato davanti al palco improvvisato, insieme ai miei compagni di liceo e a migliaia di altre persone, ascoltavo rapita l’inarrestabile, esilarante eloquenza di Dario Fo e dei suoi compagni d’avventura e sentivo il futuro aperto e pieno di promesse.

Sono passati  più di quarant’anni da allora. Tante cose sono cambiate, ma non il mio impegno per trasformare un mondo sempre più violento e ingiusto. E in questa tappa così diversa della mia vita, mentre cerco un’immagine guida per una vecchiaia ormai non più tanto lontana, ecco che la figura di Dario Fo mi fornisce un modello straordinario: continuare fino all’ultimo, con passione, coerenza e allegria, nell’impegno di tutta una vita, ribellandosi alle limitazioni dell’età e del corpo, trovando nuove forme per incanalare l’energia creativa, denunciando le ingiustizie, ridendo delle meschinerie dei potenti e dando speranza a chi non accetta la rassegnazione.

Anna Polo

Ho conosciuto Dario e poi la sua meravigliosa compagna Franca negli agitati anni ’70, in un convegno molto politico sul teatro. Non eravamo affatto d’accordo sulla linea politica (non ricordo più quale fosse).

Ma quando in teatro si è annunciato il suo intervento lui è entrato, si è avvicinato alla tribuna, ha preso un bicchiere, si è versato l’acqua e ha bevuto un sorso; lo ha fatto con quella capacità teatrale che tante altre volte gli ho visto sulla scena. Dopodiché ha fatto un discorso meraviglioso che ha fatto cambiare idea a tutti. Ha messo il suo talento al servizio di una causa in cui credeva.

Ecco, Dario era il Teatro, con la T maiuscola e questa è stata la sua vita e il suo insegnamento. Però era il teatro di strada, il teatro dell’impegno, della ricerca. Era il teatro non per la vanagloria dell’Attore ma per far divertire e al tempo stesso riflettere lo spettatore. Il teatro era il suo strumento per cambiare il mondo e tale è rimasto fino all’ultimo istante.

Quando, anni dopo, ho avuto il piacere di portare avanti una campagna con Franca, avevo il loro telefono di casa. A volte lui rispondeva e non era il “famoso Dario Fo”, era semplicemente Dario che ti passava la sua compagna.

Questa semplicità è l’immagine più bella che mi rimane di lui. Essere un grande è forse proprio questo, riuscire a trovare il modo di passare inosservati, quando serve, non mettere in mostra il proprio Io nemmeno se si ha tutte le carte per farlo.

Olivier Turquet