Sulla necessità a Roma di uno scatto della città

 

I primi due mesi della nuova amministrazione di Roma Capitale hanno visto una pressione mediatica e politica senza precedenti a cui è stata e continua ad essere sottoposta la Giunta Raggi. Al contempo, sono emersi anche alcuni deficit evidenti e allarmanti del Movimento Cinque Stelle nell’idea di governo della città che rischiano di rendere vano qualsiasi reale cambiamento.

Il primo deficit è nella mancanza di una visione sistemica della città. Per trasformare una città come Roma affrontando le pressioni dei suoi poteri consolidati, mediatici ed economici, serve una capacità di visione delle complesse dislocazioni dei differenti poteri (rendita fondiaria e immobiliare, sistema bancario e finanziario, multiutility in borsa come Acea, partecipate come Atac e Ama, governo centrale, prefettura e questura, Vaticano, solo per citare i più evidenti) altrimenti si rischia di cadere nell’errore di pensare che l’aver preso il governo della città coincida con l’aver preso il potere nella stessa. Ma il governo della città è in realtà solo uno degli strumenti del potere.

Due sono le immediate conseguenze di questo equivoco.

La prima è che si pensi che con la vittoria elettorale il più sia stato compiuto e che si tratti ora solo di amministrare meglio delle precedenti esperienze di governo, come se fosse un semplice dato tecnico. La stessa idea che la squadra di governo debba essere scelta solo attraverso i curricula e le competenze tecniche, astrae totalmente il governo della città dai terreni del conflitto e della partecipazione, ovvero dalla politica in quanto tale, e la direzione delle scelte viene affidata ad una somma di competenze individuali, di per sé immaginate come oggettive e neutrali rispetto alle contraddizioni della città. Ma con questo metodo possiamo trovarci all’assessorato al bilancio tanto un liberista di destra come il defenestrato De Dominicis, quanto un antiliberista attento ai diritti e ai movimenti sociali. Entrambi magari con nobili curricula, ma con visioni opposte della città. Governare la città è un atto politico, non procedurale e impone delle scelte strategiche. Se invece si guardano solo le carriere professionali e le referenze di “amici fidati” senza una visione politica verso cui tendere, si rischiano di imbarcare anche personaggi come Marra – già frequentatore delle giunte di destra di Comune e Regione – o Muraro – che dentro Ama non si sa in cosa si sia distinta dal resto dei dirigenti e consulenti dell’azienda dei rifiuti capitolina.

La seconda conseguenza è che, paradossalmente, proprio i Cinque Stelle, che devono il proprio successo alla feroce critica verso le forme della rappresentanza istituzionale e all’idea che i cittadini possano rimpadronirsi della politica, rischiano di diventare, loro malgrado, gli ultimi epigoni di una democrazia rappresentativa in crisi – per giunta ulteriormente attaccata  dalle proposte di riforma costituzionale del governo Renzi – dimenticandosi dell’importanza della partecipazione diretta e dal basso.

Se al contrario, si avesse la consapevolezza che l’aver preso il governo non coincide con l’aver preso il potere, si avrebbe anche l’intelligenza di capire che la trasformazione della città può avvenire solo attraverso la reale implementazione della partecipazione diretta dei cittadini, delle fasce escluse e periferiche, delle esperienze di autorganizzazione, nonché manifestando un sincero interesse per quelle pratiche di conflitto sociale indirizzate contro quei poteri forti che nella capitale non saranno certo disposti a mollare l’osso.

Il secondo deficit consiste nella mancanza di un’analisi convincente dei concetti di legalità/illegalità, sul fenomeno della corruzione e del clientelismo che tanto ha investito la nostra città.

Siamo tutti coscienti che la corruzione sia stata una delle cause che hanno caratterizzato il malgoverno della città, ma insistere su un’idea di legalità astratta e senza contenuto, fa perdere di vista che troppo spesso in questi anni a Roma si è legalmente devastato il territorio proprio attraverso il ricorso a norme urbanistiche dettate dalla sete di profitto di alcuni settori economici,  mentre illegalmente si sono restituiti alla città spazi e immobili abbandonati autoproducendo servizi, cultura e socialità.

La medesima logica astratta della legalità porta ad evitare ogni riflessione sui beni comuni e sui servizi pubblici, rifugiandosi nella legalità del bando di appalto: come se Mafia Capitale non avesse preso la città attraverso la vittoria di regolari bandi dell’ente locale e come se beni comuni e servizi debbano essere naturalmente messi sul mercato, con l’unica avvertenza di avvisare l’autorità anti-corruzione per un parere sulle modalità. Al contrario è la filosofia di gestione dei beni comuni della città che va profondamente cambiata, ed è un cambiamento che di tecnico ha ben poco.

Il concetto di legalità e onestà, su cui i Cinque Stelle hanno raccolto tanti consensi, va urgentemente riempito di contenuti alternativi, poiché il rischio è che leggi ingiuste potranno rovesciare il loro significato, facendo diventare illegale l’interesse della collettività e legale esclusivamente quello del profitto privato. Onesto è, per noi, chi si adopera per l’interesse collettivo. Legale, quell’amministrazione che crea le condizione di legittimità per far emergere ed esprimere l’interesse collettivo stesso, ratificando, ad esempio, che l’utilizzo del patrimonio (sia esso occupato e/o in concessione, pubblico e/o privato) con finalità sociale è consentito o che i servizi pubblici – come quello erogato dai 96 lavoratori del canile comunale di Muratella in autogestione da più di tre mesi – non possono essere sottoposti a un bando a vantaggio di una società privata la cui unica mission è il profitto.

Allo stesso modo, il coraggioso NO alle Olimpiadi non può essere interpretato come una strada per eludere processi d’illegalità, né un mero terreno di contrapposizione al Governo Renzi. Al contrario, dovrebbe essere valorizzato come la volontà politica di governare le città fuori dai grandi eventi e grandi opere che negli ultimi trent’anni hanno prodotto una concentrazione di ricchezza nelle mani di  pochi, mentre quello che serve è mettere al centro l’idea di un reale piano partecipato, come anche una gestione alternativa dell’urbanistica, dei beni comuni e dei servizi pubblici locali.

Il terzo deficit consiste nella mancanza di un’analisi sulla contrapposizione fra vincoli finanziari dettati dalle politiche liberiste e risposta ai bisogni della città. L’idea che l’efficienza del governo cittadino si misuri sulla stabilità dei conti e sul contenimento delle spese rimuove totalmente l’utilizzo ideologico del debito come strumento per l’espropriazione sociale, e dunque della necessità di una lotta partecipata contro i vincoli imposti dallo stesso per l’affermazione dei diritti sociali insopprimibili degli abitanti della città. L’audit del debito e la sua radicale ristrutturazione non può che essere una battaglia politica di trasformazione della città, e non una semplice operazione tecnica di compatibilità tra gli attori coinvolti (città, governo centrale, banche, costruttori).

Siamo di fronte, per la prima volta da anni, ad un’amministrazione che, con tutti i gravi limiti sopra descritti, non è l’espressione dei poteri forti della città e su alcuni temi – come il NO alle Olimpiadi – segna coraggiose discontinuità con il passato, rovesciando la tovaglia di una tavola imbandita da tempo. Ma se alle lobby finanziarie e immobiliari non si contrappone un’amministrazione con una visione complessiva, disposta a riconoscere l’indipendenza della partecipazione sociale e la sua forza come principale ostacolo ai poteri dominanti, allora è facile prevedere, già da ora, il risultato finale della partita sul futuro della città.

Noi non staremo a guardare e come movimenti sociali cittadini non abbiamo intenzione di delegare a nessuno il conflitto sociale nei territori che rilanceremo già nelle prossime settimane. Il 1 ottobre saremo insieme ai lavoratori dei servizi esternalizzati per condividere una piattaforma comune, a partire dal primo grande risultato conquistato dagli operatori del canile comunale di Muratella dopo mesi di lotta: la riassegnazione del servizio ai lavoratori come passaggio verso l’internalizzazione. Il 4 ottobre saremo in piazza del Campidoglio a ricordare alla Giunta comunale che Roma vuole cambiare, e vuole decidere del suo futuro. Starà all’amministrazione con i suoi atti concreti  scegliere da che parte stare.

 

Decide Roma – Decide La Città