Cresce il nervosismo di Pechino sulle isole contese del Mare Cinese Meridionale. Dopo la lunga nota emessa dal Ministero degli Esteri cinese sulla posizione di Pechino contraria all’arbitrato presso il tribunale internazionale dell’Aia, l’ambasciata cinese a Washington ha respinto le affermazioni contenute in un editoriale comparso sul Wall Street Journal che chiede una maggiore presenza statunitense nel Mare Cinese Meridionale, definendolo “sconsiderato e allarmante”. L’azione degli Stati Uniti nel Mare Cinese Meridionale, hanno sottolineato i diplomatici cinesi a Washington in una lettera inviata al quotidiano, serve solo a “infiammare le tensioni” nell’area.

Solo poche settimane prima, un altro editoriale, comparso questa volta sul New York Times, aveva scatenato la reazione dell’ambasciata cinese negli Usa. La sede diplomatica cinese a Washington, scrive il Quotidiano del Popolo, ha contestato le parole del quotidiano della Grande Mela, secondo cui il rischio di contatto aereo nei cieli del Mare Cinese Meridionale era dovuto a una manovra “pericolosa” dei caccia cinesi. “Ci auguriamo che Washington, invece di flettere i muscoli, giochi un ruolo responsabile e costruttivo per promuovere il dialogo e il negoziato”. Da ottobre scorso, per tre volte i cacciatorpedinieri della Marina Usa sono entrati nelle acque territoriali delle isole contese: un gesto di sfida, per Pechino, che Washington considera, invece, come un normale “esercizio di libertà di navigazione”.  La tensione tra Washington e Pechino sulle isole contese è rimasta inalterata anche nei giorni scorsi, quando nella capitale cinese si è tenuto l’ottavo dialogo economico e strategico tra Cina e Stati Uniti, ma a preoccupare Pechino è soprattutto l’arbitrato con le Filippine. Oggi la Chinese Society of Internal Law, ha ribadito in un paper la chiusura di Pechino verso il giudizio che verrà pronunciato dai giudici dell’Aia definendolo “nullo e vuoto” e rinnovando l’appoggio al governo cinese di non prendere parte all’arbitrato.

Oltre agli aspetti legislativi, ci sono anche quelli legati alla realizzazione di infrastrutture sulle isole contese, che Pechino sta realizzando in questi anni. Non solo fari, piste di atterraggio e ad altre strutture utilizzabili anche a scopi militari, la Cina ha costruito sulla Fiery Cross Reef, contesa con le Filippine (che la Cina chiama Yongshu), anche una fattoria e un ospedale che entro fine mese dovrebbe essere pronto e operativo. L’apporto cinese si spinge, però, anche al piano scientifico. Il governo, secondo il progetto visionato dall’agenzia Bloomberg, sta lavorando alla realizzazione di un laboratorio sottomarino a tremila metri di profondità nel Mare Cinese Meridionale che potrà essere utilizzato sia a scopo minerario sia a scopo militare, a detta degli stessi esperti cinesi.

Il controllo del Mare Cinese Meridionale e dei suoi abissi è uno dei temi di crescente importanza nell’agenda politica cinese. Il mese scorso China State Shipbuilding Corporation, conglomerata statale cinese del settore nautico, ha rivelato i dettagli di quella che viene definita come “la Grande Muraglia Subacquea”, ovvero la costruzione di un network di navi e sensori sottomarini in grado di controllare il Mare Cinese Meridionale e superare tecnologicamente il dominio russo e statunitense in questo settore. La Cina ha la seconda flotta al mondo di sottomarini, ottanta in totale, sedici dei quali a propulsione nucleare, mentre altri quindici equipaggiati con tecnologia che permette loro di rimanere sott’acqua più a lungo dei normali tempi di permanenza e di operare in maniera meno rumorosa dei normali sottomarini.

Da Agichina.it

 

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