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Berta Cáceres, leader indigena dell’Honduras, difendeva i diritti della comunità Ienca e dei movimenti contadini; è stata assassinata il 3 marzo all’alba durante un attacco alla sua casa di Intibucá, come conferma Europa Press. Cáceres denunciava gli abusi delle multinazionali nel suo paese e continuava la lotta nonostante le continue minacce.

La settimana scorsa Berta aveva partecipato a una conferenza stampa per denunciare l’assassinio di vari dirigenti della sua comunità indigena, così come le minacce da lei ricevute. Meno di un anno fa, in un’intervista a eldiario.es, descriveva la persecuzione a cui era sottoposta: “Noi che rifiutiamo questi progetti siamo minacciati. Minacciano la nostra vita, la nostra integrità fisica ed emotiva e quella delle nostre famiglie e comunità. Vogliono negarci l’esistenza come popoli originari. Viviamo in un clima di impunità e di totale mancanza di giustizia”.

Alle minacce per la sua opposizione ai progetti delle multinazionali si aggiungeva il fatto di essere una donna.  “Non è facile per una donna dirigere processi di resistenza indigena. In una società incredibilmente patriarcale le donne sono più esposte. Dobbiamo affrontare rischi maggiori, campagne machiste e misogine, aggressioni da tutte le parti. Questo è uno dei fattori che può avere maggior peso per arrivare ad abbandonare la lotta”, spiegava Cáceres.

Lei però non l’ha abbandonata. Ha continuato a lottare dal coordinamento del Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), con il quale è riuscita a cacciare dai territori della comunità del Río Blanco la maggior impresa edile del mondo, la cinese Sinohydro. Per questo e altri risultati alla fine di aprile del 2015 Berta ha ricevuto il prestigioso Premio Goldman, conosciuto come il Nobel dell’ambiente.

A ispirarla comunque non erano i premi, ma i principi. ”Con o senza riconoscimenti qui abbiamo lottato e continueremo a lottare”, affermava dalla città di Tela. Si era recata con una delegazione del COPINH fino al dipartimento di Atlántida, nel nord del paese, per accompagnare degli indigeni Garífuna in un processo giudiziario.

La persecuzione dei difensori dell’ambiente è una costante nei paesi in cui le multinazionali estrattive, idro-elettriche o agro-industriali hanno degli interessi, spesso in connivenza con i poteri politici e finanziari.

Secondo il rapporto di Global Witness, nel 2014 sono stati assassinati 116 attivisti per l’ambiente in 17 paesi, un 20% in più del 2013. Ogni settimana muoiono più di due persone nel mondo per aver difeso dallo sfruttamento le loro terre, i loro fiumi e le loro foreste. L’indagine “Quanti altri ancora?” definisce l’Honduras come il paese più pericoloso per questi attivisti. Il 40% degli assassinati fa parte dei popoli indigeni, come i lenca, il popolo di Berta Cáceres.

L’uso illegale della forza da parte dei corpi di sicurezza dello stato dell’Honduras e i legami di membri della polizia e dell’esercito con casi di intimidazione, minacce e supposti omicidi di difensori dell’ambiente sono stati documentati da organizzazioni come Human Rights Watch e Front Line Defenders.

Berta era vittima da molto tempo di questo abuso di potere, che però non era riuscito a farla tacere. Fino a oggi. “In questo paese impunito, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, noi che lottiamo per la terra, l’acqua, la vita, perché non cadano in mani private e vengano distrutte, mettiamo la nostra vita a rischio. Qui è molto facile finire ammazzati. Il prezzo che paghiamo è molto alto. La cosa più importante però è la  forza che viene dai nostri antenati, l’eredità di migliaia di anni, di cui siamo orgogliosi. E’ il nostro alimento e la nostra convinzione al momento di lottare”, diceva l’estate scorsa.

Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo