Di Khalid Ahmad e Hakim Young

Hakim Young incontra Khalid Ahmad che è sopravvissuto al bombardamento statunitense di un ospedale in Afghanistan.

“Sono molto arrabbiato, ma non voglio nulla dalle forze armate degli Stati Uniti,” ha detto Khalid Ahmad, un farmacista di 20 anni che è sopravvissuto al bombardamento americano dell’Ospedale di Medici Senza Frontiere (MSF) a Kunduz, il 3 ottobre. “Dio li riterrà responsabili.”

Le azioni delle forze armate statunitensi suscitano lo stesso disprezzo da parte di Khalid e di molti afgani comuni che suscitano quelle dei talebani o dell’ISIS.

Khalid era un poco diffidente quando Zuhal, Hoor ed io gli fummo presentati in una corsia dell’Ospedale di Emergency a Kabul, dove stava guarendo dalla ferita da proiettile alla spina dorsale che lo aveva quasi ucciso.

Immediatamente, però, ho visto il suo interessamento per gli altri. “Per favore, portagli una sedia,” he detto Khalid a suo fratello, non volendo che stessi scomodo, accovacciato vicino a lui, quando abbiamo iniziato la conversazione nello spazio nel corridoio fuori della corsia.

Dato che aveva appena recuperato la forza nelle gambe, aveva camminato con esitazione fino al corridoio assicurandosi che il sacchetto del catetere non gli fosse di intralcio quando si sedeva.

Il sole autunnale rivelava delle rughe di stanchezza  sul suo viso, come se perfino la pelle potesse essere traumatizzata in permanenza dallo shock dell’esplosione delle bombe.

“I talebani avevano già preso il controllo di tutte le zone, tranne l’Ospedale di MSF e l’aeroporto. Pensavo che potevo ancora  essere di aiuto  ai pazienti in modo sicuro perché né le forze militari afgane/statunitensi nè i talebani ci avrebbero dato fastidio. Almeno, si supponeva che non lo avrebbero fatto.” Khalid fece una pausa.

“In quanto servizio umanitario neutrale,” continuò, “curiamo tutti allo stesso modo, come pazienti che hanno bisogno di aiuto. Riconosciamo che ognuno è un essere umano.”

“Non era programmato che fossi di turno la notte dell’incidente, ma il mio superiore mi aveva chiesto di aiutare perché l’ospedale era invaso dal numero più grande di pazienti in quella settimana. Stavo dormendo quando, alle due, cominciò il bombardamento. Andai a vedere che cosa stava succedendo, e, con orrore, vidi che l’unità di terapia intensiva era in fiamme che si alzavano fino  a 10 metri nel cielo della notte. Alcuni pazienti stavano bruciando nei loro letti.

‘Ero pietrificato. Era  spaventoso. Il bombardamento e il fuoco continuavano e dopo le bombe seguivano  lampi simili a  quelli di un laser che erano infiammabili, cioè prendevano fuoco e lo diffondevano.”

“Che cosa erano quei lampi simili a quelli di un laser?

“Con due altri colleghi mi precipitai verso il corpo di guardia che si trovava a circa 5 metri dall’ingresso principale dell’ospedale. Al corpo di guardia c’erano quattro addetti alla sicurezza, Decidemmo tutti di precipitarci verso il cancello dell’ospedale, per scampare al bombardamento.’

Gli occhi di Khalid  si rimpicciolirono  un poco, e la sua voce era impregnata di sconforto. Uno shock del genere può essere troppo grande da sopportare per un essere umano: la delusione insanabile causata dalle forze armate statunitensi che attaccavano una struttura sanitaria e un ingiusto senso di colpa per essere scampato alla morte mentre i suoi colleghi erano stati uccisi.

‘La prima persona corse via. Poi un’altra. Ora toccava a me. Sono corso via e proprio quando sono arrivato al cancello, con un piede fuori e uno dentro il recinto dell’ospedale, un frammento di proiettile mi ha colpito alla schiena. Ho perso la forza nelle gambe e sono caduto. Confuso, mi sono trascinato fino a un fossetto che era lì vicino e mi ci sono buttato dentro. Il sangue fluiva velocemente dalla schiena formando una pozza di fianco a me. Sentendo che la mia fine era vicina volevo disperatamente chiamare la mia famiglia. I miei colleghi ed io avevamo estratto le batterie dai nostri telefoni cellulari perché l’esercito statunitense aveva un modo di rintracciare e uccidere le persone captando il segnale dei loro telefonini. Con il braccio sano in qualche modo sono riuscito a tirare fuori il mio telefono e vi ho inserito la batteria.

“Mamma, sono ferito, e non ho tempo. Puoi passare il telefono a papà?”

“Che cosa è successo, figlio mio?”

“Per favore, passa il telefono a papà!”

“Che cosa è successo, figlio mio?”

Riuscivo quasi a sentire la madre sconvola di Khalid  che si chiedeva che cosa potesse essere accaduto a suo figlio che avrebbe dovuto essere al sicuro nella zona nell’ospedale.

“Mamma, non rimane più tempo. Passa il telefono a papà.”

“Poi ho chiesto perdono a mio padre di ogni  errore che avevo fatto. Mi sentivo svenire, e lasciai cadere il telefono. Mentre ero in uno stato di semi-coscienza   il telefono suonò ed era mio cugino che mi domandava che cosa era successo, e mi spiegava come  usare i vestiti per fermare  la perdita di sangue . Mi sono strappato di dosso  un gilet, me lo sono buttato  dietro la schiena e mi ci sono sdraiato sopra.  Devo essere  svenuto perché il ricordo successivo è stato di aver sentito la voce di mio cugino e altre voci e di essere stato portato nella cucina dell’ospedale dove si stava dando un minimo di soccorso   a molte persone ferite.

“Vidi persone con gli art amputati. Alcuni dei miei colleghi, alcuni dei miei colleghi….che male avevamo fatto? Otteniamo questo per essere stati di aiuto  alle persone?”

Mentre lottavo emotivamente per registrare la storia di Khalid nella mia mente, mi ricordavo del mio tirocinio e della mia pratica come medico e desiderai che ci potesse essere una discussione globale sul fallimento delle Convenzioni di Ginevra di proteggere i civili e le strutture sanitarie. Nel 2003 il Consiglio Europeo a Bruxelles stimò che fin dal 1990, quasi 4 milioni di persone sono morte nelle guerre, il 90% dei quali erano civili.

Ho anche desiderato che un numero maggiore di individui potessero replicare all’Alto Commissario dell’ONU per i Rifugiati, Antonio Guterres che in un comunicato stampa del 15 giugno ha dichiarato che: “Stiamo assistendo a un cambiamento copernicano… E’ terrificante che da una parte ci sia sempre maggiore impunità per coloro che danno inizio ai conflitti, e che dall’altra ci sia la totale incapacità della comunità internazionale di operare insieme per fermare le guerre, costruire e mantenere la pace.”

Un modo positivo di replicare sarebbe di unirsi a MSF, al presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Peter Mauer e al capo dell’ONU, Ban Ki Moon, nel dire: “Basta! Anche la guerra ha le sue regole!”  Possiamo firmare la petizione di MSF per avere una # indagine indipendente sul bombardamento dell’ospedale di MSF a Kunduz.

Accettare passivamente il rapporto del Pentagono di “errore umano” che ha avuto come conseguenza l’uccisione di 31 persone sia tra i pazienti che tra il personale durante il bombardamento di Kunduz, permetterebbe ai militari statunitensi e ad altri, di continuare a infrangere le regole e le convenzioni con impunità, come accade proprio adesso un Yemen.

In ottobre il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha riferito che quasi 100 ospedali nello Yemen erano stati attaccati dal marzo 2015. Il 2 dicembre la storia di inquietante di Khalid si è ripetuta a Taiz, in Yemen dove un ambulatorio di MSF è stato attaccato dalle forze di coalizione saudite, spingendo Karline Kleijer, coordinatrice di MSF per  lo Yemen, a dire che ogni nazione che appoggia la guerra in Yemen, compresi gli Stati Uniti, devono rispondere del bombardamento dell’ambulatorio di MSF in  quel paese.

La storia di Khalid mi stava già  perseguitando.  “Per trasportarmi, usarono  un sacco  per cadaveri. Debole come ero, fui preso dal panico e mi  assicurai che mi sentissero protestare: “Non sono morto!” Sentii qualcuno dire: “Lo sappiamo, non preoccuparti, non abbiamo scelta, dobbiamo arrangiarci.”

“Mio cugino mi portò in un ospedale nella Provincia di Baghlam che sfortunatamente era stato abbandonato a causa dei combattimenti nella zona. Fui quindi portato a Pul-e-Khumri, e lungo la strada, poiché avevo i capelli leggermente lunghi, sentii delle urla dirette verso di noi: “Ehi, che state facendo con un talebano?”  Mio cugino dovette assicurarlo che non ero un talebano.”

Così tanti probabili errori umani’ fatali e sbagli…

“Neanche a Pul-e-Khumri   era disponibile qualche assistenza, e quindi alla fine fui portato a questo ospedale a Kabul. Finora mi hanno fatto cinque operazioni chirurgiche,”  ha detto Khalid con la voce che si affievoliva un poco, “e avevo bisogno di due litri di sangue in tutto.”

Mi ha colpito, del racconto di Khalid, che le forze armate statunitensi potevano bombardare un struttura sanitaria per mezzo di ciò che Kate Clark dell’Afghan Analyst Network, indicava come ‘fare a pezzi il regolamento’, e poi, non prendere una qualsiasi misura dopo il bombardamento per curare i feriti  come Khaklid e molti altri. Se sei un civile colpito da bombe dell’esercito statunitense, devi cavartela da solo!

Khalid sospirò: “Sono grato che mi sia stata data una seconda vita. Alcuni dei miei colleghi…Non sono stati così fortunati.’

Khalid era esausto. Avendo lavorato in Afghanistan negli anni scorsi di una guerra in peggioramento, capivo che lo sfinimento di Khalid non era soltanto fisico. ‘Sono arrabbiato. Le forze armate degli Stati Unitici stanno uccidendo soltanto perché vogliono essere l’Impero del mondo.’

Khalid mi chiese perché volevamo fotografarlo.  La sua domanda mi ha ricordato di che cosa possiamo fare noi come individui: fare e vedere la sua foto in questo articolo non sarà sufficiente.

Si è sistemato bene sulla sedia, ha messo il sacchetto dell’urina fuori della portata della macchina fotografica e ha detto con assoluta dignità: “Voglio che la mia storia venga ascoltata.”

Hakim Young è un medico di Singapore che ha svolto iniziative umanitarie e sociali in Afghanist negli scorsi 10 anni; è stato guida  dei Volontari Afgani per la Pace, un gruppo inter-etnico di giovani afghani  che si dedicano alla creazione di alternative non violente alla guerra. Nel 2012, Hakim ha ricevuto il Premio Internazionale Pfeffer per la pace.

Da: www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/i-want-my-story-to-be-heard/

Originale: New Internationalist

Traduzione di Maria Chiara Starace per Z-net

L’articolo originale può essere letto qui