Il 5 dicembre scorso 80 organizzazioni della società civile di tutto il Cile si sono riunite a Santiago per una grande manifestazione contro la costruzione della Centrale Idroelettrica Alto Maipo. Più di 30.000 persone sono scese nelle strade della capitale per chiedere la sospensione di tale progetto. La Coordinadora Ciudadana Ríos del Maipo-No Alto Maipo (CCRM) ha convocato la marcia, con l’obiettivo di denunciare l’insostenibilità socio-ambientale del progetto. Questo avrebbe infatti conseguenze drammatiche non solo per gli abitanti del Cajón del Maipo, valle andina a circa 50 km dalla capitale, ma anche per i 7 milioni di cittadini della regione Metropolitana di Santiago che utilizzano quotidianamente l’acqua del fiume Maipo. Sarebbero inoltre colpiti più di 120mila ettari di terreni agricoli che dipendono dal Maipo per l’irrigazione.

Il Progetto Idroelettrico Alto Maipo (PHAM) prevede la costruzione di due centrali capaci di  generare 531 megawatt, a fronte di un investimento di circa 2 miliardi di dollari. Il progetto appartiene per il 60% ad AES Gener, multinazionale con sede centrale in Virginia, e per il rimanente ad Antofagasta Minerals (AMSA), il braccio minerario del Gruppo Luksic. Quest’ultimo controlla numerose imprese in campo minerario, energetico, alimentare, bancario e delle telecomunicazioni, ed è la maggiore holding finanziaria e industriale cilena.

Secondo gli oppositori al progetto, la costruzione delle centrali idroelettriche comporterebbe l’alterazione irreversibile di un centinaio di ettari di bosco, alterando lecosistema di quello che è considerato uno dei pochi polmoni verdi rimasti nei dintorni di Santiago. Comporterebbe inoltre l’inquinamento delle acque e la diminuzione della portata degli affluenti El Volcán, Yeso e Colorado. La prevista costruzione di un tunnel di 70 km avrebbe poi un impatto devastante su tutto il bacino idrico della valle del fiume Maipo, alterando le dinamiche idrogeologiche della zona. Si ritiene infine che la produzione effettiva di energia risulti di molto inferiore a quella dichiarata, e che  essa sia destinata quasi esclusivamente ad alimentare il fabbisogno energetico delle compagnie minerarie in mano al gruppo Luksic.

In Cile l’acqua è un bene di mercato come tanti altri, capace dunque di generare profitto. Le risorse idriche sono infatti privatizzate da oltre trent’anni, come prevede il Código de Aguas del 1981, approvato nel periodo della dittatura militare. Il codice prevede che l’acqua sia un bene “sociale ed economico”, separando la proprietà dell’acqua da quella della terra, e determinando la facoltà da parte dello stato di decidere su di essa. Lo stato può infatti concedere diritti di sfruttamento in forma gratuita e perpetua, dando origine così ad un vero e proprio mercato dell’acqua.

Nessun governo della Concertazione, la coalizione di centrosinistra che ha governato il paese dal 1990 con l’unica interruzione del governo di Piñera (2010-2013), ha apportato modifiche a tale codice, e quello dell’acqua continua ad essere un affare su cui varie multinazionali mettono spesso e volentieri le mani. Anche l’italiana ENEL è coinvolta nel business, dato che, attraverso la sussidiaria Endesa, controlla l’81% dei diritti sull’acqua cilena cosiddetti “non consuntivi”, quelli cioè che non prevedono la possibilità di esaurimento della falda acquifera. Il 90% dei diritti consuntivi, quelli che non “restituiscono” cioè le acque consumate, sono in mano ad imprese minerarie e alle grandi imprese agricole che si dedicano esclusivamente all’esportazione di materie prime. A questo si aggiunga che l’industria mineraria in Cile è responsabile di quasi il 40% del consumo totale di energia.

Lo scorso settembre la Coordinadora No Alto Maipo ha inviato una delegazione a Washington per discutere la questione con la Banca Interamericana di Sviluppo ed altri istituti finanziari che stanno sostenendo il progetto. La Coordinadora ha denunciato la presenza di irregolarità tecniche nel progetto, così come la mancanza di accurati studi idrogeologici e di sedimentazione, nonché le prove che la compagnia AES avrebbe violato i permessi nelle fasi iniziali di costruzione.

I lavori per la costruzione delle centrali sono già iniziati, aumentando un certo scetticismo sulla reale efficacia della mobilitazione della società civile per bloccare il progetto. Gli attivisti tuttavia continuano la mobilitazione, sottolineando a tal proposito il successo di un’altra campagna a livello nazionale, che fu in grado di fermare l’esecuzione del mega-progetto minerario denominato Pascua Lama. Tale progetto fu promosso dalla multinazionale canadese Barrick Gold, la più grande impresa mineraria per l’estrazione di oro a livello mondiale, già tristemente famosa per gli scempi ecologici e sociali provocati in Argentina, Perù e Cile.

Michela Giovannini

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