Un appello al presidente del Consiglio dei Ministri

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

receda immediatamente dalla decisione dell’invio di truppe italiane alla diga di Mosul, decisione le cui conseguenze possono essere funeste e fin catastrofiche.

Non commetta l’errore più grave dell’intera sua vita.

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

nelle scorse settimane, mentre alcuni suoi ministri deliravano, lei è apparso essere consapevole degli enormi rischi che una ulteriore escalation dell’intervento bellico euroamericano nel Vicino e nel Medio Oriente avrebbe comportato, con l’esito sia di un’ulteriore estensione delle stragi colà, sia di una ulteriore espansione del terrorismo su scala planetaria. In queste settimane lei è apparso essere consapevole dei risultati disastrosi delle guerre cui dagli anni Novanta l’Italia ha partecipato (violando la sua stessa legge fondamentale), ed ha più volte ricordato la guerra libica del 2011 come esempio di tragico errore da non ripetere.

Ebbene, la decisione di inviare 450 soldati italiani alla diga di Mosul contraddice la prudenza e la ragionevolezza che informavano quelle sue precedenti dichiarazioni.

Questa decisione di dispiegare truppe italiane sul terreno, nel cuore del conflitto in corso nell’area tra Iraq e Siria che – destrutturati gli ordinamenti giuridici di quei paesi dalle guerre euroamericane degli scorsi decenni – è divenuta base territoriale dell’organizzazione terrorista e schiavista dell’Isis,  può avere conseguenze tremende.

Una presenza militare italiana alla diga di Mosul renderà sia quel luogo e le persone lì schierate, sia l’Italia intera, un primario bersaglio dell’azione stragista dell’organizzazione terroristica.

Come chiunque, immagino facilmente le pressioni che possono avere indotto il suo governo a questa stoltissima e sciaguratissima decisione; ma voglio sperare che lei abbia sufficiente buon senso per capire che deve revocarla immediatamente.

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

l’Italia ha già dato un enorme, scellerato contributo al trionfo dello stragismo e del terrorismo (tanto dei poteri dichiaratamente criminali, quanto degli stati) con la partecipazione alle guerre del Golfo, alla guerra dei Balcani, alla guerra afgana, alla guerra libica; con la fornitura di armi a regimi assassini; con la partecipazione a coalizioni internazionali e organizzazioni armate responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità; con l’abominevole politica razzista che impedendo l’ingresso legale a chi fugge da fame e guerre e dittature ha provocato l’immane strage nel Mediterraneo; con lo sperpero di risorse ingentissime per le spese militari costitutivamente finalizzate alla preparazione ed all’esecuzione della guerra e delle uccisioni di cui essa consiste. L’Italia ha molto da farsi perdonare dai popoli del sud del mondo, di tante stragi è corresponsabile.

In relazione alla Libia l’Italia sembra ora finalmente seguire una politica ragionevole: di azione diplomatica orientata a far cessare i conflitti e le stragi, a promuovere dialogo e legalità, a salvare le vite e a contrastare il potere delle organizzazioni criminali attraverso la ricostruzione di un ordinamento giuridico che si impegni nella direzione del rispetto e della promozione dei diritti di tutti; perché non seguire la stessa politica ragionevole anche in relazione all’Iraq e alla Siria?

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

due sono le dighe di cui deve tener conto nel valutare la situazione.

Vi è una diga a Mosul da mettere in sicurezza, ma la presenza di soldati italiani ottiene proprio l’effetto contrario.

E vi è una diga in Italia e in Europa: la diga della civiltà che si oppone all’irruzione della barbarie, del razzismo e del fascismo. Che possa l’ordinamento giuridico costituzionale e democratico italiano resistere a chi vuole trasformarci in mostri, a chi vuole renderci ad un tempo vittime e ausiliari delle sua apocalittica brama di sterminio.

Receda da quella sconsiderata decisione ed impegni piuttosto il nostro paese anche in quell’area ad un’azione diplomatica come quella dispiegata in Libia.

Lei sa che l’azione di polizia necessaria contro i terroristi dell’Isis sarà resa possibile solo dalla fine della guerra in corso, ovvero solo dalla fine della destrutturazione dell’Iraq e della Siria con la ricostituzione in entrambi i paesi di un ordinamento giuridico che si impegni alla ricostruzione dei servizi, delle infrastrutture e dell’amministrazione nella legalità, nella direzione della democrazia e del rispetto dei diritti umani. A tal fine occorre promuovere il dialogo, occorre recare aiuti umanitari, occorre sostenere le esperienze nonviolente di convivenza e di solidarietà, occorre tagliare ai terroristi le fonti di finanziamento, di armamento, di reclutamento – innanzitutto costringendo i governi loro complici (in primo luogo la Turchia e l’Arabia Saudita, il Kuwait e il Qatar) a recedere dalla loro criminale politica.

Egregio presidente del Consiglio dei ministri,

tragga ispirazione dalla memoria di Giorgio La Pira, faccia della nonviolenza la vera, grande, necessaria, urgente trasformazione – evoluzione, progresso – di cui la politica, non solo italiana ma dell’umanità intera, ha assoluto bisogno.

Voglia gradire distinti saluti,
Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani”

Viterbo, 18 dicembre 2015, Giornata internazionale per i diritti dei migranti