articolo di Deborah Lucchetti dal suo blog sull’Huffington Post (pubblicato con il permesso dell’autrice)

A pagina 27 del rapporto “Choose and reward responsible partners – our Conscious Action” H&M dichiara che “in seguito alle ispezioni previste dall’Accordo per la prevenzione degli incendi e la sicurezza in Bangladesh, le azioni correttive previste dal Programma di Ispezione dell’Accordo sono state concluse”. Con questa dichiarazione riportata anche nel Sustainability report 2014 (p.29 e p.35) H&M, il secondo più grande colosso mondiale della moda, vuole rassicurare milioni consumatori che va tutto bene e che le vittime del Rana Plaza non sono morte invano. Ma è davvero così?

Come molti ricorderanno, il 24 aprile del 2013 il Rana Plaza, edificio multipiano che ospitava 5 fabbriche tessili in Bangladesh, collassò sotto il peso delle macchine e a causa di gravissimi problemi strutturali. Rimasero uccisi 1.138 lavoratori e più di 2.500 riportarono ferite e gravi danni psicologici. Parliamo della più grave tragedia industriale del settore tessile mai accaduta cui seguì la firma dello storico accordo per la messa in sicurezza delle fabbriche nate per fornire le grandi multinazionali della moda. Oggi quell’accordo è stato firmato da più di 200 imprese e sono state condotte ispezioni indipendenti in più di 1.300 fabbriche. Grazie a quell’accordo pubblico, trasparente e legalmente vincolante è stata prevista la messa in sicurezza delle aziende non conformi anche tramite il supporto finanziario dei marchi committenti entro un tempo stabilito. A due anni di distanza, è possibile fare un primo bilancio e smascherare chi sta bluffando.

Clean Clothes Campaign, ILRF, MSN and WRC (le quattro ong firmatarie dell’Accordo in qualità di osservatori) hanno appena pubblicato un rapporto che valuta le dichiarazioni di H&M a partire dalle informazioni pubbliche contenute sul sito dell’Accordo dove, per la prima volta, sono stati pubblicati tutti gli esiti delle ispezioni in corso, compreso lo stato di avanzamento delle azioni correttive in ogni fabbrica. Uno strumento formidabile che mette chiunque nelle condizioni di monitorare cosa si sta davvero facendo per migliorare la sicurezza dei lavoratori impiegati nelle fabbriche tutelate dall’accordo.

I risultati sono gravi e sorprendenti. H&M, il più grande acquirente in Bangladesh e primo firmatario dell’Accordo, ha nel paese 229 fornitori dei quali 56 classificati come Platinum o Gold, vale a dire fornitori strategici con le migliori performance in materia di sostenibilità. Sono i primi della classe che producono il 60% dei prodotti H&M nel paese. Attraverso un’analisi accurata dei dati pubblicati sul sito, gli attivisti hanno valutato lo stato di avanzamento in materia di salute e sicurezza di 32 “campioni etici” fornitori di H&M, rilevando che la maggior parte delle azioni correttive (52%) sono in grave ritardo, le riparazioni strutturali sono quelle più indietro (71,6%), seguite da quelle relative agli impianti anti-incendio (50,1%) e degli impianti elettrici (37,8%). In molti casi i blocchi che impediscono ai lavoratori di fuggire in caso di incendio sono stati rimossi ma ancora nel 16,1% dei casi ciò non è avvenuto. Mentre nel 55,2% delle fabbriche permangono i cancelli scorrevoli e le porte che impediscono ai lavoratori di scappare in caso di pericolo. Nel 60,7% dei casi le porte antincendio devono essere ancora installate, così come scale di emergenza sicure. L’installazione delle porte tagliafuoco e la recinzione delle scale di emergenza costituiscono i due provvedimenti chiave per prevenire la morte dei lavoratori in caso di incendio. Tutte le fabbriche ispezionate ancora in queste condizioni sono delle vere e proprie trappole mortali.

Una realtà che contrasta con le informazioni diffuse dal gruppo svedese nei suoi rapporti ufficiali. H&M pertanto non sta rispettando gli accordi vincolanti assunti per evitare nuovi disastri come il Rana Plaza. E non dice la verità ai milioni di consumatori che pensano di acquistare prodotti confezionati nel rispetto degli standard minimi di sicurezza. Una pessima figura per un’azienda che vuole essere paladina mondiale della sostenibilità e dell’etica negli affari. Gli estensori del rapporto di denuncia dei comportamenti di H&M hanno anche lanciato una petizione per richiamare l’azienda ai suoi obblighi e ricordargli che la prima “azione consapevole” da compiere è quella di rispondere ai sindacati che hanno chiesto all’azienda di rendere conto del grave ritardo nel rispettare gli obblighi previsti dall’accordo e comunicare tempi e modi per onorarlo con tempestività. Ma H&M non ha ancora risposto. Un altro indicatore della distanza tra le dichiarazioni e i fatti.

Deborah Lucchetti

Attivista, coordinatrice Campagna Abiti Puliti e presidente FAIR

@deblucchetti

L’articolo originale può essere letto qui