“Siamo l’’ultimo paese sovietico d’’Europa”; con queste parole Erasmo D’’Angelis, capo dell’’unità di missione Italiasicura e rappresentante del Governo Renzi, ha salutato il battesimo di Utilitalia, la nuova associazione dei gestori di servizi pubblici locali, nata dalla fusione di Federambiente e di Federutility.“Dobbiamo passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico locale. Settore quest’’ultimo che va inserito subito in Utilitalia, perché sarà il primo a bandire le gare per affidare la gestione dei servizi”. Ecco scodellato in tre righe il programma del governo, naturalmente non discusso in nessuna sede con i cittadini, gli enti locali e le comunità territoriali, bensì annunciato di fronte alla nuova holding dei gestori. Anche perché, ai cittadini D’’Angelis e Renzi dovrebbero spiegare che ne è della vittoria referendaria del giugno 2011, con la quale 27 milioni di italiani avevano sancito la gestione pubblica, partecipativa e senza profitti dell’’acqua e dei beni comuni.Un programma di governo portato avanti a colpi di normative (SbloccaItalia, Legge di stabilità, disegno di legge Madia) e con l’’utilizzo del patto di stabilità interno come arma contro i cittadini, consentendo ai sindaci di poter utilizzare e spendere le somme ricavate dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali.“L’’obiettivo di queste fusioni e incorporazioni sarà l’’innalzamento dello standard di qualità dei servizi e la riduzione dei costi per i cittadini” ha chiosato il presidente di Utilitalia Giovanni Valotti, trovando l’’immediato consenso del presidente dell’Autorità per l’energia Guido Bortoni –il cui stipendio, giova ricordare, è pagato dalle medesime società di servizi- e del Ministro per la pubblica amministrazione Marianna Madia.

Occorre forse qui ripetere un semplice ragionamento, che si pensava, dopo un referendum, di non dover più riprendere. Dentro quest’’idea di privatizzazione e di finanziarizzazione dei servizi pubblici locali, vogliono lor signori dirci una volta per tutte da dove proverranno i profitti per le grandi multiutility che tutto gestiranno?

Perché a noi risulta che nel caso della gestione dell’’acqua, dei rifiuti, dell’’energia, ovvero di tutti i beni comuni, il profitto sia concretamente ottenibile solo ed esclusivamente da cinque possibili fattori: a) la riduzione del costo del lavoro, attraverso la diminuzione dell’occupazione e la precarizzazione dei contratti; b) la riduzione degli investimenti, come già sperimentato nell’’ultimo decennio di gestioni attraverso SpA; c) la riduzione della qualità del servizio, con meno manutenzioni, controlli etc.; d) l’’aumento delle tariffe, che infatti salgono esponenzialmente; e) l’’aumento dei consumi della risorsa. Tutti fattori in diretto contrasto con l’’interesse generale e che si realizzano puntualmente in ogni processo di privatizzazione. Quanto al mantra dell’’economia di scala, anche i sassi ormai sanno che, oltre una certa soglia (300.000 abitanti, salvo realtà urbane metropolitane), la scala più ampia produce esattamente disservizi e diseconomie.

Territorio per territorio, comunità locale per comunità locale, occorre opporsi a questo disegno, rivendicando la riappropriazione sociale dei beni comuni, della ricchezza collettiva e della democrazia dal basso come condizioni per un altro modello sociale. Bisogna riprendersi il comune per riprendersi i Comuni.

Marco Bersani, Attac Italia

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