Global Research, 3 marzo 2015

Prof. Yakov M. Rabkin, professore di storia all’università di Montreal

Il premier israeliano è perfettamente adatto per spiegare al Congresso il presunto pericolo del potere nucleare iraniano. Dopo tutto, è stato Israele insieme ai suoi alleati di Washington ad inventare questa questione fin dall’inizio. Ora tocca a Netanyahu tentare di dar credito a quell’affermazione, sebbene persino i servizi segreti americani, europei e israeliani non siano d’accordo sul fatto che l’Iran starebbe cercando di produrre armi nucleari. Alcuni forse si ricordano che le asserzioni secondo cui l’Iraq possederebbe armi di distruzione di massa erano provenute in gran parte dalle stesse fonti, vicine al partito israeliano di destra Likud.

Il lavoro di lobby del partito Likud ha fomentato in modo determinante la campagna contro l’Iran. Infatti, in occasione dell’incontro dell’AIPAC nella primavera del 2006, l’Iran è stato particolarmente preso di mira, grandi schermi che alternavano immagini di Adolf Hitler che denunciava gli ebrei e poi del Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che minacciava di “cancellare Israele dalla faccia della terra”. Lo show terminava con uno sbiadito augurio post-olocausto “mai più”. In pochi mesi la lobby ha distribuito ben 13.000 cartelle stampa solo tra i giornalisti statunitensi per fissare bene nelle teste dei media queste immagini cariche di pathos.

I leader iraniani sono stati continuamente raffigurati come gente che nega l’olocausto e che minaccia di cancellare Israele dalla faccia della terra. Queste due affermazioni sono state pubblicate in migliaia di giornali: l’Iran è uno stato ambiguo e una minaccia per la pace mondiale. Sono state persino usate per imporre le sanzioni occidentali contro l’Iran che avrebbe tentato di produrre armi nucleari. Milioni di iraniani soffrono a causa di queste sanzioni e ancora più persone in Iran soffrirebbero un intervento militare che per Tel Aviv e Washington non è ancora escluso. Ecco perché si devono analizzare in dettaglio queste affermazioni secondo cui i governanti iraniani sarebbero degli antisemiti accaniti.
La questione del programma nucleare iraniano richiede un’analisi razionale. La correlazione tra Israele/sionismo ed ebrei/ebraismo ha soffocato da tempo il dibattito razionale sul Medio Oriente. I critici di Israele, ebrei e non, vengono regolarmente accusati di antisemitismo. Tali accuse hanno iniziato a influenzare ampiamente le relazioni internazionali. E la “bomba atomica iraniana” ne è un esempio. Netanyahu giunge a Washington, fingendo di parlare nel nome del popolo ebraico mondiale invece che quale rappresentante eletto dai cittadini di Israele, un terzo dei quali non sono neppure ebrei.

La negazione dell’olocausto

Tra i partecipanti alla conferenza internazionale sull’Olocausto, organizzata dall’ex-presidente iraniano quasi dieci anni fa, figuravano alcuni noti “negatori” dell’Olocausto e anche un gruppetto di ebrei ortodossi in abiti neri che raccontavano del massacro nazista contro i loro parenti. È di poco interesse pratico dibattere sul fatto se Ahmadinejad neghi la veridicità dell’Olocausto o meno, visto che oramai non detiene più il potere. Ma ci si potrebbe meravigliare per quale motivo tendiamo a considerare la negazione dell’Olocausto una questione talmente grave. Infatti, un “negatore” del massacro di centinaia di migliaia di ebrei in Ucraina nel 17esimo secolo o dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 15esimo passerebbe quasi del tutto inosservato. A rendere unico l’Olocausto, non sono solo la sua immediatezza e la sua ampiezza, ma anche le manipolazioni sioniste della sua memoria.
I leader iraniani non erano stati i primi a denunciare il prezzo che l’establishment israeliano ha estorto ai palestinesi (musulmani, cristiani e anche alcuni ebrei), costretti a pagare per un crimine commesso in Europa, da nazisti europei, contro ebrei europei. Per quanto possa valere quest’obiezione, essa non equivale ad una negazione dell’Olocausto, ma piuttosto ad un’obiezione contro l’uso di questa tragedia quale mezzo di legittimazione del fatto che il sionismo e Israele continuino ad espropriare i palestinesi.
Secondo Moshe Zimmermann, professore di storia tedesca e noto intellettuale israeliano, “la shoah viene spesso strumentalizzata. Cinicamente si può dire che la shoah è uno tra gli oggetti più utili per manipolare il pubblico e in particolare il popolo ebraico in Israele e all’estero. Nella politica israeliana la shoah viene usata per dimostrare che un ebreo disarmato equivale ad un ebreo morto”.

Gli usi politici del genocidio nazista sono comuni. Secondo l’ex ministro dell’educazione israeliano “l’olocausto non è una follia nazionale accaduta nel passato e ormai trascorsa, ma un’ideologia ancora presente, in quanto ancora oggi potrebbe succedere che il mondo legittimi dei crimini contro di noi”. Oltre a fornire a Israele una ragion d’essere alquanto persuasiva, l’olocausto ha anche dimostrato di essere un mezzo potente per sostenere Israele. Un parlamentare israeliano l’ha posta in questi termini diretti:

“Persino i migliori amici del popolo ebraico evitarono di offrire sostegno agli ebrei europei e volsero le spalle ai camini dei campi di sterminio … per questo tutto il mondo libero, in particolare in quest’epoca, deve dimostrare pentimento … offrendo sostegno diplomatico, difensivo ed economico a Israele”.

L’industria dell’olocausto di Norman Finkelstein documenta ampliamente come la memoria del genocidio nazista possa essere sfruttata a fini politici. Per decenni, l’olocausto ha svolto la funzione di strumento di persuasione nelle mani della politica estera israeliana al fine di soffocare qualsiasi critica e creare simpatia verso uno stato che si traveste dall’eroe collettivo di sei milioni di vittime. Netanyahu, nei suoi dibattiti pubblici sull’Iran, invoca regolarmente l’olocausto. Asserisce che l’ipotetica bomba atomica iraniana costituisca “una minaccia esistenziale”. Inoltre, in una conclusione priva di senso chiama Israele “l’unico luogo sicuro per gli ebrei”. All’indomani dei recenti attentati contro cittadini di origine ebraica a Parigi o Copenaghen, Netanyahu ha nuovamente invitato gli ebrei europei a lasciare i loro paesi per trasferirsi in Israele, loro “vera patria”. Le sue invettive su un “olocausto nucleare” sul fronte iraniano hanno gioco facile presso i suoi sostenitori, ma è difficile che rappresentino un’argomentazione razionale di politica estera.

Eliminare Israele dalla faccia della terra

Tanto inchiostro è stato versato anche su un’altra affermazione, secondo la quale l’Iran avrebbe dichiarato la propria intenzione di “eliminare Israele dalla faccia della terra”. Juan Cole e altri hanno dimostrato che si trattava di un errore di traduzione e che la parola “faccia della terra e/o carta geografica” non figurava nell’originale. Infatti si tratta di una citazione da una delle vecchie invettive anti-sioniste dell’Ayatollah Khomeini: Esrâ’il bâyad az sahneyeh roozégâr mahv shavad, che tradotta significa “Israele deve sparire dalla pagina del tempo”. Dopo questa storia inventata sulla “cancellazione di Israele dalla faccia della terra”, queste parole iniziarono a fare il giro del mondo, martellando per bene l’opinione pubblica. Infatti gli istigatori sionisti della campagna contro l’Iran le hanno usate fino alla noia. Un rapporto pubblicato di recente sull’Iran da parte del Centro degli Affari Pubblici di Gerusalemme, una fabbrica di pensiero sionista particolarmente attiva nella conduzione della campagna contro l’Iran, traduce correttamente la citazione di Khomeini, ma insiste comunque sul fatto che si tratti di un incitamento al “genocidio”. Quest’ultimo è diventato il termine favorito nelle recenti pubblicazioni sioniste: lo stesso rapporto fa riferimento al “genocidio fallito del 1948 da parte di diversi stati arabi e dei palestinesi contro Israele”.

I leader iraniani invece hanno ripetutamente richiesto di risolvere i problemi del mondo, inclusa la questione palestinese, con il dialogo. Hanno proposto tra l’altro “un referendum libero per istituire un governo basato sulla volontà della nazione palestinese, inclusi ebrei, cristiani e musulmani, in cui tutti abbiano diritto di voto”.

Nessuna di queste proposte sembra prevedere un intervento militare e non può essere interpretata come “minaccia esistenziale”. Ecco perché allora nei media comuni non interessa a nessuno: infatti le affermazioni moderate provenienti da Teheran non vale la pena pubblicarle.

I leader iraniani hanno anche affermato che “il regime sionista sarà eliminato quanto prima, come l’Unione Sovietica, e che l’umanità otterrà presto la libertà”. Come l’Unione Sovietica è stata disintegrata in modo pacifico, allo stesso modo anche Israele scomparirà in modo pacifico, cedendo al peso delle proprie contraddizioni interne. Visto che l’Unione Sovietica non è stata cancellata da una pioggia di bombe atomiche, l’Iran non suggerisce l’uso della forza neppure per smantellare Israele. Inoltre non avrebbe alcun senso vista l’estrema superiorità militare israeliana quale unica potenza nucleare regionale.

La richiesta di porre termine al sionismo non significa la distruzione di Israele e della sua popolazione. Secondo Jonathan Steel del Guardian non si tratta che di un “vago desiderio futuro”. Questo desiderio equivale ad una preghiera per “uno smantellamento pacifico dello stato sionista”, pronunciata regolarmente dai membri del gruppo antisionista ebraico Neturei Karta. Infatti la liturgia ebraica abbonda di prese di posizione alquanto aggressive nei confronti di chi non riconosce Dio o commette il male. Ad esempio nei servizi delle festività principali noi ebrei recitiamo la frase u’malkhut ha’rishaa kula ke’ashan tikhleh (e che il regno del male scompaia come il fumo). Il significato letterale significa annichilire o distruggere un intero paese, ma il vero significato di “regno del male” significa che ogni azione nefasta in ogni luogo verrà eliminata. Non si parla dunque di una persona in particolare e neppure di migliaia di persone innocenti.

Anche se milioni di ebrei recitano questa invocazione ogni anno, questo non significa la guerra atomica. Ma se volessimo demonizzare gli ebrei, potremmo usare quest’invocazione e trasformarla in un’accusa infondata secondo cui gli ebrei vorrebbero distruggere interi paesi. Alcuni israeliani laici hanno interpretato questa preghiera tradizionale quale invocazione alla distruzione della maggioranza secolare della popolazione ebraica in Israele. Per questo la tradizione ebraica rifiuta le interpretazioni letterali dei testi sacri e si rifà a quelle dei rabbini, anche se a volte molto inverosimili. I rabbini ad esempio interpretano unanimamente il principio biblico “occhio per occhio” quale obbligo di pagare una compensazione monetaria per salvare l’occhio del reo. La preghiera liturgica ebraica menzionata è un esempio di retorica religiosa basata su metafore espressive che si riferiscono a un desiderio di vedere un mondo senza il male.

Per ritornare alla nostra tematica principale: sono ormai passati oltre trecento anni dall’ultima volta che l’Iran ha attaccato un altro paese, cosa che non si può dire di Israele e degli Stati Uniti. Considerare l’Iran meno responsabile di Israele di cui si sa per certo che possiede armi nucleari sembra un residuo incoerente della mentalità coloniale.

Inoltre l’Iran combatte attivamente gli estremisti dello “Stato Islamico” che giustifica le proprie atrocità servendosi di interpretazioni letterali del Corano. Gli ebrei in Iran continuano a praticare l’ebraismo senza essere disturbati dalle autorità iraniane e desiderano continuare a vivere nel paese in cui hanno vissuto per millenni, e questo mentre la maggior parte dei leader iraniani anti-sionisti ha dichiarato di non essere anti-semita. Infatti se fossero state antisemite, le autorità iraniane avrebbero perseguitato gli ebrei locali, invece di provocare la potenza nucleare israeliana.

La pretesa di Netanyahu di parlare “nel nome di tutti gli ebrei” mette in pericolo gli ebrei, e soprattutto quelli iraniani. Alcuni sionisti comunque rimangono imperterriti e rimproverano persino gli ebrei iraniani per non essere emigrati in Israele da tempo. Questo atteggiamento espone la forse più antica comunità ebraica del mondo musulmano, visto che ovviamente la ragione di stato israeliana spesso prevale sul benessere e sulla sopravvivenza concreta delle comunità ebraiche. I sionisti considerano gli ebrei che vivono al di fuori di Israele quale potenziali immigrati o beni provvisori per promuovere gli interessi israeliani.

Dissenso ebraico

Il discorso di Netanyahu al congresso statunitense e la sua attuale campagna contro l’Iran hanno causato profonde divisioni tra gli ebrei che sostengono incondizionatamente Israele e quelli che rifiutano o mettono in dubbio il sionismo e l’agire dello stato israeliano. Il dibattito pubblico sulla posizione di Israele all’interno della continuità ebraica è diventato aperto e franco, non solo in Israele, ma anche all’estero. Molti vedono il futuro dello stato di Israele quale uno stato di cittadini, ebrei, musulmani, cristiani ed atei, più che di uno stato basato e gestito nel nome dell’ebraismo mondiale.

Mentre sono pochi gli ebrei a meravigliarsi pubblicamente del fatto se lo stato di Israele, cronicamente insicuro, “sia veramente un bene per gli ebrei”, molti di più disapprovano che il sionismo distrugga i valori morali ebraici e metta a repentaglio gli ebrei sia in Israele sia all’estero. Ad esempio il film Munich di Steven Spielberg focalizza in modo decisivo sul costo morale dell’affidamento cronico di Israele alla forza. In una scena, un membro dell’unità israeliana di picchiatori, che cacciano gli attivisti palestinesi della diaspora, rimane disgustato e proclama: “Siamo ebrei e gli ebrei non commettono il male perché i nostri nemici lo fanno… siamo ritenuti virtuosi. E questa è una bella cosa. È essere ebrei…” Mentre Schindler’s List indaga le minacce alla sopravvivenza fisica degli ebrei, Munich espone le minacce alla loro sopravvivenza spirituale. Chiaro che i sostenitori del Likud in America hanno ettato gango sul regista ebreo e sul suo film ancora prima che uscisse nei cinema. Hanno diffamato anche diversi libri pubblicati di recente (Prophets Outcast, Wrestling with Zion, Myths of Zionism, The Question of Zion) e incentrati sul conflitto di fondo tra sionismo e valori ebraici tradizionali. Il discorso di Netanyahu al Congresso ha profondamente lacerato questo conflitto intra-ebraico.

La lobby del Likud sostiene continuamente che gli ebrei che osano criticare Israele metterebbero a repentaglio il suo “diritto di esistere” e fomenterebbero dunque l’antisemitismo. Questo ha condotto alcuni ebrei britannici, canadesi e statunitensi famosi a prendere la parola nel contesto di un dibattito aperto su Israele nei media e persino nelle pubblicazioni conservatrici. La nota rivista pro-establishment Economist ha pubblicato un’indagine sullo “stato degli ebrei” e un editoriale indirizzato agli ebrei comuni della diaspora per farli superare l’atteggiamento tipico secondo cui “il mio paese ha sempre ragione, anche quando ha torto”, adottato da numerose organizzazioni ebraiche. Questo certamente intacca l’immagine degli ebrei quale gruppo riunito intorno alla bandiera israeliana.
L’impegno a favore dell’emancipazione ebraica dallo stato di Israele e la sua politica ha superato alcune vecchie dissidenze, creandone comunque anche delle nuove. Pertanto un critico ultraortodosso di Israele, che normalmente si oppone all’ebraismo riformista, si è complimentato con un rabbino riformista che aveva affermato:

“Se i sostenitori ebrei di Israele non si oppongono alla politica catastrofica che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini e neppure crea il clima appropriato in cui lavorare per una pace giusta con i palestinesi … poi stanno anche tradendo i valori ebraici millenari e agendo contro gli interessi israeliani a lungo termine”.

Molti ebrei e israeliani credono che la lobby del Likud, uno sforzo collettivo dei cristiani, ebrei, musulmani ed atei di destra, rappresenti la più grande minaccia per la sicurezza a lungo termine di Israele, visto che sostiene regolarmente i falchi di Israele, indebolendo invece gli israeliani che nella regione si impegnano per la riconciliazione. La lobby promuove anche l’antisemitismo visto che spesso viene considerata “ebraica”, dando dunque l’impressione errata secondo cui gli ebrei detterebbero la politica estera americana, spostandola verso destra. Infatti la maggior parte degli ebrei statunitensi ha votato Barak Obama. Mentre i leader israeliani attuali e i loro alleati in America continuano ad incitare il mondo contro l’Iran, diverse organizzazioni pacifiste in Israele e in diverse comunità della diaspora ebraica hanno rilasciato delle dichiarazioni che condannano la campagna anti-iraniana e il comportamento di Netanyahu.

Oggi, in assenza di stati arabi che rappresentino una minaccia militare per Israele, è l’Iran che gli israeliani vengono indotti a temere. E proprio vicino all’Iran, che ha affermato a più riprese di non aver alcuna intenzione di acquistare armi nucleari, si trova il Pakistan, un regime instabile con un forte movimento islamista, con fazioni di Al-Qaeda, e che possiede un arsenale nucleare non immaginario, ma reale. Anche se il Pakistan non ha minacciato Israele, le “minacce esistenziali” potrebbero non avere mai fine, se lo stato sionista andrà avanti per la sua strada, continuando a sfidare i popoli dell’intera regione, negando giustizia ai palestinesi.

Una precisazione

Le due accuse cariche di emotività rivolte all’Iran hanno dominato i media occidentali. Un’altra accusa secondo cui l’Iran avrebbe approvato una legge che costringerebbe gli ebrei a portare dei simboli di riconoscimento gialli è stata riportata dal Toronto National Post alcuni anni fa, rinforzando l’immagine dell’Iran quale nuova Germania nazista. Anche se l’articolo fu ritirato il giorno dopo, sono più le persone a ricordarsi della notizia che non della successiva smentita dal quotidiano, di propietà di canadesi impegnati nel Likud.
Quest’informazione errata sicuramente aiuta a preparare l’opinione pubblica a un intervento militare statunitense o israeliano contro l’Iran ricco di petrolio, un inquietante remake della paura delle illusorie armi di distruzione di massa irachene che hanno provocato un intervento militare gigantesco contro quel paese sfortunato, la cui popolazione aveva già sofferto per decenni a causa delle sanzioni occidentali. Saddam Hussein è stato debitamente ritratto come un’altra incarnazione di Hitler e di nuovo è stato invocato lo spettro dell’olocausto nucleare.

È Israele che presumibilmente possiede centinaia di armi nucleari e a differenza dell’Iran si rifiuta di firmare il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare. L’Iran invece non ha mai dichiarato di essere intenzionato a produrre armi nucleari. Secondo noti esperti israeliani l’Iran non sarebbe in grado di acquistare una tale capacità nucleare-militare per 5-10 anni, e anche se l’acquisisse, l’Iran lo farebbe per proteggersi dalle incursioni israeliane e sicuramente non per attaccare Israele.

I leader iraniani vengono erroneamente visti come estremisti forsennati con poteri illimitati da cui aspettarsi delle azioni irrazionali. Ne segue che devono essere fermati ad ogni costo. Questo aspetto si è trasformato oramai in un mantra non solo per i politici israeliani di destra, ma anche per un retorico come Netanyahu – che disprezzando la Carta delle Nazioni Unite minaccia apertamente di attaccare l’Iran – e per alcuni politici americani che lo ammirano. Mentre la Casa   Bianca e gli esperti di politica estera e dei servizi segreti sanno che né Israele né gli Stati Uniti sono minacciati da un attacco iraniano, le loro argomentazioni razionali sembrano essere meno persuasive della retorica carica di pathos. Gli Stati Uniti hanno noti interessi geopolitici nel Golfo Persico, ma le accuse contro l’Iran basate sulla deliberata idetificazione di Israele con gli ebrei potrebbero distorcere il modo di fare politica estera a Washington.
Gli intellettuali apprezzano la precisione. E ai politici serve in ugual modo visto che da loro ci si aspetta un agire prudente e razionale. L’ingerenza di Netanyahu nella politica estera americana fa parte del suo tentativo a lungo termine di allineare gli interessi della grande potenza a quelli dello stato sionista. Per questo le sue argomentazioni vanno prese con le pinze e senza emozioni superflue che spesso oscurano le questioni riguardanti Israele e i suoi vicini. Per diversi anni le diplomazie estere si sono concentrate sul contenimento dell’intervento militare israeliano contro l’Iran. Israele allora aveva le mani libere per trattare i palestinesi con sostanziale impunità. La nuova “minaccia esistenziale” dell’arma di distruzione di massa ipotetica a Israele serviva da vera e propria “arma di distruzione di massa”. L’incredibile crescita dello Stato Islamico a livello grafico mostra che meccanismi possono innescare la demodernizzazione e la successiva disperazione in certe regioni del mondo. Basta citare l’esempio dell’Iraq, della Libia e della Siria, tutti e tre paesi soggetti a interventi militari esterni, e il seguente emergere dello Stato Islamico per capire che la destabilizzazione di un paese o di una regione ha conseguenze devastanti e di vasta portata. Il premier israeliano invoca la cosiddetta minaccia iraniana per rallentare o invertire la politica iraniana di modernizzazione. La forzata demodernizzazione dell’Iraq, della Siria e della Libia, i paesi più antichi e colti del mondo arabo, ha sicuramente giovato alla posizione strategica israeliana all’interno della regione. Netanyahu comunque ci dovrà spiegare come la demodernizzazione dell’Iran gioverà agli Stati Uniti.

Traduzione italiana: Dr. phil. Milena Rampoldi dell’associazione ProMosaik e.V.