Pubblichiamo ora la traduzione della seconda parte dell’articolo di Danny Katch

L’AUMENTO DELLA DISEGUAGLIANZA non è un problema circoscritto a New York. I 400 americani più ricchi hanno in mano maggiore  ricchezza rispetto al 60 per cento della popolazione. In altre parole, ciascuno di questi miliardari possiede più di quanto abbiano quasi 500.000 persone complessivamente. Per fare un altro esempio, ognuno degli appartenenti a questa élite di miliardari è più ricco di tutta la popolazione di Atlanta messa insieme.

Anche il reddito annuo è radicalmente sbilanciato. Nel 1980, il ricco 1 per cento del paese rappresentava il 10 per cento del reddito complessivo. Trentacinque anni dopo, tale quota di reddito è più che raddoppiata, arrivando al 22 per cento. Se la distribuzione del reddito fosse rimasta quella del 1980, quando comunque gli Stati Uniti già erano uno dei paesi più diseguali tra le nazioni più ricche, il reddito medio annuo oggi sarebbe di 10.000 dollari in più.

E queste statistiche sul reddito non prendono in esame il divario di ricchezza, proveniente principalmente da investimenti, piuttosto che dai salari, e che quindi è ancora più sbilanciata verso i ricchi. Quasi il 25 per cento di tutta la ricchezza del paese è di proprietà non del’1 per cento ma dello 0,1 per cento: all’incirca 300.000 persone.

Se un solo millesimo della popolazione possiede quasi un quarto del paese, quanti soldi rimangono per tutti gli altri? L’ovvia risposta è: non tanto. Oltre un terzo di tutti gli adulti negli Stati Uniti è segnalato nella centrale rischi per debiti in riscossione, secondo uno studio dell’Urban Institute, con un debito medio di 5.200 dollari. Il Bureau of Labor Statistics segnala che ci sono 369.000 persone impiegate nel settore del recupero crediti.

È interessante notare come ci sia una certa simmetria tra il numero di persone in quello 0,1 per cento che possiede un quarto della ricchezza e il numero di persone impiegate per riscuotere i debiti di quei circa 90 milioni persone che possiedono meno di niente.

Quindi, che sia misurata in base al reddito, alla ricchezza o ai debiti, la diseguaglianza negli Stati Uniti è ai livelli più alti dal 1929. Quello era stato l’anno finale dei ruggenti anni venti, a loro volta il decennio finale del mezzo secolo che aveva visto la nascita del capitalismo moderno, un’era nella quale un manipolo di uomini ha spremuto la propria fortuna dagli operai che lavoravano turni di 14 ore e da agricoltori permanentemente indebitati.

Oggi, chiamiamo la fine Ottocento e i primi del Novecento l’Età dell’oro, dal romanzo di Mark Twain su avidità e corruzione. Industriali come John Rockefeller e Andrew Carnegie furono chiamati “capitani d’industria” dai loro ammiratori… e “baroni briganti” dai loro detrattori. Istituirono organizzazioni benefiche e costruirono biblioteche perché le generazioni future pensassero a loro come donatori generosi, anziché datori di lavoro brutali che avevano ordinato di sparare sui lavoratori in sciopero, come a Homestead, in Pennsylvania e a Ludlow, in Colorado.

Il divario tra ricchi e poveri sta tornando ai livelli dell’Età dell’oro. Ma ci viene detto che le cose oggi sono diverse rispetto a quei brutti vecchi tempi. La crescente diseguaglianza è presentata nei media non come il frutto della lotta di classe, ma come un processo neutro derivato per caso da impalpabili, impersonali, forze come “globalizzazione” e “tecnologia”.

Spesso, si incolpa lo stesso 99 per cento per non essere in grado di aggiudicarsi gli apparentemente numerosi posti di lavoro ben pagati e appaganti a disposizione per lavoratori con adeguate competenze e formazione. Eppure, mai il numero di americani che frequentano l’università è stato così alto, americani che per questo sprofondano sempre più nei debiti.

Il nocciolo della questione è questo: Il crescente divario tra i ricchi e tutti gli altri non è causato da misteriose nuove forze, ma da una di tipo molto vecchio: il furto.
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La più grande rapina nella storia, commessa dalla classe dirigente, è formata da tre parti distinte, ognuna con la propria tecnica criminale. C’è la rapina vera e propria, effettuata imponendo salari sempre più bassi per aumentare i profitti. C’è la corruzione, con una pioggia di denaro distribuita sul Congresso in cambio di riduzioni fiscali per i super-ricchi. E c’è il grande raggiro, fatto di complicati meccanismi finanziari escogitati da Wall Street per risucchiare soldi dai risparmio della gente comune.

Il più significativo di questi crimini è l’attacco contro i salari. L’Economic Policy Institute (EPI) evidenzia come nel 2014 i salari della maggior parte dei lavoratori siano rimasti fermi o siano persino diminuiti. La rivelazione non ha suscitato meraviglia perché, come ha sottolineato lo stesso EPI, la cosa va avanti da 35 anni. In questo stesso periodo, il tasso di produttività, cioè la ricchezza prodotta dagli operai per i loro padroni per ora lavorativa, è cresciuta del 64 per cento.

Un articolo del Wall Street Journal nel marzo scorso affrontava il discorso dei bassi salari come un fenomeno misterioso sui quali i padroni erano impotenti. “La stagnazione dei redditi ha bloccato il consumatore americano per anni,” riportava il giornale, “creando un circolo vizioso per cui le imprese rimanevano in attesa di una ripresa dei consumi prima di accelerare su assunzioni ed investimenti”.

In realtà, la società che ha effettuato più assunzioni basa il proprio modello operativo proprio sulla stagnazione dei salari.

Walmart, il più grande datore di lavoro privato nel paese, ha ricevuto una pioggia di apprezzamenti da parte dei media quando, il mese scorso, ha annunciato che avrebbe innalzato la paga oraria minima dei suoi venditori a 9 dollari nel mese di aprile e a 10 dollari nel giro di un anno. Se la stampa fosse un po’ meno infatuata del colosso aziendale, avrebbe potuto sottolineare che l’attuale paga media di 8,81 dollari l’ora, stando a Making Change at Walmart, coalizione sostenuta dai sindacati, “si traduce in una retribuzione annua di 15.576 dollari, in base al contratto a tempo pieno di 34 ore applicato da Walmart. Questo è significativamente di sotto del livello di povertà a livello federale che era, nel 2010, di 22.050 dollari per una famiglia di quattro persone.” Anche con la paga minima aumentata, i venditori rimarranno sotto la soglia di povertà.

Walmart è certamente “vizioso”, ma non c’è nulla di circolare nel flusso di ricchezza, che anzi segue una linea retta a partire dai lavoratori che la creano fino al CEO Mike Duke, che guadagna 18 milioni l’anno, e ai sei ricchissimi membri della famiglia Walton, complessivamente valutati a 144 miliardi netti.

La seconda parte della rapina è rappresentata dalla diminuita tassazione dei più ricchi, sia sul loro reddito personale, dove la tassazione sul reddito oltre i 450.000 dollari per coppia è scesa dal 70 per cento degli anni settanta a meno del 40% di oggi – sia sui loro investimenti, come imposta sul capitale.

E poi ci sono le tasse che le società pagano, o piuttosto non pagano. L’aliquota fiscale ufficiale sugli utili aziendali è il 39 per cento, ma le società hanno grandi mezzi per assumere contabili e commercialisti in grado di trovare scappatoie, oltre a potersi permettere di versare tangenti o fare pressione sui politici eletti per ottenere facilitazioni ed esenzioni. Così, gli economisti hanno un’altra statistica per misurare ciò che le società pagano effettivamente. Si chiama l’aliquota fiscale aziendale reale, e si pone oggi al 12,6 per cento, che è inferiore all’aliquota d’imposta pagata da un venditore di Walmart non sposato.

Uno splendido esempio di come siano “fattive” le imprese nel non pagare le tasse è rappresentato da quel lussuoso edificio di Manhattan con il suo attico da 100 milioni di dollari che, grazie a un piano di incentivi per l’edilizia a prezzi sostenibili, ha potuto godere di una riduzione fiscale pari a 35 milioni di dollari!

Infine, c’è la stratosferica crescita del settore finanziario e i vari schemi di Wall Street diretti a intascare soldi con il pretesto di investire. Il New York Times ha recentemente segnalato come, da parte di consulenti finanziari, si stia cercando di convincere i fondi pensione a mettere maggiormente i soldi dei lavoratori in quei piani di investimento privati noti come hedge fund, anche se questi fondi hanno un rendimento inferiore rispetto alle azioni tradizionali.

Gli hedge fund sono un raggiro scandaloso: intascando il 20 per cento di tutti i profitti, più il 2 per cento di tutti i soldi investiti se si perde la “scommessa”, gli hedge fund hanno messo i loro possessori, non i clienti, sulla pista veloce verso il diventare miliardari. E, per coronare il tutto, questo “successo” per pochi è presentato come prova del perché le persone comuni dovrebbero affidare ancora di più i risparmi di una vita ai fondi hedge.

(Continua qui)

Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia per Pressenza