Pubblichiamo la terza e ultima parte della traduzione dell’articolo di Danny Katch

C’è sicuramente una crescente consapevolezza dell’aumento della diseguaglianza, e ciò grazie ad una serie di movimenti di protesta, iniziati nel 2011 con Occupy Wall Street, che ha spinto la gente a discutere del divario tra l’1 Per Cento e il 99 Per Cento.

Da allora, scioperi e manifestazioni dei lavoratori presso Walmart, McDonalds e altre aziende dai salari bassi hanno portato sotto i riflettori l’avidità stile Età dell’oro di alcune delle più grandi società del paese. Inoltre, la ribellione del popolo nero a Ferguson e il conseguente movimento Black Lives Matter hanno sollevato la questione non solo della violenza della polizia, ma della complessiva situazione di diseguaglianza razziale, 50 anni dopo l’approvazione del Civil Rights Act [Legge sui diritti civili].

Adesso, gli appartenenti del mondo politico, dopo essere stati al potere per anni, si stanno improvvisamente accorgendo del divario tra ricchi e poveri. Lo scorso ottobre Janet Yelle, presidente della Federal Reserve, si è detta “molto preoccupata per la crescente disuguaglianza.”

I Democratici sperano di utilizzare la questione della disuguaglianza come loro cavallo di battaglia nella prossima campagna elettorale, ma anche i Repubblicani ci stanno pensando. Un nuovo comitato di azione politica lanciato da Jeb Bush, speranzoso candidato alla presidenza, dichiara: “Mentre gli ultimi otto anni sono stati molto positivi per chi fa grandi guadagni, per il resto dell’America hanno rappresentato un decennio perso.”

Persino Mitt Romney, famoso per aver stigmatizzato quella metà del paese che non avrebbe votato per lui nel 2012 come “prenditori”, si sta avvicinando a questa visione populista. “Con la presidenza Obama” ha detto “i ricchi sono diventati più ricchi, la disparità di reddito è peggiorata, e il numero di persone in condizioni di povertà non è mai stato tanto alto come ora”.

Michael Bloomberg, tuttavia, è l’esempio di quei politici che non hanno adattato la propria retorica. Per la maggior parte del suo mandato da sindaco, è stato ammirato come qualcuno di estremamente ricco e di conseguenza estremamente intelligente. Alla fine del mandato,tuttavia, è stato scaricato in quanto miliardario miliardario lontano dalla vita reale, rimpiazzato dai newyorchesi con Bill de Blasio e la sua campagna in stile “Racconto di due città” contro il retaggio di Bloomberg.

A oltre un anno di distanza dall’inizio dell’era de Blasio, New York è ancora il racconto di due città. Il nuovo sindaco ha approvato alcune piccole riforme e ha un ottimo rapporto con alcuni leader sindacali e alcune organizzazioni, ma non ha nemmeno accennato a rettificare l’immenso furto perpetrato dalla élite della città negli ultimi 40 anni.

Da tutto ciò il resto del paese deve trarre una lezione: la soluzione alla disuguaglianza non è l’empatia, ma la ridistribuzione della ricchezza, che non è una questione di bontà d’animo. Si tratta di rettificare un crimine.

Non è una coincidenza se l’ultima disuguaglianza di queste proporzioni è stata quella del 1929. Allora si era alla vigilia della Grande Depressione, un periodo di tremenda sofferenza, ma che ha anche visto un’ondata di lotte operaie, spesso guidate dai socialisti, che hanno portato alla conquista del diritto al sindacato per milioni di lavoratori e costretto il governo federale a creare programmi come l’assicurazione contro la disoccupazione e la Previdenza sociale.

Queste vittorie non hanno certo messo fine alla disuguaglianza e all’ingiustizia del capitalismo, ma per mezzo secolo li hanno limitati. Avremo di nuovo bisogno di quello stesso livello di scioperi e proteste se vogliamo che la nostra generazione scriva la propria storia, riprendendosela dalle mani di Michael Bloomberg e dei suoi compagni miliardari.

Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia per Pressenza