Attraverso l’invito rivolto agli ebrei francesi a trasferirsi in Israele, Netanyahu sta promuovendo una visione in cui non ci sono un conflitto nazionale, un’occupazione in corso e un popolo palestinese, ma solo ebrei e musulmani radicali.

Ancora una volta gli attacchi in Francia hanno fornito a Benjamin (Bibi) Netanyahu l’occasione per far combaciare il titolo di Primo Ministro con il ruolo immaginario di supremo capo del popolo ebraico. Per questo invita gli ebrei francesi a immigrare in Israele.

Bizzarro. Il capo di una nazione costantemente in stato di guerra e che spesso entra in un vero e proprio conflitto sta implorando gli ebrei francesi di lasciare il loro paese per trasferirsi in Israele, sulla scia di due attacchi terroristici (di cui uno non era neppure diretto a un obiettivo ebraico). Anche ignorando l’assoluta faccia tosta della sua richiesta al governo francese (provate ad immaginare un capo di stato occidentale che invita gli israeliani a immigrare nel suo paese per via della scarsa sicurezza in Israele), nessuno potrebbe dubitare che gli ebrei francesi, una volta immigrati in Israele, si troverebbero in una situazione di maggiore pericolo. Non farebbe forse meglio il nostro Ministro degli Esteri a ragguagliare Netanyahu sui frequenti  avvertimenti riguardo ai viaggi nel nostro paese?

Se solo si analizzasse l’economia, dubito molto che l’appello di Netanyahu possa attrarre gli ebrei francesi. Mentre il livello di povertà in Israele è cresciuto fino ad arrivare al 23.6 %, la Francia è stata in grado di ridurlo intorno al 6%. In altre parole Netanyahu sta invitando gli ebrei francesi a trasferirsi in un paese dove un bambino su tre vive in miseria e dove il livello d’indigenza è quasi 4 volte maggiore di quello del loro paese d’origine.

Al di là dei temi della sicurezza e dell’economia, l’immigrazione di ogni genere è un processo molto delicato a livello sociale e psicologico. Tanto delicato che non riesco a capacitarmi come Netanyahu si sia permesso di invitare dei cittadini a lasciare le loro case. Questa settimana sono 36 anni che la mia famiglia ha lasciato l’Iran per immigrare in Israele. Secondo i parametri israeliani, siamo considerati un caso ben riuscito di aliyah (l’immigrazione degli ebrei dalla diaspora verso la Terra Promessa, N.d. T), eppure non passa giorno senza ricordare con dolore come siamo stati strappati dalla nostra casa, dalla nostra madrelingua, dai nostri più intimi codici culturali. Inoltre non posso fare a meno di osservare come quelle profonde cicatrici siano rimaste indelebili nei cuori dei miei genitori. Ma quanto bisogna essere ottusi per invitare con tanta arroganza delle persone a tagliare i ponti con il proprio passato?

L’appello di Netanyahu si rivela così infondato che ci impone di approfondire il reale incentivo che viene offerto agli ebrei di Francia. Che cosa può convincerli a trasferirsi in un paese alle prese con la povertà, la guerra e la corruzione? Perché mai vivere in un paese tuttora lacerato da un conflitto interno e considerato un paria da un numero crescente di nazioni? Perché mai andare ad abitare in un paese le cui azioni belligeranti sono in parte responsabili della crescente mancanza di sicurezza tra le comunità ebraiche in Europa e nel mondo?

Mi viene in mente un unico valido incentivo: il privilegio di essere formalmente posto al di sopra di un musulmano. Avere il diritto di vivere in un paese che ti preferisce semplicemente in quanto ebreo. E anche se non ci hai mai messo piede, Israele ti garantirà privilegi a scapito degli abitanti non ebrei che hanno vissuto in quelle terre per generazioni. Netanyahu sta in realtà affermando: in Francia sei un ebreo debole, vulnerabile e sotto attacco. L ‘esperienza israeliana ti darà un’uniforme e una bandiera, in nome delle quali potrai fare da padrone.

Considerando la situazione di ansia e vulnerabilità delle comunità ebraiche in Francia, si tratta in effetti di un invito allettante.

La presenza dei musulmani in Europa e le infinite discussioni sui suoi potenziali pericoli fanno il gioco di Netanyahu, che punta a rafforzare la semplicistica visione secondo cui gli ebrei sono sempre delle vittime, di un nuovo o antico antisemitismo, o dell’Islam radicale. Fomentare questa prospettiva serve a Netanyahu per due motivi: quando parla agli ebrei francesi (il Primo Ministro non ignora certo il potenziale politico di assicurarsi i loro voti come futuri cittadini del suo paese) e nel contesto locale. Non c’è nulla di più efficace per Bibi che unire tutti gli ebrei del mondo, presentandoli come un unico fronte compatto contro “la minaccia dell’Islam radicale”, amalgamando in un unico calderone lo Stato Islamico, Hamas e l’Iran.

Tutto questo aiuta Netanyahu a incoraggiare una visione globale dello Stato d’Israele in cui non ci sono un conflitto nazionale, un’occupazione in corso, un popolo palestinese e tanto meno una plateale violazione dei diritti umani, ma solo ebrei e musulmani. Facciamo una figura molto migliore combattendo una guerra di religione, piuttosto che mantenendo un’occupazione.

Orly Noy

Traduzione dall’inglese di Paola Mola

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