Nell’ambito del processo di rinnovamento del governo e di accelerazione delle riforme del paese, il premier indiano Modi ha istituito, lunedì 10 novembre, il ministero dello Yoga affidandolo a Shripad Yesso Naik. Una missione che può sembrare insolita agli occhi di una persona di estrazione occidentale ma che viene considerata come molto seria quella di Naik che avrà l’incarico di promuovere le pratiche meditative e quelle tradizionali quali lo Yoga, l’ayurveda, la naturoterapia, l’Unani, il Siddha, l’omeopatia. Del resto, il dirigente nazionalista indù, nominato primo ministro lo scorso maggio, è un fervente adepto di quelle antiche discipline a tal punto che in settembre aveva già fatto richiesta alle Nazioni Unite di indire la giornata mondiale dello Yoga.

“Lo Yoga permette di scoprire il senso dell’unità fra se, il mondo e la natura” aveva dichiarato recentemente il primo ministro.

Dopo la schiacciante vittoria delle legislative indiane e durante il suo discorso d’insediamento aveva fatto trapelare la sua volontà di portare la sua esperienza interiore, i suoi principi e la sua filosofia di vita al servizio della causa pubblica dichiarando tra l’altro che avrebbe lavorato senza paura, senza collera né odio e cercando di agire con giustizia nei confronti di tutti.

Le solite belle parole del politichese? Staremo a vedere, tempo al tempo.

Di certo, prima di potere digerire la scelta politica del premier Modi, senza scadere in una risata sarcastica, ci sarebbe da lottare contro l’intrinseca diffidenza e malignità occidentale e si dovrebbe inoltre provare ad abbattere l’umana paura di fronte a tutto ciò che è nuovo (a volte chiamasi diversità) e dinanzi a tutto ciò che ci scosta dall’omologazione e, solo successivamente a ciò, forse, si arriverebbe a comprendere la portata di un atto senza precedenti, in epoca moderna.

Non è certo il tempo di fare stime e valutazioni sull’operato del ministro dello Yoga, appena istituito, ma, indipendentemente da quello che riuscirà ad apportare concretamente alla società indiana e alla sua vita politica, c’è da annoverare il coraggio dell’alterità, del pensiero differente e della volontà di “riformare” il paese provando a coltivare l’interiorità dell’essere umano, provando ad accorciare le distanze tra istituzioni e cittadini e portando la cultura di strada nei palazzi del potere.

Il Dalai Lama, ben più celebre del primo ministro Modi, quanto meno per il mondo occidentale, sostiene che “se i bambini iniziassero a meditare sin dagli otto anni, nel giro di una generazione non ci sarebbe più violenza nel mondo”.

Questa frase fa ridere un occidentale meno sarcasticamente, e non necessariamente perché detta da un illustre e stimato personaggio, ma perché, in fondo, in maniera quasi fulminea, spolvera certe verità che non si vogliono riconoscere a se stessi e con le quali neppure la collettività vuole confrontarsi. Così, innocente, quella frase, entra dentro e diventa in fretta riflessione capace di far germogliare la luce della speranza, rievoca i bimbi, simbolo di purezza e forza trainante in grado potenzialmente di rivoluzionare il globo in tempi rapidi ma a condizione di ritrovarsi tra le braccia di adulti sfidanti.

Ci si ferma per un attimo chiedendosi se non ci sia una reale saggezza da testare in quella frase e in seguito arrivano cascate di pensieri. Quella frase fa balzare alla mente la società che abbiamo costruito oggi in contrapposizione all’idea di vivere che speravamo fosse; poi fa affluire una serie di flashback e siamo lì a rimembrarli, a vivisezionarli, a vederli scorrere, e, in quei flashback, ci osserviamo nelle nostre futili corse imposte. Correre, correre, correre sempre affaccendati nel non tempo per l’umanizzazione del genere umano. Trottare dietro a una bussola di vita che spesso ci conduce verso obiettivi, personali e sociali, insensati, fumosi, materiali, paradossali, disumani, violenti e privi di luce.

Il pensiero del Dalai Lama lentamente evapora con un effetto dissolvenza, si spengono i riflettori della ponderazione creativa esplosa poco prima e, di colpo, se ne accendono altri, meno adrenalinici, identificativi dei nostri usi e costumi sociali, i leitmotiv routinari con i quali ci si confronta quasi rassegnatamente: il patto del Nazareno, lo Sblocca Italia, il Medio Oriente, la vendita di armi taciuta, la costruzione ipocrita delle guerre altrove, l’ideazione ad arte dei “terroristi”; e via di seguito con i tagli alla sanità, all’istruzione, con la perdita di sovranità, con il razzismo, con lo sfruttamento, con le varie forme di violenza e, ahimè!, la lista è tutt’altro che corta. Sì, impiegeremmo più tempo nello scrivere tale raccapricciante black list che nel fare una seduta di yoga.

E non si pensi che l’India sia il paese delle meraviglie, tutt’altro, ma chissà, se sviluppare a livello massivo, le potenzialità interiori e individuali dell’essere umano, quelle non materialiste, ma più spirituali, quelle che solleticano il senso della bellezza e della gratitudine, non possa segnare il giro di boa generazionale di un nuovo umanesimo?

E chissà se non sia proprio quello che balena nella mente del premier Modi.