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Sono andata a fare le condoglianze alla famiglia di Mohammed Abu Khdeir, ragazzo palestinese di 16 anni, rapito, torturato e ucciso da un gruppo di estremisti israeliani come ritorsione per la morte di tre giovani israeliani. Ho incontrato le donne della famiglia, che mi hanno invitato a rimanere con loro per l’iftar, il pasto con cui, al tramonto, si rompe il digiuno durante il mese di Ramadan.

Gerusalemme, 8 luglio 2014 – Scorro le tue foto su internet e non posso fare a meno di rivedere nei tuoi occhi gli occhi di tua madre. Il velo sul capo viola chiaro, in tinta con il colore del vestito di foggia tradizionale palestinese. Mi ha detto che l`ha indossato per la prima volta per la cerimonia di Mohammed. Cosi ti ha chiamato e il tuo nome l`ha pronunciato con un sorriso, con un`intimità dolce fra noi come se da sempre ci conoscessimo e da sempre ti avessi visto crescere.

In realtà, non ti ho conosciuto se non dal momento in cui i media mondiali hanno puntato lo sguardo su di te, il ragazzo palestinese orribilmente massacrato da nazionalisti israeliani. Dopo essermi fermata per un po` nei luoghi in cui sei vissuto, aver cenato con i parenti che ti hanno visto crescere, dopo aver abbracciato tua madre, mi sembra quasi di averti conosciuto, Mohammed.

Attraverso le parole, le persone, i luoghi, mi sembra di aver sfiorato per una sera la tua vita. Una vita troncata troppo presto e con disumana violenza: bruciato vivo come a purificarti dalla tremenda colpa di essere palestinese. Questo per tua madre il pensiero più doloroso: che tu te ne sia andato così, senza che lei sia riuscita a proteggerti almeno da una morte tanto dolorosa.

Non so con che forza sia riuscita ad accettare le condoglianze di un gruppo di israeliani che è passato da lì. Non ha parlato, ha lasciato che altre donne lo facessero al suo posto, solo questo ha chiesto loro: perché in questo modo terribile l`hanno ammazzato?

E` un interrogativo a cui non riesce a dar risposta, un pensiero che continuamente l`ossessiona. Ma  i suoi occhi sono ormai gonfi per lacrime che si sono esaurite, il suo volto è stanco per una vita invecchiata tutta di un colpo.

Impossibile non vedere in tua madre, mia madre, nella sua dolcezza la dolcezza di mia madre, nella sua stanchezza il dolore di mia madre, di tutte le madri quando perdono un figlio.

Nel profilo di tua nonna e delle altre parenti, mi è parso di scorgere il profilo delle donne della mia famiglia. Tua nonna si stringeva al petto un poster con la tua foto. Ogni tanto lo guardava, come se ancora non ci potesse credere che davvero ci fossi tu su quel poster, che davvero fossi tu ad essere morto. Quando abbiamo cominciato a mangiare, ha chiesto a una delle nipoti di portare il poster dentro casa, dovesse mai sgualcirsi l`ultimo tuo ricordo!

Tuo cugino Tareq, venuto per la prima volta in Palestina. Era qui per un matrimonio e si è trovato al tuo funerale, doveva scoprire le bellezze della Palestina e si è scontrato con la brutalità dell`esercito israeliano. Ha ancora il volto gonfio dopo essere stato malmenato da soldati israeliani, ma lo sguardo innocente di tutti i ragazzini che stanno cominciando appena ad affacciarsi alla vita.

Infine, tua sorella, in cui non ho potuto fare a meno di ritrovare me stessa. Gli occhi limpidi, il velo e il vestito lungo a lutto neri, che contrastavano con il pallore del volto. Con lei ho sentito il dolore di perdere mia sorella. Ho sentito più forte l`amore per lei, l`amore per la mia famiglia e le persone che mi sono vicine.

Ho sentito più forte, stanotte, l`amore per la vita. Lo sdegno ha lasciato spazio alla compassione umana, nel senso di sentire-con. Ed io stanotte ho sentito con loro il dolore della perdita, la vicinanza tra chi sopravvive, il desiderio di mantenerti vivo e allo stesso tempo di lasciarti andare.

Addio Mohammed, per una sera ho sfiorato la tua vita e tu hai sfiorato la mia anima. Tua madre mi ha detto che ora sei felice. Non so cosa ci sia dopo la morte, ma spero davvero che tu abbia adesso l`occasione di gustarti un po` di quella felicità che ti e` stata negata in vita.

Articolo di Alessandra Magda