Ci è arrivato questo scritto di Giorgio Ferrari, esperto di combustibile nucleare, all’interno di uno scambio di opinioni e mails tra persone che si occupano, a vari livelli, di questioni antinucleari. Gli abbiamo chiesto se potevamo pubblicarlo e lui ci ha dato il permesso. Non è nato come articolo ma diremmo che dice diverse cose importanti ed interessanti.

Giorni fa mi è stato chiesto che ne pensavo di alcune notizie riportate nel suo sito da Gianni Lannes circa l’attività del CISAM (Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari). Leggo così che da quell’impianto militare sono spariti 350 metri cubi di scorie solide ad alta attività (forse sepolte in una miniera siciliana), che sempre al CISAM negli anni 70 si sono fatti studi per l’impiego di plutonio nei reattori civili o di elementi di combustibile sperimentali per studiare la conversione uranio-plutonio, riconducibili ad oscure attività strategiche che in altri articoli vengono attribuite anche al centro nucleare della Trisaia attraverso le attività della Combustibili Nucleari.

Giornalismo battagliero quello di Lannes, magari un po’ confuso e complottardo, ma come biasimarlo in un paese dove la glasnost rischia di passare per un ingrediente da pasticceria?

Poi però leggo una lettera dell’USPID (Unione scienziati per il disarmo, di cui fanno parte eminenti personalità scientifiche) indirizzata al Presidente del consiglio, al Ministro degli esteri e al Ministro della difesa che ha per oggetto “materiale fissile da armi nucleari nel territorio italiano” e, appena dopo, un articolo di Massimo Zucchetti sul manifesto del 10 marzo che, riprendendo l’argomento (ma scrupolosamente evitando di riferirsi ad armamenti nucleari), parla di camion carichi di materiale radioattivo che attraversano la città di La Spezia per poi essere imbarcati verso destinazione ignota. Ancora sul manifesto del 26 marzo leggo (Il pacco atlantico –Di Francesco e Dinucci) che il potenziale nucleare militare USA/NATO è “ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli USA di oltre 300Kg di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito…cui si aggiungono 20 Kg da parte dell’Italia”. Infine registro dal sito “energia felice.it” di Mario Agostinelli che “Con 70 reattori in costruzione in tutto il mondo di oggi, altri 160 o più programmati a venire durante i prossimi 10 anni e centinaia di impianti in cantiere, l’industria nucleare globale sta chiaramente avanzando con forza.”

Confesso di essere spaventato da questi interventi, non perché non ne capisca le motivazioni (condivido in pieno le preoccupazioni di Agostinelli e Zucchetti, così come le considerazioni di Dinucci e Di francesco sulla NATO e gli USA), ma per gli effetti che questi possono avere sull’opinione pubblica in generale e sulla attendibilità di chi si oppone al nucleare, nel momento in cui si lascia intendere che in Italia si sia “giocato” con gli armamenti nucleari, alimentando sospetti su ogni movimentazione di materiale radioattivo che si muove nel paese; o che siano sparite 350 tonnellate di rifiuti, oppure che il Giappone abbia regalato agli USA 300 Kg di plutonio e l’Italia 20. Io penso che un conto è protestare (con tutto il fiato, non ho dubbi) per la mancata informazione, per le regole violate o messe da parte, un altro è utilizzare le malefatte del potere per far credere all’opinione pubblica cose non vere. A pensar male del nucleare e dei suoi sostenitori non si fa peccato, ma guai a commettere noi lo stesso peccato di cui li accusiamo: quello di disinformare seminando allarmismo e sconforto.

Nel 2004 gli USA hanno varato il programma Global Threat Reduction Initiative (GTRI) sotto l’egida del Ministero della Difesa americano e in particolare della NNSA (National Nuclear Security Agency, parente stretta della più nota NSA). Lo scopo è quello di ritirare e portare negli USA (con molta discrezione, per non dire in segretezza) il materiale fissile e/o altamente radioattivo disseminato in migliaia di piccoli reattori sperimentali o di ricerca in tutto il mondo, compresi paesi dell’Est e arabi. Si tratta di materiale spesso classificato come “weapon grade” perché altamente arricchito (anche al 90%, ma che non ha niente a che vedere con gli armamenti), di piccole quantità (alcuni Kg) che giace spesso abbandonato e con scarsi controlli. Perché gli USA lo vogliono ritirare? Per due motivi: il primo è impedire che questa roba possa servire per attività terroristiche (attentati, ricatti); il secondo è che nella quasi totalità dei casi è materiale fornito da ditte USA a partire dal varo del programma Atoms for peace. Il programma GTRI (di cui in parte sono espressione i vertici biennali sulla sicurezza nucleare mondiale, ultimo quello dell’Aja) riguarda anche l’Italia: il trasporto di La Spezia rientra in questo quadro, così come ci rientrava quello avvenuto l’anno scorso a luglio dal centro di Rotondella per cui si scatenarono le ipotesi più fantasiose e allarmistiche poi smentite (rimpatrio delle barre di Elk River e/o soluzioni radioattive imbarcate su aerei militari,etc). In realtà si è trattato di trasporti messi in conto già al vertice di Seoul del 2012 nell’ambito del CPPNM Convention on Physical Protection of Nuclear Material: (https://www.nss2014.com/sites/default/files/documents/highlights_of_the_seoul_nuclear_security_summit120403.pdf; http://nnsa.energy.gov/mediaroom/pressreleases/italynss) che non ci voleva molto a mettere in relazione col programma GRTI. Stesso discorso vale per il materiale radioattivo consegnato dal Giappone agli USA (non solamente plutonio) che proviene da un programma bilaterale (USA-Giappone) del 1967 sul combustibile per reattori veloci gestito dall’autorità di sicurezza giapponese e denominato FCA-Fast Critical Assembly, come chiarisce questo comunicato del governo USA:

(http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2014/03/24/fact-sheet-cooperation-japan-s-fast-critical-assembly). Per contro è di tutta evidenza (ed è giusto preoccuparsene) che il Giappone non ha nessuna intenzione di ridurre lo stock di plutonio ottenuto dal riprocessamento del combustibile esaurito delle sue centrali nucleari: (http://www.nti.org/gsn/article/japan-defends-retaining-large-stockpile-plutonium/?mgs1=ba9ffg9lCG )

Quanto al CISAM/CAMEN posso dire che gli studi degli anni ’70 sopracitati, sono stati realizzati con tecnici civili (un professore della Facoltà di Ingegneria di Pisa e un mio collega del settore nucleare Enel) e non avevano nulla di sospetto (peraltro sono tutti disponibili nella biblioteca della facoltà di Ingegneria a Pisa) dato che l’impiego di Plutonio nelle centrali nucleari dell’Enel era già una realtà ed io personalmente ne controllavo la fabbricazione del combustibile tra cui anche quello fornito dalla società Combustibili Nucleari per la centrale di Latina in un edificio ospitato nel centro ENEA (allora CNEN) di Rotondella che non aveva nulla a che vedere con quanto fa intendere Lannes nei suoi articoli.

Altro è capire cosa ha fatto e sta facendo il CISAM con il decommisioning dell’impianto di S. Piero a Grado. Io ho cercato di farlo (insieme ad Angelo Baracca) in due conferenze a Pisa e Livorno, con l’individuare le criticità dello smaltimento e trattamento dei rifiuti solidi e liquidi messo in atto grazie ad una normativa ad hoc per il settore militare che  secondo me contrasta con le leggi nazionali e le normative internazionali: tutte indicazioni confluite in un esposto presentato alla magistratura di Livorno e che mi hanno valso il diniego dell’autorità militare ad accedere al sito in occasione di una visita programmata dal Movimento 5 stelle (http://senzasoste.it/livorno/cisam-giornate-convulse-ma-va-proprio-tutto-bene-no).

Per quanto riguarda l’articolo di Mario Agostinelli vorrei evidenziare che di tutti i reattori in costruzione, quelli che si stanno realizzando in Europa e USA si contano sulle dita di una mano, essendo il resto dislocato nei paesi dell’est, prossimo ed estremo, mentre quelli annunciati stanno solo sulla carta e, a mio parere, vi resteranno a lungo per i motivi esaurientemente elencati da Angelo Baracca. Aggiungo solo considerazioni -diciamo così- di “fase” che tengono conto della crisi in corso.

Che l’industria nucleare sia diventata globale in virtù delle fusioni societarie, oltre che cosa non nuova, è un sintomo di difficoltà non di forza: è la stessa difficoltà che ha indotto il settore automobilistico mondiale (un esempio tra i tanti) a concentrarsi con altrettante fusioni, è il naturale (e quasi obbligato) processo seguito dal capitale per continuare ad accumulare ricchezza. Ma da qui a riuscirci è un altro discorso, soprattutto quando si ha a che fare non con un bene di consumo come l’automobile, ma con “macchine”di enorme complessità e difficoltà come i reattori nucleari. E’ fuor di dubbio che ci sia una sollecitazione al nucleare civile riconducibile a politiche di potenza, ma è pur vero che per alimentare un arsenale militare non servono decine di centrali elettriche, senza contare che il materiale fissile delle bombe non si deteriora (salvo il trizio che va rimpiazzato). Dunque io credo che nell’opzione nucleare non sia preponderante la componente militare, ma quella legata ai profitti del settore energetico, in particolare in quelle nazioni in cui industria e finanza sono influenzate, più che in altre, dalla politica dei rispettivi governi: è il caso di Russia, India, Cina, ma è anche il caso di Giappone e Francia che stanno pagando (Giappone) o pagheranno (Francia) questa scelta con costi considerevoli. Certamente non è il caso degli USA dove, nonostante i forti incentivi previsti dal governo federale a costruire impianti nucleari, gli ordinativi sono crollati; ma nemmeno è il caso della Germania in cui l’industria del settore è uscita prima dal progetto EPR e poi ha ripensato una strategia energetica completamente diversa.

Quello che voglio dire insomma è che l’opzione nucleare a livello mondiale, vive se l’occidente capitalista, nel suo complesso, la persegue perché qui sta il cuore tecnico, organizzativo e finanziario del “mostro”. Certo anche i russi sanno fare i reattori (gli ultimi VVR sono all’altezza di quelli occidentali), ma possono da soli sostenere (tecnicamente e finanziariamente) i programmi di Cina, India etc ancorché questi non si rivelino un bluff?

A questo punto vorrei sottoporre alcune questioni operative riguardanti la situazione nazionale e quella internazionale.

Situazione nazionale

Da parte istituzionale c’è l’idea (per ora solo un annuncio) di creare un osservatorio sui rifiuti che dovrebbe essere propedeutico alla definizione del deposito nazionale. Poco o nulla mi risulta sulla riorganizzazione delle competenze di controllo (Agenzia per la sicurezza) e di quelle operative (ruolo di Sogin) su cui l’anno scorso c’era stata una presa di posizione del Comitato si alle rinnovabili, no al nucleare. Di certo la sistemazione dei rifiuti è quella che è, e la costruzione di depositi temporanei a Saluggia e Trisaia (che potrebbero anche diventare definitivi) non soddisfa. Sul deposito di Saluggia non ho avuto modo di intervenire, ma su quello della Trisaia sì, con la presentazione di controdeduzioni tecniche e procedurali alla commissione VIA riguardo al deposito temporaneo e all’impianto di trattamento, la quale ne ha accolte solo una minima parte ( a chi è interessato la documentazione è disponibile). Ho tentato anche di sensibilizzare i sindaci dei comuni interessati ad assumere un ruolo diverso al tavolo della trasparenza lucana (così com’è, è solo una presa in giro), ma senza successo. In questo contesto ci dovrebbe rientrare il CISAM, ma come ho detto, è stato sottratto alla legislazione civile anche se poi uno o due elementi di combustibile del suo reattore risulterebbero inviati a Saluggia già da alcuni anni per poi essere trasferiti negli USA: chissà se il carico di La Spezia li comprendeva? Temo che non ce lo diranno mai (se non molti anni dopo) approfittando del tema della sicurezza che loro interpretano principalmente come segretezza per evitare che potenziali terroristi conoscano dove e come sono allocate certe sostanze o quando verranno rimosse. Non per niente la gestione operativa di queste attività di recupero e trasporto a livello mondiale è affidata alla NNSA.

Qualunque siano i tempi del decommissioning delle centrali italiane, questi non potranno essere quantificati se non con la definizione del progetto del deposito nazionale; tema scabroso non solo per il governo ma anche per le comunità, i comitati territoriali e lo stesso movimento antinucleare che, mi sembra, non ha molta voglia di affrontare il problema.

Ultima cosa riguarda l’aspetto del controllo di tutta la materia rifiuti. L’Agenzia è importante (era stata concepita malamente dal governo Berlusconi e poi inopinatamente cancellata), ma lo è altrettanto aggiornare le nostre normative che sono ferme alla Guida tecnica n.26 del CNEN (del 1985) che pur non contenendo alcuna prescrizione per i rifiuti di III categoria, è stata applicata nel progetto degli impianti di trattamento rifiuti di Saluggia e Trisaia.

Situazione internazionale

Come dicevo sopra credo che dovremmo puntare politicamente al cuore del “mostro”, cioè Europa e USA. Per questi ultimi la situazione è estremamente critica (c’è anche chi parla di abbandono del nucleare http://www.documentcloud.org/documents/727973-renaissance-in-reverse-cooper-at-risk-reactor.html) e comunque lo stato generale dei reattori desta preoccupazione ( vedi servizio NBC http://www.nbcnews.com/id/43455859/ns/us_news-environment/t/safety-rules-loosened-aging-nuclear-reactors/#.UyV23878uus)

Personalmente, più che dei nuovi progetti sono preoccupato per i reattori in funzione: secondo l’IAEA dei 437 reattori in funzione, 162 sono in esercizio da più di 30 anni e 22 da più di 40. Invece di chiuderli, sia negli USA che in Europa si pensa di farli funzionare fino a 60 anni con rischi incalcolabili. L’IAEA sostanzialmente tace (come su Fukushima) essendo ormai governata da due filonucleari di provata fede (direttore Yukiya Amano giapponese, Capo dipartimento sicurezza Denis Flory, francese con un passato nell’industria nucleare).

Penso quindi ad una campagna per la denuclearizzazione dell’Europa e quindi con focus sulla Francia, che cominci col dire No all’allungamento della vita operativa dei suoi reattori, obiettivo richiesto anche dal non fortissimo movimento antinucleare francese. Non è un compito facile perché nucleare in Francia non è solo una filiera energetica, ma l’ossatura stessa del sistema industriale, tuttavia –anche per il bene dei cittadini francesi- occorre fare il possibile per avviare questa fuoriuscita e dargli tempo di riconvertirsi, pena un probabile disastro sul modello Fukushima. Le elezioni europee sono alle porte e forse si potrebbe cominciare a trovare delle sponde in quella direzione.

Concludo con Fukushima. Nonostante il persistere del blocco di tutti gli impianti giapponesi, la situazione nel sito di Fukushima non migliora (articolo su Left  del 2 Novembre 2013 http://www.left.it/2013/10/31/fukushima-disastro-appena-iniziato/13351/) e quella dell’opposizione corrisponde a quanto scritto da Agostinelli: cioè censura e repressione di stato a chi contesta o semplicemente chiede trasparenza..

Dell’incidente esiste una versione ufficiale abbastanza annacquata e anche gli osservatori più critici (come UCS, Union of Concerned Scientists) non si sono spesi –per ora- più di tanto. Con Angelo Baracca abbiamo redatto una analisi dell’incidente (http://www.fisicamente.net/SCI_SOC/index-1916.htm) che a distanza di due anni è ancora l’unica a mettere in risalto certi aspetti, ma è una goccia nell’oceano. Anche il nostro tentativo di due anni fa di raccogliere firme in calce ad un appello al governo giapponese dove si chiedeva, tra l’altro,  di affidare la gestione dell’incidente ad un team internazionale non ha avuto successo: le firme raccolte in molte parti del mondo furono abbastanza, ma quando ci siamo recati all’ambasciata Giapponese di Roma per consegnarle all’ambasciatore eravamo in cinque.

Come tentativo per smuovere l’indifferenza che circonda l’incidente qui in Italia, avevo avanzato nell’articolo pubblicato da Left, una proposta concreta che ripropongo a tutte e tutti: sollecitare la comunità scientifica e le autorità italiane al fine di mettere a disposizione la centrale nucleare di Caorso (che è molto simile ai reattori di Fukushima e non ha più combustibile al suo interno) insieme ad una task force di tecnici per sperimentare al vero tutte le tecniche possibili volte ad operare correttamente la rimozione del combustibile dai reattori di Fukushima.

Per quanto riguarda il nesso nucleare civile e militare penso che Angelo Baracca possa dire cose più sensate di me.

Mi scuso per la lunghezza di questo intervento, ma ho voluto cogliere l’occasione per mettere sul tappeto diversi argomenti che ci ritroviamo a trattare solo sporadicamente e in modo disorganico.

Un saluto a tutte e tutti

Giorgio Ferrari

28-03-14