“Un incontro senza precedenti” concluso con “un impegno a lavorare per la pace”: così la radio di Stato centrafricana riferisce della riunione convocata dal primo ministro André Nzapayeke, che per la prima volta ha visto sedersi attorno allo stesso tavolo capi delle milizie rivali responsabili della crisi armata. “Il capo del governo ci ha ricevuti per vedere come far uscire definitivamente il paese dal ciclo di violenza. Gli abbiamo detto che siamo pronti a lavorare per riportare la pace” ha dichiarato Herbert Gontran Djono Ahaba, ministro dei Lavori pubblici, esponente di primo piano dell’ex coalizione ribelle Seleka, aggiungendo che “ci sono scene di violenza quotidiana, non possiamo più andare avanti così. E’ giunta l’ora di fermarci per ricostruire il nostro paese”. Lo stesso impegno è stato preso da Joachim Kokate, capo militare delle milizie di autodifesa Anti-Balaka, nominato di recente consigliere del primo ministro. “Abbiamo risposto all’appello del capo di governo e abbiamo espresso la nostra volontà di cooperare per porre fine alle violenze” ha detto Kokate al termine della riunione.

Nelle stesse ore sempre a Bangui si è tenuta la prima sessione del 2014 del parlamento di transizione. Il suo presidente Alexandre Ferdinand Nguendet ha chiesto al governo di “mettersi al lavoro per raggiungere i principali obiettivi già delineati”. Tra le azioni prioritarie c’è il coinvolgimento delle forze armate centrafricane (Faca) nel processo di pacificazione e di messa in sicurezza del territorio affianco ai soldati francesi di Sangaris e alle truppe africane della Misca. Nguendet ha sottolineato “l’urgenza di passi concreti per creare le condizioni di un perdono e della riconciliazione nazionale, ma senza alcuna impunità”, ricordando anche la scadenza elettorale del febbraio 2015 “che va rispettata”.

Nel frattempo la crisi centrafricana è al centro di discussioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che sta valutando la proposta del segretario generale Ban Ki-moon di dispiegare una missione di 12.000 caschi blu. “Questa missione rappresenta l’unica possibilità di sopravvivenza. Non ci sono alternative” ha dichiarato nel suo intervento ai 15 Stati membri il ministro degli Esteri di Bangui, Toussaint Kongo-Doudou. Al centro del dibattito c’è il costo di una futura missione di peacekeeping e un quadro chiaro di forze e mezzi che ogni paese intende mettere a disposizione. Il voto di una risoluzione potrebbe tenersi entro la fine del mese.

Da Ginevra, l’Alto commissario Onu per i Rifugiati Antonio Guterres ha denunciato “una pulizia in atto, ai danni dei musulmani, costretti a scappare” dal Centrafrica, avvertendo del rischio “che migliaia di altri civili vengano uccisi sotto i nostri occhi”. Dalla scorsa settimana circa 15.000 civili sono intrappolati in 18 siti nell’ovest del paese, circondati dalle milizie Anti-Balaka che potrebbero attaccarli da un momento all’altro. Se la situazione molto volatile sul terreno  richiede un intervento militare urgente – in aggiunta dei 2000 soldati francesi e dei 6000 militari africani – concretamente, per motivi organizzativi e logistici, il dispiegamento di una missione Onu potrebbe non essere attuato prima del prossimo settembre. “Il Consiglio di sicurezza ha perso troppo tempo (…) pur essendo consapevole che la situazione si stava deteriorando sul piano della sicurezza e dei diritti umani” ha deplorato Philippe Bolopion, direttore di Human Rights Watch.