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Dopo essere “sopravvissute” ai test nucleari americani degli anni Quaranta e Cinquanta le Isole Marshall ed altre Isole del Pacifico e del Mondo rischiano ora di soccombere ai cambiamenti climatici se non sarà fatto nulla di incisivo per contrastare le conseguenze del riscaldamento globale. Un esempio su tutti. Lo scorso giugno ci sono state temperature insolitamente calde ed alte maree eccezionali che hanno sommerso gran parte di Majuro, la piccola capitale delle Isole Marshall. Per l’arcipelago gli impatti del cambiamento climatico sono stati così drammatici che sono servite settimane per normalizzare i livelli d’acqua delle Isole e un team statunitense di pronto intervento che era stato inviato nelle Marshall per soccorrere gli alluvionati è stato accolto con uno striscione con la scritta “Benvenuti nel cambiamento climatico”.

Anche per questo molti leader delle Isole del Pacifico hanno firmato lo scorso settembre proprio alle Marshall la Dichiarazione di Majuro (.pdf) per la leadership climatica del Pacific Islands Forum (Pif) ed hanno rilanciato con forza l’allarme per l’incerto futuro dei loro arcipelaghi che stanno lentamente diventando sommergibili. Il padrone di casa, il presidente delle Marshall, Christopher Loeak, rivolgendosi ai delegati dei 15 Paesi del Pif e ai rappresentanti di Ue, Usa e di molti Paesi del Mondo ha ribadito la necessità di affrontare con urgenza le cause del cambiamento climatico prima che il destino di molte isole del pacifico segua quello dell’atollo Anebok, che è stato quasi interamente inghiottito dall’innalzamento del mare negli ultimi anni. La speranza è che la Dichiarazione possa contribuire a sviluppare un’azione efficace e corale: “Bisogna mettere insieme tutte le nostre menti per un nuovo impegno per il cambiamento climatico – ha aggiunto nell’occasione il vicepresidente delle Marshall, Tony De Brum – Si tratta di un tentativo da parte nostra di fare in modo che tutti si rendano conto che questo sta accadendo ora. È una firma che ci ricorda che dobbiamo muoverci, dobbiamo farlo alle Nazioni Unite sulla base di un documento che registra questa nostra rinnovata determinazione a lavorare sodo sui cambiamenti climatici”.

Il presidente e il vicepresidente delle piccole isole Marshall parlano a ragion veduta, ma per fugare i dubbi di leader e delegati presenti al Pif è stato organizzato un tour delle isole, dove l’effetto delle mareggiate è stato più che visibile. “Per questi leader si è trattato di un’opportunità per vedere il cambiamento climatico faccia a faccia – ha aggiunto De Brum – ed anche una buona occasione per i consulenti scientifici di altri Paesi per essere in grado di dare un volto umano a tutti i dati che accompagnano la discussione scientifica”. Sulla carta in questi mesi si è registrato l’impegno di tutti, dal Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon che ha ribadito che le isole del Pacifico dovranno essere le protagoniste del  Climate Change Summit di New York nel marzo 2014, all’Unione europea che con Connie Hedegaard ha ricordato che “Il Pacifico può contare sulla collaborazione e l’ambizione dell’Europa per aiutarci a portare tutte le altre principali economie a bordo del futuro regime climatico entro il 2015”.

Intanto mentre i finanziamenti per i singoli progetti per le energie rinnovabili arrivano con il contagocce, nei piccoli Stati insulari del Pacifico non è arrivato praticamente nulla dei finanziamenti promessi al summit Unfccc di Copenaghen  del 2009. Ecco perché, in un altro Oceano, le Isole dei Caraibi stanno testando un’altra via alla riduzione del global warming inseguendo l’ambizioso obiettivo del 100% dell’elettricità degli arcipelaghi prodotta con energie rinnovabili. Anche qui l’innalzamento dei livelli del mare minaccia le risorse di acqua dolce e le tempeste sempre più forti e frequenti comportano enormi danni economici e perdita di vite umane. Ma proprio le isole che subiscono i danni dei combustibili fossili poi dipendono dalle importazioni di gasolio e di altri combustibili fossili per produrre energia e pagano i prezzi più alti dell’energia nel mondo. Per questo le Isole Vergini Britanniche, San Andres (Colombia), Dominica, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia e Turks & Caicos si sono unite, durante un summit tenutosi il 13 febbraio alle Isole Vergini Britanniche, alla Carbon War Room e al  Rocky Mountain Institute  nella Ten Island Renewable Challenge, una campagna che inizierà con progetti energetici rinnovabili per le scuole e gli ospedali, ma che prevede un programma di garanzie sui prestiti e la formazione per supportare lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili in tutta la regione caraibica.

Progetto interessante, ma non disinteressato. La Carbon War Camera è, infatti, una ong concentra su soluzioni energetiche già possibili con le attuali tecnologie fondata da Sir Richard Branson, il capo della Virgin, che ha avviato nella sua isola dei caraibi privata, Necker, il progetto pilota di Ten Island Renewable Challenge affidando l’appalto della transizione alle energie rinnovabili al colosso energetico statunitense NRG. “Quello che speriamo di fare è utilizzare Necker come isola test per mostrare come si può fare – ha spiegato un paternalista Branson -. L’unico modo per poter  vincere questa guerra è l’imprenditorialità creativa,  per rendere il prezzo dell’energia pulita più economico di quello dell’energia da combustibili fossili”. Ecco perché al summit delle Isole Vergini hanno partecipato non solo i rappresentanti di 12 Paesi, ma anche gli amministratori delegati e i dirigenti provenienti da oltre 30 corporations ed istituzioni, tra le quali Philips, Johnson Controls, Sungevity, Vestas, NRG, Caricom, Private Overseas Investment Corporation e l’immancabile Banca Mondiale pronte ad un investimento di più di 300 milioni di dollari.

Per Amory Lovins, co-fondatore e chief scientist del Rocky Mountain Institute che dal 1982 è impegnato nella transizione verso l’efficienza ed il risparmio energetico con “market-based solutions” le isole sono il più grande microcosmo di sistemi energetici di tutto il mondo e offrono un eccellente banco di prova (e mercato aggiungiamo noi…) per testare le soluzioni energetiche pulite innovative. “Siamo lieti di portare i nostri decenni di esperienza aiutando le imprese e le comunità a spostarsi in maniera conveniente verso l’efficienza e le fonti rinnovabili, per aiutare le nazioni insulari ad andare tangibilmente oltre la roadmap dell’energia, sul terreno”. La speranza è che i beneficiari oltre indubbiamente al clima, non siano i soliti noti “provenienti da oltre 30 corporations ed istituzioni”, ma tutti i cittadini degli arcipelaghi caraibici che sperano che il passaggio alle energie rinnovabili porti anche un abbassamento dei costi dell’energia e della qualità della vita.

Alessandro Graziadei