Andrea Degl’Innocenti è un giovane giornalista freelance che ha scritto a lungo per il Cambiamento e attualmente lavora ad un nuovo progetto editoriale chiamato Italia che cambia. Segue da tempo con interesse le vicende islandesi e circa un anno e mezzo fa è andato in Islanda per comprendere e approfondire quanto accaduto lassù. Ne è uscito “Islanda chiama Italia” (Ludica edizioni e Arianna editrice) che racconta con dettaglio e precisione le recenti vicende del paese, dal boom alla crisi economica, fino alla veemente reazione contro la classe politica e un debito ingiusto e alla nuova costituzione riscritta dal basso.

Andrea puoi fare un breve riassunto degli eventi principali che descrivi nel libro?

Sì, diciamo che l’Islanda mi è apparsa fin da subito come una sorta di microcosmo che racchiudeva in sé, compresse nel tempo e nello spazio, alcune dinamiche che si ritrovavano più diluite su scala globale. In Islanda è accaduto tutto più in fretta. L’ascesa della società consumistica e neoliberale è iniziata a partire dagli anni novanta. Il benessere è esploso all’improvviso assieme all’emergere di una nuova classe dirigente finanziaria -si facevano chiamare i Nuovi Vichinghi- nata con le privatizzazioni delle banche. Poi il botto, la kreppa (vocabolo islandese che sta per crisi), la povertà improvvisa, i debiti. Dunque la ribellione, la lotta contro la classe politica e l’elite finanziaria, contro il pagamento di un debito ingiusto contratto da banchieri privati. Infine la transizione dalla protesta alla costruzione del nuovo, al cambiamento: la scrittura della nuova costituzione partecipata, le leggi per la libertà d’informazione su internet e molto altro. L’ultima parte del libro invece parla dell’Italia, di come anche da noi qualcosa si stia muovendo, di quali siano gli spunti che si possono cogliere dalla vicenda islandese.

Nell’introduzione ti definisci come una persona che sta cercando: che soluzioni o abbozzi di soluzioni hai trovato?

Personalmente non credo nelle ricette facili, nelle soluzioni preconfezionate. Penso che ogni storia sia diversa e che ogni percorso si costruisca lungo il cammino, per cui non me la sento di affermare che l’Islanda abbia trovato “la soluzione”, quella che vale per tutti ed è applicabile su larga scala. Tuttavia alcuni messaggi che giungono dalle vicendi islandesi sono a mio avviso universali. In primis un ritrovato primato della politica sull’economia (si guardino a tal proposito anche le ultime decisioni del governo islandese relative alle speculazioni finanziarie: http://islandachiamaitalia.wordpress.com/2013/12/03/islanda-vs-finanza-internazionale/). Politica peraltro intesa nel senso più vasto e nobile del termine, come partecipazione attiva dal basso, come diritto di decidere della società in cui viviamo. Poi la capacità di passare da un momento di protesta ad uno di costruzione. E la sconfessione di alcuni dogmi della società contemporanea, in primis quello del debito. A noi spetterà il compito di declinare particolare queste tematiche generali.

Il sito che hai creato http://www.islandachiamaitalia.it/ non ha l’aria di essere solo il sito di promozione del libro; la sensazione è tu ti sia innamorato di quella causa…

È vero, l’idea è quella di proseguire la narrazione delle vicende islandesi oltre i confini del libro. Restano ancora molte cose da capire sui fatti islandesi, il libro dal mio punto di vista è solo l’inizio. La cosa che in prospettiva mi incuriosisce di più sarà capire se le istanze di cambiamento emerse durante questi anni di grossi sconvolgimenti riusciranno a solidificarsi in un nuovo modello o se tenderanno a scomparire e ad essere riassorbite dal vecchio. Questo solo il tempo potrà dircelo. Per quanto mi riguarda non posso dire di essere un osservatore neutrale -neppure credo nella neutralità del giornalismo- ma voglio essere un osservatore obiettivo.

Come stanno andando le cose ora che i pochi riflettori che si erano accesi si sono spenti di nuovo? Come sta andando la faccenda della Costituzione?

Esistono prospettive per osservare il cambiamento dell’Islanda, una dal basso e l’altra dall’alto. Dal basso le cose cambiate parecchio rispetto agli anni dello sviluppo sfrenato. Molte delle tradizioni che erano andate perdute (abbandonate in fretta forse perché ricordavano un passato fatto di povertà e “arretratezza”) sono state recuperate per necessità durante la crisi ed ora sono tornate in auge. In pratica c’è stato un recupero consapevole di molti aspetti del proprio passato che erano stati cancellati dall’avvento del neoliberismo, ed un ritrovato interesse generale per tutto ciò che è comune. Dall’alto si osserva un nuovo atteggiamento delle istituzioni nei confronti della finanza. Se prima della crisi i Nuovi Vichinghi erano di fatto i manovratori più o menoocculti delle politiche del paese, adesso l’atteggiamento della politica verso gli speculatori finanziari è molto meno transigente. Il governo ha recentemente annunciato che non rimborserà alcuni hedge funds che avevano speculato sulle banche islandesi poco prima del fallimento e con i soldi così risparmiati aiuteranno i cittadini a pagare i mutui. Poi, come accennavo prima, solo il tempo ci dirà se questi cambiamenti sono transitori o duraturi. La costituzione invece è un po’ una nota dolente, in quanto dopo essere stata redatta in maniera aperta e partecipata e dopo essere stata approvata tramite un referendum è attualmente ferma in attesa del vaglia definitivo del parlamento. Ormai è passato quasi un anno e ancora la sua approvazione non è stata calendarizzata. Tuttavia gli islandesi hanno dimostrato di saper lottare per ottenere ciò che vogliono. Appena ci saranno novità ne scriverò sul blog.

Islanda chiama Italia: che fa l’Italia, risponde? Qual è la tua sensazione dopo qualche mese di presentazioni del libro?

In Italia c’è molto più fermento di quanto si creda. Me ne sto accorgendo soprattutto lavorando al progetto Italia che cambia, assieme fra gli altri a Daniel Tarozzi, autore di “Io faccio così” in cui racconta proprio di questa Italia viva e sconosciuta. L’impressione è che i tempi siano maturi perché queste realtà che agiscono sui vari territori vadano “a sistema”. Purtroppo uno dei maggiori ostacoli è proprio l’assenza totale di informazione a riguardo. Spesso durante le presentazioni del mio libro noto un grande interesse e anche la volontà da parte delle persone di fare qualcosa per cambiare le cose. Solo che molti non sanno cosa fare e si lasciano travolgere dall’allarmismo dei media. Non sanno che magari a pochi metri da casa loro ci sono già associazioni o gruppi di cittadini che si stanno organizzando per cambiare le cose dal basso.

Sembra che i focolai di cose nuove si diffondano in tutto il mondo; come al solito il Potere, il Sistema o come si voglia chiamarlo tende a gestirli pragmaticamente, caso per caso; e apparentemente li doma o li controlla. Serve un Risveglio più generale? Tu che ne pensi?

Il risveglio a mio avviso c’è già stato. Però in maniera molto frammentata, poco interconnessa. Le opzioni secondo me sono due. La prima è che le varie realtà, le associazioni, le persone che si impegnano per un cambiamento facciano un passo indietro riguardo proprie singolarità in nome di un’unione più ampia. Ma la trovo una via molto difficile da percorrere. L’altra è che si crei una rete sempre più solida che interconnetta queste realtà e che le faccia emergere, conoscere. Non credo siano possibili vere e proprie rivoluzioni di massa, le masse sono facilmente controllabili dal potere. Piuttosto serve che un nuovo paradigma subentri progressivamente all’attuale, dal basso, nei fatti, negli stili di vita.