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Cresce la tensione in Tunisia. Non sarà forse pari al clima bellico respirato durante la rivoluzione dei gelsomini dell’inizio del 2011, quando i carri armati erano posizionati in città, le sparatorie, il lancio di lacrimogeni e il coprifuoco erano entrati a far parte dell’ordinaria vita del Paese; forse non saranno i prodromi di una guerra civile, rinvenuti da Giuliana Sgrena nel suo blog facendo riferimento allo spettro della settennale guerra civile algerina del 1992. O almeno si spera. Tuttavia la situazione tunisina è talmente tesa da far temere a breve un’escalation delle violenze o un colpo di mano governativo nel tentativo di instaurare a ogni costo la Sharia (la legge islamica).

Il 25 luglio scorso è stato assassinato a colpi di arma da fuoco Mohamed Brahmi, leader del Fronte Popolare (Echaab) e deputato dell’Assemblea costituente tunisina. Nel 56° anniversario della Repubblica, e a poco meno di sei mesi dall’omicidio di Chokri Belaid, un altro dirigente della stessa coalizione di sinistra è stato ucciso. Soltanto il giorno precedente un esponente di Ennhada, il principale partito al governo, aveva annunciato che erano stati individuati esecutori e mandanti dell’omicidio di Chokri Belaid e che a breve tutto sarebbe stato reso noto. Per gran parte dell’opinione pubblica le responsabilità sono chiaramente da attribuire agli islamisti e agli stessi esponenti di Ennahda, quest’ultimi invece hanno cercato di scaricare le responsabilità sui gruppi estremisti salafiti.

Sull’omicidio di Brahmi è intervenuto anche l’Alto rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune Europea, Catherine Ashton, che ha parlato di “attacco da parte dei nemici della democrazia contro la repubblica, il popolo tunisino e i valori della rivoluzione del 14 gennaio 2011″. L’esortazione alle autorità tunisine affinché indaghino sull’omicidio senza indugi e consegnino alla giustizia i responsabili, si unisce al disappunto che non siano ancora stati arrestati i killer di Belaid. “L’UE -sottolinea infine l’Alto rappresentante- ritiene che la rapida conclusione della redazione della Costituzione e l’organizzazione delle prossime elezione generali offriranno la migliore risposta a questi attacchi codardi. Sta ora ai partiti politici di governo e di opposizione e alla società civile tunisina trovare i compromessi necessari in uno spirito di consenso, tolleranza e rispetto reciproco”. Condanne e inviti a cui si associano numerosi leader politici e anche Navi Pillay, l’Alto Commissario ONU per i diritti umani.

Un compromesso o un accordo che continua a sfuggire da molti mesi e che difficilmente sarà individuato alla luce degli altri sanguinosi eventi occorsi nel Paese. Il 27 luglio all’alba un’auto della Guardia nazionale tunisina è stata colpita dall’esplosione di un ordigno a La Goulette, periferia nord di Tunisi: un avvertimento in piena regola. Nel pomeriggio un manifestante, Mohamed Moufli, è stato ucciso a Gafsa, nel centro della Tunisia, durante una marcia di protesta contro l’assassinio di Brahmi. Il 29 luglio sono morti in un’imboscata sul monte Chaambi, nel sud della Tunisia, vicino al confine con l’Algeria, 8 militari (ma il numero dev’essere ancora confermato). Al Qaeda Maghreb, a cui si è inizialmente attribuito il massacro, si dichiara estranea ai fatti e la conseguente assegnazione di responsabilità a una cellula terroristica algerina appare a molti una soluzione troppo semplice, un sorta di capro espiatorio estraneo alla Tunisia, specie dopo che il governo ha immediatamente attribuito ad essa anche gli omicidi di Belaid e Brahmi. Si temono ora, e pare con cognizione di causa, altri attentati terroristici. Di certo l’esplosione accidentale della casa di un trentenne salafita a Jdeïda, nel sud della Tunisia, lo scorso venerdì 2 agosto, mentre stava preparando una miscela esplosiva, non lascia adito a dubbi al riguardo. Domenica 4 agosto l’agenzia di stampa tunisina, Business News, dava notizia dell’assassinio di 10 terroristi e di diversi arresti nella stessa zona del monte Chaambi, confermando dunque gli scontri armati che si stanno verificando in questi ultimi giorni tra l’esercito e le forze speciali da un lato e i terroristi che hanno preso rifugio nelle montagne dall’altro.

Intanto a Tunisi dal 26 luglio, giorno dei funerali di Brahmi, continua il sit-in dinanzi alla sede dell’Assemblea Nazionale Costituente, il Bardo, per chiedere lo scioglimento del governo. Il sito “Occupy Bardo” registra in diretta gli avvenimenti in corso. Al momento sono una sessantina i deputati che si sono ritirati dall’ANC; se le fuoriuscite dovessero raggiungere i 73 deputati (1/3 dei 217) i lavori dell’Assemblea sarebbero bloccati, con conseguenze davvero imprevedibili.

Miriam Rossi