Resoconto di una bella manifestazione a Napoli contro la guerra

Si è tenuto oggi, sabato 31 Agosto per l’intera mattinata, il presidio democratico indetto dal comitato “Napoli Nowar” sotto il consolato statunitense, per testimoniare l’intenzione del movimento per la pace e contro la guerra di continuare ed intensificare la mobilitazione contro la guerra e la militarizzazione, richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui venti di guerra nel Mediterraneo e protestare contro la minaccia di una nuova, l’ennesima, aggressione armata, stavolta contro la Siria.

Indetto da un comitato che raccoglie un ampio ventaglio di forze politiche, civiche e sociali, dalle associazioni, come quelle impegnate per i diritti dei migranti e la solidarietà internazionale, ai centri culturali, come il Centro Culturale “La Città del Sole”, passando per i sindacati di base, a partire dall’USB, e le forze politiche, tra le quali in particolare Rifondazione Comunista ed altre formazioni della sinistra di classe, e gli attivisti e le attiviste del Movimento 5 Stelle, il presidio è stato anche l’occasione, grazie alla presenza ed al contributo del “Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione della Campania”, per richiamare l’attenzione sul coinvolgimento del nostro Paese nella nuova escalation militare nel Mediterraneo Orientale, sia per la particolare esposizione strategica dell’Italia nel “Mare di Mezzo”, sia per la presenza di basi e comandi militari USA e NATO in Italia, a partire dalle “teste di ponte” del militarismo atlantico ad Aviano, Ghedi, Camp Darby, Napoli e Lago Patria.

Al di là, infatti, delle “rassicuranti” dichiarazioni della ministra degli esteri Emma Bonino, circa il coinvolgimento militare della Repubblica Italiana, «non scontato» anche in caso di un mandato da parte delle Nazioni Unite, la linea della Farnesina resta sostanzialmente la stessa, ricalcata fedelmente sulla linea del Pentagono e del Dipartimento di Stato, basata sulle minacce e sulle congetture, ed improntata al riconoscimento, confermato anche negli ultimi interventi politico-diplomatici, del fronte dei ribelli siriani come unici e “legittimi” rappresentanti del popolo siriano. D’altro canto, a riprova della sua “volontà di pace”, il governo italiano ha già annunciato – insieme con Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Arabia Saudita – l’intenzione di partecipare, il 4 Settembre, alla riunione del gruppo degli «Amici della Siria» (il fronte che sostiene i «ribelli» e la guerra interna).

Come è stato messo in luce sin dalla piattaforma di convocazione, la minaccia in corso non è che l’ultimo atto di un’aggressione alla Siria che il governo Monti prima e Letta ora conducono da due anni: dapprima con sanzioni economiche (imposte nell’illusione di scatenare per fame il popolo siriano); poi col riconoscimento dei fondamentalisti e dei terroristi del CNS (Consiglio Nazionale Siriano) riconosciuti quali “unici rappresentanti del popolo siriano”; quindi con l’appoggio alla Turchia, testa di ponte dell’aggressione alla Siria; con lo scandaloso accoglimento alla Farnesina di Burhan Ghalioun (il 22 luglio 2012, il giorno dopo che un’autobomba a Damasco, rivendicata da una delle sue bande, aveva fatto 400 morti); con l’invio in Siria di istruttori militari (alcuni dei quali scoperti un anno fa alla frontiera libanese); infine col rifiuto del visto di ingresso a parlamentari siriani invitati da loro colleghi italiani (un vero e proprio atto di ostilità da parte della nostra “diplomazia”).

È proprio per denunciare il militarismo dell’amministrazione statunitense e il collateralismo del governo italiano che un centinaio ed oltre tra gli attivisti e le attiviste presenti in piazza hanno animato il presidio, all’insegna degli slogan “Giù le Mani dalla Siria” e “Libia, Siria, Mali: Basta Guerre”, smascherando la campagna di manipolazione e mistificazione in atto per “giustificare” l’aggressione ammantandola di una presunta veste “umanitaria” e ribadendo i principi fondamentali del diritto e della giustizia, oltre che della più sincera azione per la pace e l’amicizia tra i popoli, fondati sulla non ingerenza, sull’auto-determinazione e sulla risoluzione pacifica delle controversie.