Profughi Rohingya (foto CC-by-nc-nd Mathias Eick EU/ECHO gennaio 2013)

Oggi circa 200 esponenti della comunità monastica buddhista provenienti da varie parti del paese sono riuniti in un monastero nei dintorni della capitale commerciale Yangon (l’ex Rangoon) per discutere delle tensioni a sfondo etnico-religioso che ha interessato diverse regioni del Myanmar nell’ultimo anno e che ha visto coinvolti come protagonisti anche monaci.

I religiosi pregheranno per le vittime della violenza nello stato occidentale di Rakhine, dove sono almeno 130.000 i musulmani di etnia Rohingya costretti ad abbandonare case ed attività produttive per le aggressioni di buddhisti. Tuttavia le aggressioni, che hanno provocato oltre 200 morti, hanno riguardato in misura minore anche comunità islamiche in aree centrali del paese e negli stati Kachin e Shan ai confini settentrionale e orientale.

L’antica ostilità dei buddhisti verso i Rohingya (non riconosciuti come etnia in Myanmar e ai quali sono negati cittadinanza e residenza) e i musulmani in generale, dipende anche da una propaganda ostile che, ad esempio, utilizza la maggiore prolificità dei musulmani per spingere a una reazione i buddhisti.

Secondo diverse testimonianze, alla guida delle folle che hanno devastato e incendiato aree abitate dai musulmani, ci sono stati proprio monaci con bastoni e megafoni. Monaci si sono anche posti alla testa della campagna per boicottare negozi e aziende gestiti da musulmani. I religiosi buddhisti, oltre 300.000 nel paese, hanno partecipato attivamente al movimento democratico che, sotto la guida di Aung San Suu Kyi, dal 1988 ha cercato di fare uscire il Myanmar dalla morsa della giunta militare. In molti tuttavia, all’impegno per la libertà e i diritti umani, come pure alla simpatia per il mondo esterno che ha sostenuto le forze di opposizione al regime, si è sostituito un ideale nazionalista e xenofobo.

Particolarmente attivi gli appartenenti al gruppo 969, un movimento radicale a base religiosa e razziale (birmana) che ha contribuito ad approfondire negli ultimi tempi il solco di diffidenza e di rivalità tra le comunità.