Siamo tutti malati mentali?

Questo è quanto lascerebbe supporre la nuova versione del DSM, la bibbia degli psichiatri che cataloga disordini mentali e comportamenti “anormali”. Più malati ci sono, più il mercato dell’industria farmaceutica si espande. Ma,soprattutto, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual) appare come un modo per fare rientrare nei ranghi quanti sarebbero considerati “devianti” – una proporzione sempre crescente di popolazione. Questi “mal adattati” della nostra società orientata alla redditività economica, dove l’individuo deve essere efficiente e adattabile. Indagine su un processo di standardizzazione che, sotto il pretesto medico, plasma gli individui.

Siete timidi?

Forse soffrite di “fobia sociale”. Questa vostra tristezza temporanea, legata a un evento doloroso come la perdita di una persona cara, non è piuttosto una depressione? Il territorio del patologico sembra estendersi senza fine. Questi disturbi psichiatrici sono inventariati nel ‘DSM-5′, quinta versione del catalogo dei disturbi mentali, opera di riferimento per gli psichiatri, pubblicato il 19 maggio. Con un bel po’ di “novità”. Pochissimi quelli che non si riconoscerebbero in uno o l’altro dei 400 disturbi elencati! A quanto sostengono i suoi critici, con quei criteri sempre più ampi e le soglie sempre più basse, il DSM servirebbe a costruire malattie mentali e spingere al consumo di sostanze psicotrope.

Mentre la prima versione del ” Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (Diagnostic and statistical manual of mental disorder– DSM), pubblicata nel 1952, non elencava che un centinaio di malattie, il suo contenuto non ha fatto che continuare a gonfiarsi ad ogni revisione ventennale. I critici sottolineano il rischio concreto di “medicalizzare” a oltranza comportamenti in definitiva normali. Lo storico Christopher Lane ha calcolato che, in base  alla versione precedente, il DSM – 4 (pubblicato nel 1994), la metà della popolazione degli Stati Uniti potrebbe essere considerata come affetta da disturbi mentali.

Il 38% degli europei soffrirebbe di disturbi mentali [1]! Perché una simile inflazione ? Stiamo tutti diventando pazzi?

I critici del DSM evidenziano le responsabilità dei laboratori farmaceutici. Queste aziende cercherebbero di espandere il ‘mercato dei disturbi’. E hanno, sin dagli anni ’80, stretto legami con influenti psichiatri, a cominciare dagli autori del DSM: infatti, il 70% degli autori ha dichiarato di avere rapporti finanziari con i laboratori [2]. Le vendite di farmaci antidepressivi e di neurolettici negli Stati Uniti rappresentano circa 24 miliardi di dollari. In Francia, queste vendite si sono moltiplicate per sette in due decenni e, all’inizio del 2000, rappresentavano oltre mezzo miliardo di euro. Al di là del conflitto di interessi, questa “patologizzazione del normale” rivela molte altre cose. Prima ancora di essere uno strumento di diagnosi di malattia mentale, il DSM non sarebbe piuttosto un dispositivo di standardizzazione dei comportamenti, in una società orientata al profitto economico?

Rientrare nello standard

In questo catalogo dei disturbi mentali, si parla più di comportamenti che di sofferenza. Una scelta rivendicata dagli autori:‘ Per essere il più oggettivi possibile e per garantire che un paziente abbia la stessa diagnosi, che sia a New York, a Parigi o a Tokyo, l’American Psychiatric Association (APA) ha deciso di escludere qualsiasi teoria esplicativa, fonte di dissenso tra le varie correnti di pensiero psichiatrico, e di restare a livello dell’osservabile, sul quale ognuno può concordare’. “E l’osservabile, è il comportamento “, spiega lo psichiatra Patrick Landman [3]. Presidente del collettivo Stop DSM, da tre anni si oppone al “pensiero unico DSM”. Accontentarsi semplicemente di osservare i comportamenti per stabilire una diagnosi permette di sfuggire ai pregiudizi culturali, morali o teorici dei vari specialisti. Ma questa standardizzazione avviene a costo di una grande semplificazione della complessità dei problemi incontrati in psichiatria.

L’abbondanza dei disturbi del comportamento e della personalità nel DSM “è emblematica di una psichiatria che si preoccupa meno della vita psichica delle persone che del loro comportamento”, aggiunge lo psichiatra Olivier Lagos [4]. Un comportamento che deve prima di tutto essere conforme alla norma. “Non è un fatto insignificante che il DSM non impieghi la parola “malattia”, che rinvia alla sofferenza o al lamento del paziente, ma la parola “disturbo”, che è la misura esterna di una deviazione dalla norma”, sottolinea lo psichiatra. “Il disturbo è ciò che mette a disagio, che dà fastidio”.

Quando l’omosessualità era una “malattia mentale”

Questi standard sviluppati dalla psichiatria non hanno aspettato le successive versioni del DSM per mostrarsi. Nel suo corso al College de France sugli ‘anormali’, il filosofo Michel Foucault spiegava come dalla metà del XIX secolo, la psichiatria inizi a trascurare il patologico, la malattia, per concentrarsi “sull’anormale”: la psichiatria ha“dapprima abbandonato delirio, alienazione mentale, il riferimento alla verità, e infine la malattia”. spiega il filosofo. “Quello che ora prende in considerazione è il comportamento, le due deviazioni, le sue anomalie”. Il suo riferimento diventa la norma sociale. Con questo paradosso: la psichiatria esercita la sua forza medicale non più sulla malattia, ma sull’anormale.

Un’analisi che combacia con quella dell’anti-psichiatria americana. Per il professore di psichiatria Thomas Szasz, le “malattie mentali” sono solo “miti” utili a medicalizzare il comportamento ritenuto immorale o indesiderabile all’interno della società [5]. “Il destino dell’omosessualità, inclusa poi esclusa dal DSM a discrezione dei mutevoli atteggiamenti mentali negli Stati Uniti, dimostra fino a che punto il manuale rispecchi meno lo stato della ricerca scientifica sulle malattie che non le norme di ciò che è considerato “accettabile” in una data epoca”, ricorda il filosofo Steeves Demazeux, autore di Qu’est-ce que le DSM? (Cos’è il DSM?)?.

A caccia di ‘devianti’?

Non tutti i comportamenti subiscono lo stesso trattamento. “Se parlate con Dio, state pregando, se Dio parla con voi, siete schizofrenici”‘, come scriveva Thomas Szasz. E alcune “parafilie” (per non dire “perversioni”), come masochismo e feticismo, permangono nella categoria dei “disturbi sessuali”, a testimonianza della cultura puritana americana in cui sono immersi gli autori, e a cui il pubblico è invitato a conformarsi. La psichiatria, che rileva e indica i devianti in epoca moderna, non farebbe altro, secondo Szasz, che sostituire l’Inquisizione che andava a caccia di streghe nel Medioevo. Gli inquisitori avevano come guida il Malleus Maleficarum, gli psichiatri… il DSM.

Certo, gli standard di un’epoca hanno sempre influenzato lo spartiacque tra il normale e il patologico. Ma questa influenza è stata a lungo relegata in secondo piano. Il DSM doppia il capo negli anni 80, facendo di queste norme i criteri diretti ed espliciti per ogni disordine. Un esempio: “Con il DSM – 5, bisogna avere meno di tre accessi d’ira in una settimana per essere un bambino ‘normale”, spiega Patrick Landman. Gli altri, quelli che si discostano da questo standard, ricadranno ora sotto l’etichetta della “disregolazione distruttiva dell’umore”! E potranno quindi essere ‘normalizzati’ con i farmaci. Assumendo, per esempio, il Ritalin, molecola a base di anfetamine consumata in forti dosi negli Stati Uniti, per migliorare la concentrazione degli scolari. Quasi 8 milioni di bambini e adolescenti americani dai 3 ai 20 anni assumono antidepressivi o sedativi. Il DSM non solo riflette le norme sociali del tempo, ma le rafforza trasformandole in norme mediche.

“Il buon funzionamento dell’individuo”, una questione economica

Uno dei criteri alla base di gran parte dei problemi, che si tratti di schizofrenia, iperattività o disturbi del comportamento, è la“significativa compromissione del funzionamento sociale o professionale“. La scelta delle parole non è innocente: la “funzione” di un corpo, di un dispositivo o di un attrezzo si riferisce sempre ad un totalità subordinante. Si parla così del buono o cattivo funzionamento del fegato o del rene relativamente al corpo. Parlare della “funzione” o del “buon funzionamento” dell’individuo tradisce il fatto che questi non è considerato fine a sé stesso. L’individuo deve ‘funzionare’ correttamente nell’entità al quale è subordinato: l’impresa, la scuola, la società. È ciò che la scala di valutazione globale del funzionamento (VGF) del DSM-4 (che data dal 1994) si propone di misurare. Siete al “top” del vostro “funzionamento sociale, professionale o scolastico”, oppure questo funzionamento subisce una ” alterazione significativa” o “leggera”? Se siete‘interessati e coinvolti in un’ampia varietà di attività, socialmente efficace, generalmente soddisfatto della vita’, avete la possibilità di ottenere un punteggio di 90 su una scala che va da 0 a 100…

E il vostro “funzionamento sociale” è del massimo interesse per il vostro paese. Poiché per gli stati, è la loro potenza economica ad essere in gioco: “L’Unione europea valuta tra il 3 e il 4 % del PIL i costi diretti ed indiretti della cattiva salute mentale sull’economia„ a quanto si legge nella relazione del 2009 del Consiglio d’analisi strategica sulla salute mentale. Invalidità, infortuni sul lavoro, assenteismo, diminuzione della produttività… Altrettanti impatti della salute psicologica dei lavoratori sull’economia. La relazione cita “nuove esigenze per la prevenzione delle forme di disagio psicologico e la promozione della salute mentale positiva o ottimale”. Concretamente? Si tratta di investire nel ‘capitale umano’ delle persone, dotando “ogni giovane di un capitale personale” fin dalla prima infanzia. Obiettivo: fare che ognuno sviluppi presto le ‘competenze chiave in materia di sanità mentale’. “Abilità che si rivelano in definitiva più adatte alle esigenze del mercato del lavoro”, spiega il Consiglio di analisi strategica…

Il lavoratore ideale: competitivo, invulnerabile e sicuro di sé

E per un buon motivo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce nel 1993 queste competenze psicosociali come “la capacità di una persona di rispondere con efficacia alle esigenze ed alle prove della vita quotidiana„. In altre parole, “essere capace di adattarsi alle costrizioni senza mai mettere in questione il buon fondamento o la giustizia della situazione, ecco ciò che è atteso da una persona ‘normale’, riassume Olivier Labouret.” Il DSM riflette l’ideale trans-umanista dell’uomo che si può programmare e migliorare perché sia competitivo sul mercato del lavoro”.

I pazienti con il miglior ‘voto’ sulla scala di valutazione globale del funzionamento del DSM hanno“un alto livello di funzionamento in un’ampia varietà di attività” e non sono “mai sopraffatti dai problemi incontrati”. Con grande soddisfazione del loro datore di lavoro! “L’uomo ideale sottostante al DSM è competitivo, invulnerabile e sicuro di sé”, continua lo psichiatra. “In questo, il DSM traduce una concezione evoluzionista della psicologia: solo l’individuo ‘vulnerabile’ o ‘fragile’ non è in grado di adattarsi alla realtà socio-economica, visto che la maggioranza sembra riuscirci. »

La psichiatria al servizio della produttività?

Questo normativismo sociale al servizio della produttività economica non è nuovo. Ma la “Bibbia degli psichiatri” applica e rafforza le norme, in modo sistematico e globale. I suoi effetti sono evidenti in tutte le istituzioni, ben al di là della pratica ospedaliera. Negli Stati Uniti e in Australia, mutue, tribunali e scuole vi fanno riferimento per puntellare le proprie decisioni. E i governi conducono le proprie politiche di salute pubblica mirando a ‘categorie DSM’ della popolazione.

In Francia, se il manuale non ha ancora forza di legge, tuttavia la sua presenza si intensifica. “In Francia si utilizza soprattutto la classificazione dell’OMS, la classificazione internazionale delle malattie (ICD, International Classification of Deseases). Ma questa è quasi un calco del DSM, che del resto la Haute autorité de Santé riconosce già ufficialmente”, spiega Patrick Landman. Il DSM viene insegnato sin dai primi anni degli studi di medicina. Tutti i medici generici pertanto vi si sono formati. ‘In quanto alla ricerca, non si può pubblicare un articolo se non si utilizzano i codici del DSM. E i laboratori, che finanziano la formazione post-laurea, non accettano altri sistemi.”

La violenza occultata del sistema neo-liberale

Un buon numero di sofferenze, difficoltà, emozioni, tratti del carattere o preferenze sessuali si ritrova elencato nel DSM, benché non dovrebbe ricadere all’interno del campo medico. La stragrande maggioranza degli operatori e dei pazienti non ci pensano nemmeno a mettere in discussione il valore di questi “disturbi” così ufficializzati. Né a rimettere in discussione le norme sociali che hanno presieduto alla formazione di queste categorie. Sono sempre gli esseri umani che, “disadattati”, soffrirebbero di “disfunzioni”. Sono quindi invitati ad identificare i loro disordini e a ricorrere ad un trattamento che permetterà loro rapidamente di ridiventare “funzionali”… In particolare sul mercato del lavoro. Una violenza simbolica del sistema neo-liberale, che si nega in quanto tale, a causa del suo spostamento nel campo psicologico e medico, deplora Olivier Labouret.“La schiacciante pressione normativa che ne risulta, ormai occultata, impedisce ogni possibilità di comprendere e riformare l’ordine del mondo”.

Oramai siamo non più malati, ma “mal adattati”. Un termine della psicologia moderna, utilizzato più di qualsiasi altro, considera Martin Luther King nel 1963:“Certamente, vogliamo tutti evitare una vita mal adattata”, ammette. “Ma ci sono alcune cose nel nostro paese e nel mondo a cui sono orgoglioso di essere mal adattato(…). Non ho intenzione di adattarmi un giorno alla segregazione ed alla discriminazione. Non ho intenzione di adattarmi alla bigotteria religiosa. Non ho intenzione di adattarmi a condizioni economiche che prendono i prodotti di prima necessità della maggioranza per dare prodotti di lusso alla minoranza”.

Note

[1] Studio del 2011, pubblicato nella rivista European Neuropsychopharmacology

[2] Leggere in particolare Jean-Claude St-Onge,Tous fous?, Ed. Écosociété, 2013.

[3] Autore diTristesse business. Le scandale du DSM 5, éd. Max Milo, 2013.

[4] Autore diLe nouvel ordre psychiatrique, ed. Ere,2012

(5) Il suo ragionamento è il seguente: perché ci sia malattia, occorre che ci sia lesione. Delle due l’una: o c’è una lesione del cervello, e quindi si tratta di una malattia del cervello (anche se interferisce con il comportamento, come l’epilessia) e non dello spirito. O c’è una sofferenza mentale, ma non lesioni, quindi non si tratta di malattia.

Fonte: http://www.bastamag.net/article3083.html

Autore: Laura Raim

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia