A Milano un altro sgombero sta per arrivare, un altro spazio sociale rischia di essere chiuso con la forza. Stavolta tocca a Zam, quello di via Olgiati 12, quartiere Barona, una delle esperienze di movimento più feconde di questi anni.

Dicono che la proprietà, dopo anni di abbandono e incuria, abbia ora un qualche progetto immobiliare e quindi lo sgombero pare essere imminente. Questione di giorni o settimane, dicono.

ZAM, che sta per Zona Autonoma Milano, era nato il 29 gennaio 2011. Allora in via Olgiati al 12 c’era solo una delle tante aree dismesse della metropoli. Una volta vi si producevano affettatrici e bilance professionali, quelle della Avery Berkel, ma poi l’azienda chiuse e l’ex stabilimento rimase vuoto e abbandonato per lungo tempo. I ragazzi e le ragazze di Zam gli hanno ridato vita due anni fa, occupandolo e riempendolo di attività, culturali, politiche e altro ancora. Oggi c’è persino una palestra per l’arrampicata libera.

Zam, tra le tante cose, è stato anche il prodotto di una nuova generazione di attivisti di movimento, meno segnata delle sconfitte del passato di quelle precedenti e forse per questo più capace di curiosità e apertura. E non è un caso, credo, che attorno a Zam sia poi nato un piccolo network di realtà, animato spesso da giovani e giovanissimi.

Beninteso, a Milano non c’è solo Zam e dintorni, per fortuna ci sono anche altre realtà che producono attivismo sociale, politico e culturale, che animano spazi e luoghi, che praticano socialità e conflitto in un tempo che ci vorrebbe tutti e tutte disgregati e docili. Ma, appunto, a Milano c’è anche Zam e il suo dinamismo è stato senz’altro un valore aggiunto per la città e per l’insieme del movimento, al di là di ogni altra considerazione.

Non penso che l’idea di sgomberare Zam sia il frutto di una congiura politico-questurina, anche se una certa politica, da sempre allergica agli spazi sociali, sicuramente farà il tifo per le ruspe e per i manganelli. No, molto più banalmente, si vuole cancellare Zam per fare posto ad un affare immobiliare. Ma, in fondo, è politica anche questa, o forse persino di più.

Il vero problema è però un altro. Cioè, Milano saprà dire qualcosa o assisterà passivamente all’evolversi degli eventi? La città, la sua amministrazione, le forze politiche, sociali, civiche, associative eccetera penseranno si tratti di una vicenda di rilievo pubblico oppure la relegheranno nel regno del contenzioso tra privati?

Sono domande di cruciale importanza in una città, dove due anni fa una straordinaria voglia e volontà di cambiamento riuscì a porre fine al ventennale dominio delle destre e dove in campagna elettorale echeggiarono parole come “a Milano c’è spazio” oppure “Milano come Berlino”.

Beninteso, non è questione di uno spazio, ma degli spazi. E non è questione di bandi sì o bandi no, perché i bandi vanno benissimo, a patto di non scambiarli con il rimedio universale.

Comunque, oggi siamo soltanto agli inizi ed è appena partita la campagna di e per Zam. Ora occorre fare il primo passo, cioè prendere parola e posizione, magari soltanto facendo girare il materiale informativo, i comunicati (qui il video e il primo comunicato stampa di Zam: Stay Zam – I sogni non si sgomberano). Poi, a breve, dovrebbe arrivare anche un appello.

Per quanto mi riguarda, se non si fosse capito, sto dalla parte di Zam.

Luciano Muhlbauer