La situazione denunciata dall’inizio dell’anno da numerose agenzie di stampa e organizzazioni per i diritti umani, ma mai trapelata a livello internazionale è quella della tratta di esseri umani che ha luogo in Yemen e in altri stati del Golfo nei confronti delle popolazioni del Corno d’Africa. Questa situazione non è altro che una conseguenza inevitabile e tuttavia inconcepibile di una realtà di cui purtroppo si conosce ancora molto poco. Etiopia, Somalia e Eritrea vivono infatti da anni una gravissima crisi umanitaria che vede spesso costrette le popolazioni di questa regione a lasciare il loro Paese in cerca di una vita migliore aldilà del Golfo di Aden verso i Paesi più ricchi come l’Arabia Saudita. Per farlo finiscono spesso nelle mani dei trafficanti di esseri umani che lungo il tragitto praticano abusi di ogni tipo sui profughi africani impedendo loro nella maggior parte dei casi di arrivare a destinazione.

Il Corno d’Africa è un’area strategica, collegamento naturale tra l’Africa e il Medio Oriente e comprende alcuni tra i Paesi più instabili al mondo, che sono spesso, anche a causa di dinamiche interne, dimenticati dai media. Infatti i governi di questi Paesi hanno sottoposto a rigidi controlli tutti i mezzi di informazione e reagiscono con ostilità a qualsiasi critica percepita come tale all’interno dei media di stato. In Eritrea tutte le testate giornalistiche indipendenti erano state di fatto messe al bando nel 2001. Nel 2007 il governo etiope ha cacciato tutti i media internazionali e le organizzazioni umanitarie permettendo l’ingresso solo alle organizzazioni non governative a condizione di non denunciare, attraverso la firma di un documento, le violazioni dei diritti umani.

La Somalia è un Paese dove ancora non è avvenuta una riconciliazione politica vera e propria, in guerra da oltre 30 anni è a continuo rischio di attentati. Nel 2006 le forze etiopi erano intervenute militarmente in Somalia, su richiesta delle Nazioni Unite, ristabilendo il Governo Federale di Transizione (TFG), attualmente attivo, spodestando l’Unione delle Corti Islamiche che avevano la funzione di dirimere le contese locali. Nonostante il successivo ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia, il con?itto armato tra i gruppi armati e le forze del TFG continua ancora.

A causa dei conflitti e della grave carestia del 2011 (causata dall’implacabile siccità, dall’insicurezza per le lotte in corso, dall’assistenza umanitaria inesistente, e dall’aumento delle tasse sul bestiame da parte del gruppo armato islamico al-Shabaab nella Somalia centro meridionale), gran parte della popolazione si è riversata in altre regioni somale oppure è emigrata verso il Medio Oriente. Solo nei primi sei mesi del 2011, 75.000 sfollati si sono riversati a Mogadiscio, ma invece di trovare rifugio e l’assistenza umanitaria di cui avevano urgente bisogno, molti hanno trovato un ambiente ostile e sono andati incontro ad abusi di ogni tipo, affrontato gravi violazioni dei diritti umani, tra cui stupri, discriminazioni etniche, accesso limitato a cibo, impossibilità di spostarsi e rappresaglie quando osavano protestare contro questi maltrattamenti.

Secondo Human Right Watch, le più gravi violazioni sono state commesse dai militari e dalle forze di sicurezza, spesso collegati al governo, che operano all’interno o nei pressi dei campi profughi e degli insediamenti degli sfollati. Spesso queste milizie sono collegate o controllate dai cosiddetti “guardiani”.

Altra realtà di grave crisi umanitaria è quella dell’Eritrea, che ricopre, nel Corno d’Africa, un ruolo conflittuale: è destabilizzata e frammentata dal punto di vista religioso e possiede uno degli eserciti armati meglio strutturati della regione. Ha una forte identità nazionale legata al passato coloniale italiano, ma dopo la forte diaspora eritrea non si è ancora arrivati con mezzi pacifici a un governo democratico che promuova i diritti umani. Torture, detenzioni arbitrarie e severe restrizioni della libertà di espressione e di associazione religiosa sono all’ordine del giorno in Eritrea. Membri di gruppi religiosi messi al bando sono a rischio continuo di vessazioni, arresti e detenzioni in incommunicado. Non si indicono le elezioni da quando l’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza nel 1993, la Costituzione non è mai stata attuata e i partiti politici non sono ammessi dal governo del presidente Isaias Afewerki, che, al potere da 20 anni, non ha vincoli istituzionali.

I giovani eritrei sono sottoposti a una schiavitù perpetua a causa del servizio militare nazionale che li obbliga a prestare servizio per un tempo indefinito, prolungandolo a tempo indeterminato e sottoponendo spesso i giovani ai lavori forzati. Essi non usufruiscono di alcun tipo di assistenza sanitaria e spesso non ricevono cure adeguate, allo stesso tempo il compenso che ricevono (meno di 30 dollari al mese) non è sufficiente al loro sostentamento. Spesso durante il servizio militare i ragazzi vengono obbligati a lavorare nella miniera d’oro di Bisha, in Arabia Saudita, o assegnati a progetti di lavori pubblici, imprese commerciali e agricole del partito al governo.

In Etiopia la scomparsa di Meles Zenawi, leader storico e creatore della nuova forma politica di federalismo etnico, ha creato una forte incertezza politica nel Paese, sia a livello nazionale sia nei rapporti con i partner internazionali.

La situazione del rispetto dei diritti umani si è notevolmente deteriorata, soprattutto negli ultimi anni e il paese si trova ad alto rischio di land grabbing. Il governo etiope continua infatti ad attuare il suo programma “villaggizzazione”: una politica di reinsediamento di 1,5 milioni di abitanti dei villaggi rurali in cinque regioni dell’Etiopia, programma attuato apparentemente per aumentare il loro accesso ai servizi di base. Tuttavia in alcune regioni come in Gambella e nella Valle dell’Omo, la rilocalizzazione è diventata uno sfollamento forzato che si svolge senza politiche adeguate e spesso si tratta di una vera e propria espropriazione delle terre fertili. Nella regione di Gambella, Human Rights Watch ha scoperto che le delocalizzazioni sono state spesso imposte con la forza e che gli abitanti dei villaggi sono stati spostati da aree fertili ad aree poco fertili e spesso i servizi promessi (scuole, cliniche, cisterne per l’acqua) non vengono realizzati.

Altro grave problema dell’Etiopia è la forza paramilitare del governo conosciuta come polizia Liyu che arresta arbitrariamente molti giovani considerati “ribelli” abusando di loro e torturandoli nel tentativo di estorcere le informazioni sui disertori del governo.

Alla luce di queste realtà è facile immaginare come tra il 2011 e il 2012 sia incrementato molto il traffico di esseri umani negli stati del Golfo. Secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati (UNHRC), gli abitanti delle regioni del Corno d’Africa pagano centinaia di dollari per raggiungere i punti di transito in Gibuti o Puntland attraverso i quali possono raggiungere via mare lo Yemen per poi arrivare in Arabia Saudita. Vanno incontro a viaggi in barche sovraffollate che impiegano anche tre giorni per arrivare in Yemen. Cercano di raggiungere gli stati del Golfo, come l’Arabia Saudita, per cercare lavoro, ma lungo la strada i migranti sono sottoposti ad abusi di ogni tipo, vengono affogati in mare dopo aver versato il compenso per il viaggio, quando le barche sono troppo affollate, le donne vengono stuprate, e spesso, appena raggiunta la costa, i profughi vengono presi in ostaggio dai trafficanti yemeniti che fanno parte di una vera e propria rete criminale che parte dal Corno d’Africa e arriva in Arabia Saudita.

Continua…