Tra la delusione generale l’Unrwa, agenzia Onu per i profughi palestinesi, ha cancellato l’appuntamento della maratona di Gaza per il 10 aprile che quest’anno aveva visto la partecipazione ai preparativi di numerose scuole con 1.500 studenti e 800 adulti, tutti impegnati ad allestire la gara alla quale avrebbero dovuto partecipare 2.400 tra palestinesi, ragazze e ragazzi, 119 dei quali stranieri.

La decisione di Hamas viene giustificata con ragioni di ordine morale: “Preferiamo la separazione tra i sessi e pertanto le donne non potranno prendere parte alla maratona (…) Ci dispiace la decisione dell’Unrwa, ma l’agenzia deve attenersi a tradizioni e costumi locali”.

E’ contrario al principio di parità tra i sessi come dispongono gli standard ONU”, risponde ‘Adnan Abu Hasna, portavoce locale Unrwa.

Nei due anni passati lo stesso evento si era potuto svolgere a Gaza e vi avevano partecipato indistintamente ragazzi e ragazze.

Non sono forse, uomini e donne uguali davanti alla legge?”, si è chiesta indignata rivolgendosi alla stampa Subiha Juma’a, avvocatessa e attivista per i diritti di genere.

I diritti umani sono inseparabili dall’individuo, qualunque sia il sesso. Se (dal governo) avessero voluto maggiori sicurezze, allora avrebbero potuto eseguire dei controlli durante i preparativi, così da accertarsi che i diritti delle donne non sarebbero stati violati”.

Dà luogo a perplessità questo ennesimo provvedimento che isola ulteriormente la popolazione di Gaza, già sottoposta a un brutale assedio voluto dall’occupante israeliano. La società palestinese a maggioranza islamica si è contraddistinta nella storia per la laicità dei costumi e delle espressioni politiche. Che ciò sia stato conseguenza della necessità nazionale alla resistenza o che riconduca ad aspetti costitutivi, è un’altra storia.

Da quando Hamas ha vinto le elezioni (2006) e ancor più dal 2007, anno in cui è diventato espressione assoluta in seno alle istituzioni con l’espulsione di Fatah, la Striscia di Gaza ha subito trasformazioni graduali, altre più ostentate, che hanno conferito una “personalizzazione” alla vita sociale, ma anche della sfera privata.

Il 2009 è stato l’anno in cui provvedimenti restrittivi o di separazione hanno investito molti aspetti della vita privata e pubblica a Gaza con una particolare “attenzione” rivolta alla donna.

La serie di misure e provvedimenti qui elencati tuttavia, non sono disposizioni di legge, ma il più delle volte sono il capriccio di poliziotti impegnati nelle “ronde della morale”.

Molte caffetterie sulle spiagge di Gaza sono diventate sale per la preghiera, mentre è stata dichiarata guerra ai commercianti, sottoposti a restrizioni delle immagini pubblicitarie, al divieto a esporre manichini denudati o anche abbigliati senza il velo. Regolarmente i negozi di elettronica vengono perquisiti dalla polizia a caccia di materiale pornografico.

Dal 2009 ad oggi altri divieti hanno colpito specifiche categorie di professionisti. Così agli uomini è stato vietato di vendere intimo per donne e un’altra decisione, questa volta giudiziaria, era stata rivolta alle avvocatesse.

Aveva suscitato scalpore la decisione delle autorità giudiziarie del Consiglio Supremo di Giustizia del governo di Hamas (separato da quello dell’Autorità palestinese in Cisgiordania) quando avevano imposto alle avvocatesse palestinesi, anche di fede cristiana, l’obbligo di indossare velo e abiti tradizionali quando si fossero presentate in aula di tribunale.

E ancora una lunga serie di interdizioni per le donne che vanno dalla proibizione di fumare il narghilè in luoghi pubblici (2010) o quello di salire a bordo delle motociclette. Quest’ultima decisione era stata così giustificata sul sito del ministero dell’Interno: “Per tutelare la salvezza dei cittadini e per la stabilità delle tradizioni della società palestinese”.

A febbraio 2011 sono finiti nel “ciclo virtuoso” i parrucchieri di Gaza.

Fathi Hammad, ministero dell’Interno, aveva proibito agli uomini di esercitare nei saloni da parrucchiere per donne e quella decisione ha mietuto numerose vittime come Hatem Ghul, costretto a chiudere il suo salone dopo diciassette anni dietro minaccia di arresto e l’imposizione di una multa salata.

Non credo che dietro l’esercizio del mio lavoro ci fosse nulla di estremo, semmai è il loro un atto estremo nel preferire lasciarmi senza un lavoro”.

Qual è la differenza tra un parrucchiere uomo che serve le donne, tra l’altro libere di andare o non andare da un parrucchiere uomo, e un medico che cura una donna?”, aveva commentato allora un collega di Hatem.

Un’ondata di altri interventi aveva investito le ragazze nelle scuole superiori con l’obbligo di indossare velo e abiti tradizionali, decisione seguita anche dall’Università Al-Aqsa.

Per ultimo anche ai Dj di Gaza è stato vietato di prestare servizio presso feste private. Questo è quanto ha scoperto stupito Muhammad che voleva preparare una sorpresa per il matrimonio della sorella.

Gaza e il pericoloso cocktail fatto di povertà materiale e impedimento alle libertà. Dai seguaci più caparbi ad altri osservatori distaccati della questione palestinese, simili notizie lasciano tutti delusi e disorientati poiché non è ben chiaro dove si voglia condurre un territorio già fortemente impoverito e ad oggi ancora privo di speranze per una soluzione a lungo termine.

Una ragione potrebbe essere l’assenza di scelte politiche nel programma e nell’azione di governo di Hamas sorpreso forse, dagli inaspettati sviluppi politici intorno a sé, fino al punto di dover rifarsi a pratiche e legislazioni date.

Certamente l’isolamento della donna palestinese, quello che ha reso possibile questi interventi contro il genere femminile, e quello che consegue a simili provvedimenti, è tra gli aspetti che hanno caratterizzato di questi anni di resistenza.

Se nella prima Intifada la donna aveva partecipato attivamente nella resistenza popolare, nell’ultimo decennio è stata emarginata dalla partecipazione alla lotta, perché quella di Al-Aqsa si ricorderà per l’alta componente armata e operativa riservata a elementi con un background militare.

E’ fuor dubbio che nella conduzione della loro lotta di liberazione, le donne palestinesi siano state un modello per molte altre quando, in seno a società conservative, esse hanno affrontato questioni come l’indipendenza personale, la parità di diritti e la partecipazione.