L’attuale premier Hamadi Djebali si è dimesso, dopo che si sono rivelati vani i suoi tentativi di formare un governo apolitique di “riconciliazione nazionale” (di cui in Italia sappiamo qualcosa) a seguito della crisi politica successiva al feroce assassinio del leader della sinistra radicale Chokri Belaïd lo scorso 6 febbraio.È stato proprio il partito islamico Al-Nahda, quello dalle cui fila proviene Djebali, a tirarsi indietro e non dare il suo consenso alla formazione di un governo espressione della tecnocrazia “indipendente”, o meglio non direttamente tesserata nei partiti della coalizione al potere, che nelle intenzioni del Primo Ministro avrebbe dovuto traghettare il Paese fino alle successive elezioni da svolgersi il prima possibile.

Le motivazioni ufficialmente dichiarate per il rifiuto fanno riferimento al preavviso non dato ad Al-Nahda dallo stesso Djebali, che avrebbe preso l’iniziativa di testa propria. Nondimeno, il partito della “rinascita” islamica si dichiara disponibile ad un nuovo governo in cui il potere sia più condiviso con le forze “laiche” (il riferimento è a Ettakatol e al Congresso per la Repubblica, le formazioni di centro non di stampo islamico che sono in coalizione con Al-Nahda formando la cosiddetta troika). Un governo che, a questo punto, non avrà alla sua testa il premier uscente, il quale dal canto suo fa ancora appello ad un “diverso tipo di governo” per la Tunisia in questo momento difficile (Le Monde ci propone questa galleria di fotonotizie sul periodo di “tormenta”).

In tutto questo va ricordato che a livello istituzionale, nonostante siano passati 2 anni dalla “primavera” del 2011, il Paese è ancora in una fase di stallo, con l’assemblea costituzionale che non assolve al suo compito, dilaniata da beghe di potere interne. A reggere la Tunisia è ancora un documento provvisorio, che se va bene al palazzo non serve tuttavia a risolvere le gravi condizioni in cui versa la gente, fuori.

Anche le strade tunisine contestano “rimpasti” e intrighi nelle sfere alte del potere. Il Fronte Popolare, unione delle forze di sinistra cui apparteneva il compianto Belaïd (la sua eredità oggi sembra essere stata raccolta dalla vedova), dalle piazze propone un “congresso di salvataggio nazionale” aperto alle varie forze rappresentative della popolazione.

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