In un’udienza preliminare nell’aula di Fort Meade, nel Maryland, il 28 febbraio 2013 il soldato Bradley Manning, accusato di aver fornito documenti segreti a WikiLeaks, si è dichiarato colpevole di aver diffuso materiale riservato, ma ha respinto l’accusa più grave, quella di aiuto al nemico.  Se venisse condannato per questo, passerebbe il resto della vita in prigione.

“Credo che se l’opinione pubblica avesse accesso all’informazione, questo potrebbe generare un dibattito sul ruolo dei militari e sulla politica estera in generale,” ha dichiarato con calma Manning, che si è presentato in aula in uniforme. In precedenza aveva sostenuto che il popolo americano ha il diritto di sapere cosa fa il governo in suo nome in giro per il mondo.

Manning si è dichiarato colpevole di dieci imputazioni minori, compresi il possesso non autorizzato e la distribuzione intenzionale di informazioni sull’Iraq e l’Afghanistan. Per questi capi d’accusa la pena massima è di vent’anni di prigione. Manning è pronto a difendersi con una dichiarazione di 35 pagine riguardo all’accusa di spionaggio, ma solo dopo che il giudice, colonnello Denise Lind avrà stabilito quante pagine potrà leggere. Il processo è stato fissato per il 3 giugno.

Il mese scorso il giudice ha deliberato che, nel caso venga condannato, Manning avrà diritto a uno sconto di pena di 112 giorni, perché è stato sottoposto a un trattamento illegale nei nove mesi passati presso la base di Quantico, in Virginia. Durante questo periodo di detenzione precedente al processo, Manning è stato messo in isolamento per 23 ore al giorno, con le guardie che lo controllavano a intervalli di pochi minuti.

Sabato scorso, 23 febbraio, si sono svolte manifestazioni di appoggio e solidarietà a Manning in 70 città negli Stati Uniti e nel resto del mondo.  La rete che lo sostiene ha proclamato una Giornata di Mobilitazione Internazionale il 1° giugno.