Dieci anni fa, il 15 febbraio 2003,  oltre cento milioni di persone  in decine di paesi scesero in piazza per dire no alla guerra in Iraq. Il New York Times scrisse che era nata la seconda superpotenza, con cui Bush non avrebbe potuto non fare i conti: l’opinione pubblica mondiale.

Forse non c’era mai stata una mobilitazione così potente e simultanea, così allegra, pacifica e colorata nonostante la drammaticità del momento, così carica di un’indignazione morale che andava al di là delle abituali motivazioni contro la guerra per coinvolgere persone diversissime tra loro, ma accomunate da una stessa sensibilità, dal rifiuto totale e profondo della violenza.

Nei giorni precedenti al 15 febbraio le città italiane si riempirono di bandiere della pace, appese alle finestre e ai balconi, cambiando la fisionomia e la percezione che si aveva del proprio ambiente abituale. Era come ritrovarsi con una quantità di amici sconosciuti eppure vicini.

E nonostante questa immensa mobilitazione non si riuscì a evitare il disastro: poco più di un mese dopo gli americani invasero l’Iraq, scatenando una guerra devastante e compiendo atrocità che ancora adesso fanno sentire il loro peso nell’odio che tanta parte del mondo nutre per tutto ciò che sa di Occidente. E moltissimi governi li appoggiarono, nonostante la chiara opposizione dei loro popoli a quell’invasione immorale.

Tutto inutile, allora?

E’ una domanda che mi sono posta, soprattutto nei mesi successivi all’invasione dell’Iraq, quando sembravano trionfare la prepotenza e l’ingiustizia e chi, come me e tanti altri, aveva cercato di impedire la guerra provava un  senso di fallimento e di futuro chiuso.

Devo ringraziare l’ambito degli umanisti e soprattutto i commenti lucidi e profondi di Silo se quella cupa cappa di impotenza e sconforto ha cominciato a disperdersi. A poco a poco ho capito che quell’azione – come tutte le azioni valide – manteneva il suo valore al di là dei risultati ottenuti e contribuiva comunque all’evoluzione dell’umanità verso una società senza violenza, che l’elemento nuovo di quel momento – la sensibilità nonviolenta di tanta gente – andava ripreso e rafforzato.

Non a caso proprio quella sensibilità a favore della pace, della nonviolenza e del disarmo, quella ribellione innanzitutto morale all’ingiustizia e alla sopraffazione, quella creatività allegra e vitale è riaffiorata nelle migliaia di eventi che hanno accompagnato la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, che ha percorso il pianeta dal 2 ottobre 2009 al 2 gennaio 2010.  E poco dopo è tornata a dilagare nel movimento degli Indignati e di Occupy Wall Street.

Niente di ciò che è buono e valido mai va perduto: sembra scomparire, ma prima o poi fa di nuovo irruzione nel paesaggio sociale e umano, sconvolge situazioni che parevano immobili e apre il campo alla speranza. Se la consideriamo da questo punto di vista, l’enorme mobilitazione del 15 febbraio 2003 non è più un evento mitico e irripetibile da ricordare con nostalgia, ma semplicemente un gradino in una lunga costruzione umana, iniziata molto tempo fa e destinata a continuare nel futuro.