Dopo il terremoto giudiziario che ha investito i cantieri Tav di Firenze, immediate si sono levate le voci “istituzionali” del fronte Sì Tav, tutte tese ad accreditare la teoria della “mela marcia”, che è un po’ come rievocare Mario Chiesa ed il Pio Albergo Trivulzio all’inizio di Tangentopoli negli anni novanta, tanto per fare un esercizio di memoria. Del resto non è un caso se Ivan Cicconi ha intitolato un suo libro sull’Alta velocità “Storia del futuro di Tangentopoli”.

Rete ferroviaria italiana (Rfi): “Noi siamo parte lesa”; il presidente toscano Rossi: “Porto in tribunale i responsabili”; più sobrio il sindaco di Firenze, Renzi: “Non parlo se c’è un’inchiesta in corso”. Purtroppo il fatto è che non ha parlato prima. E poi, naturalmente, il tunnel Tav sotto Firenze “è un’opera strategica per il paese!”, “bisogna difendere il lavoro”, e via di questo passo.

Opportuno allora tentare di fare chiarezza su questa “grande opera” dalla storia ultradecennale, fortemente voluta dalle amministrazioni comunali (sindaci Primicerio, Domenici e Renzi) e regionali (presidenti Chiti, Martini e Rossi), tutte riferibili al Pds – Ds – Pd, e con forti legami con il mondo delle cooperative, di cui fa parte Coopsette, capofila del raggruppamento che si è poi aggiudicato i lavori (Nodavia), potente cooperativa “rossa” emiliana, già interessata dalle inchieste di Tangentopoli per la metropolitana milanese.

Si tratta, in estrema sintesi, di realizzare un doppio tunnel sotto la città, e una stazione interrata, interamente dedicati ai treni ad alta velocità. Soluzione ovviamente molto costosa, ma anche dai rilevanti impatti, resi ancor più critici dall’ambiente urbano interessato, come hanno evidenziato diversi studi realizzati da tecnici indipendenti, compresi numerosi docenti dell’università fiorentina. Studi che hanno dimostrato anche l’approssimazione tecnica e valutativa del progetto, e la volontà tutta politica delle diverse amministrazioni di andare comunque avanti. E in questo “comunque” sta molto di quanto è venuto alla luce oggi.

Sgombriamo subito il campo da una delle tante “verità rivelate” del fronte del sì: altro che opera strategica per il paese, il tunnel è sostanzialmente inutile anche solo nell’ambito locale. I treni veloci già passano da Firenze; se si vuole una stazione passante e non di testa come Santa Maria Novella (per risparmiare 4 o 5 minuti) basta scegliere fra le altre tre presenti sul tracciato; se si vuole incrementare il traffico locale, penalizzato dall’utilizzo di due binari da parte della Tav, è possibile aggiungere gli stessi due binari in superficie accanto a quelli esistenti. Anche se, è bene ricordarlo, nell’ultimo accordo fra Renzi e Moretti (capo delle ferrovie) sono stati cancellati interventi di ristrutturazione di numerose stazioni e fermate minori nell’area urbana, e di fatto si è ridimensionato proprio il livello locale dell’infrastruttura ferroviaria.

Un’altra leggenda metropolitana, quanto mai attuale in questi tempi di crisi, è che non si possono perdere investimenti che significano lavoro. In realtà le “grandi opere” producono poca occupazione, e solo quella direttamente coinvolta: se quelle risorse fossero indirizzate ad un necessario ammodernamento e messa in sicurezza delle reti ferroviarie “minori”, potrebbe comportare una ricaduta migliore e a più lungo termine anche in termini occupazionali.

Le prime notizie dal fronte dell’inchiesta sono da brividi: associazione a delinquere finalizzata all’abuso d’ufficio, alla corruzione, al traffico illecito di rifiuti. Fanghi inquinanti sversati in falda o in terreni agricoli, strutture prefabbricate di sostegno delle gallerie prive dei requisiti di sicurezza richiesti, verbali falsificati, scavi nei pressi di una scuola in orario di lezione quando era espressamente vietato per garantire la sicurezza fisica dell’edificio e degli occupanti. Notizie che si aggiungono ai tanti aspetti inquietanti già denunciati inutilmente più volte: l’inadeguatezza degli studi sul rischio sismico (secondo il parere del Genio Civile), l’incertezza sul comportamento della falda, i tanti sforamenti dei limiti nella emissione di polveri, il massiccio utilizzo da parte di decine di mezzi pesanti delle strade cittadine, evenienza espressamente non ammessa dal progetto originario.

Viene ipotizzato un “consolidato gioco di squadra: i membri della associazione contestata — scrivono i pubblici ministeri — pianificano una serie di interventi a vasto raggio per influire su e determinare le varie pubbliche amministrazioni coinvolte, in maniera da superare ogni possibile ostacolo e intralcio agli obiettivi della associazione: ovverosia favorire al massimo, in termini economici, Nodavia e tramite essa Coopsette (di cui si teme anche la prossima insolvenza) a scapito dei costi dell’appalto e a danno delle casse dello Stato”.

Una “squadra” che chiama pesantemente in causa il Pd: uno dei dirigenti di Coopsette indagati, Maurizio Brioni, è marito dell’ex sottosegretario Pd Elena Montecchi; il geologo Walter Bellomo, della commissione Via del ministero dell’ambiente, è stato coordinatore della segreteria provinciale di Palermo e responsabile regionale ambiente dei Democratici di sinistra; il professor Piero Calandra è membro della Autorità di vigilanza sui contratti pubblici in quota Pd; fino a Maria Rita Lorenzetti per dieci anni presidente della Regione Umbria e oggi riciclata alla presidenza di Italferr (gruppo Fs, nominata da Marco Milanese, travolto poi dalla vicenda P4), che, sempre per i magistrati fiorentini, metteva  «a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette», le proprie conoscenze personali e la propria rete di contatti politici.

Non mancano comunque presenze trasversali, che favoriscono il clima bipartisan, quale in particolare Ercole Incalza,  eminenza grigia in tutta la storia della Tav, già collaboratore del ministro Matteoli e poi di Passera, dirigente del ministero delle infrastrutture confermato dal governo Monti.

Se questa è, secondo i magistrati inquirenti,  la “formazione” del gruppo operativo, c’è un altro aspetto che salta all’attenzione, in particolare a chi da anni denuncia la mancanza di chiarezza e trasparenza di una procedura e un progetto che si vuole mandare avanti ad ogni costo, come il Comitato NoTunnelTAV che fa un prezioso lavoro di informazione e di mobilitazione (http://notavfirenze.blogspot.it/), la lista di cittadinanza in comune, a Firenze, PerUnaltracittà, e alcuni altri consiglieri comunali e regionali: la sostanziale rinuncia delle istituzioni, del soggetto pubblico, ai controlli, sia a livello progettuale, sia a livello operativo. Rinuncia che, alla luce dei primi risultati dell’inchiesta, assume un senso ancora più inquietante.

Eppure non si può dire che non ci fossero le occasioni per le amministrazioni, volendo, di approfondire i tanti aspetti della vicenda: ci sono decine di atti consiliari (interrogazioni, ordini del giorno, mozioni), audizioni in commissione in Comune, Provincia e Regione, due libri pubblicati (“Valutazione del progetto del sottoattraversamento ferroviario della città di Firenze: verifica dello studio di impatto ambientale della linea ad alta velocità”, Università di Firenze, Laboratorio Progettazione Ecologica degli Insediamenti, 2007; “TAV sotto Firenze, Impatti, problemi, disastri, affari, e l’alternativa possibile”, Alinea editrice, 2011). E poi assemblee, convegni e incontri a cui le istituzioni si sono sempre negate.

La Via, la Valutazione d’impatto ambientale, è stata approssimativa e senza confronto con soluzioni alternative o con l’opzione zero. Il recepimento delle pesanti prescrizioni della Regione e di Arpat non è stato verificato, tuttavia in successive conferenze dei servizi si sono approvati progetto e varianti sostanziali (senza nuove valutazioni) con le firme di Vannino Chiti, presidente regionale, e Mario Primicerio sindaco di Firenze, e successivamente di Riccardo Conti, assessore regionale, e Gianni Biagi, assessore comunale. Per inciso, Vannino Chiti ed il successore Claudio Martini, attualmente blindati nel listino che li porterà diretti in parlamento, solo sei mesi fa sono stati “assolti per prescrizione” (come nel passato è capitato per altre vicende ad Andreotti e Berlusconi), dalla Corte dei Conti insieme ad altri 23 amministratori e dirigenti regionali, nonchè dirigenti del ministero dell’ambiente, perché individuati come responsabili, ma fuori tempo massimo, per i danni ambientali che hanno duramente colpito il Mugello a causa dei lavori dell’Alta velocità nella tratta Firenze-Bologna. Avrebbero dovuto restituire all’erario ben 13,5 milioni di euro, ormai persi per sempre. Riccardo Conti, già responsabile nazionale Pd per le infrastrutture, è indagato in vicende legate ad una autostrada mai fatta, ma pagata dalla regione Toscana, con rapporti con Vito Gamberale, amministratore delegato del Fondo F2I ed ex presidente di Società autostrade, mentre Gianni Biagi è stato rinviato a giudizio nell’affaire Castello, una grande speculazione edilizia a Firenze, per rapporti sospetti con Ligresti.

Una volta approvati, questi progetti sono andati avanti nella opacità più totale, senza che se ne potesse più sapere niente, fino all’apertura dei cantieri. Unico organismo di controllo l’Osservatorio Ambientale, che però ora non può intervenire perché è scaduto da oltre sei mesi e non è stato rinnovato. E comunque ha poteri e competenze limitate, oltre ad avere al suo interno un rappresentante della committenza, Rfi, che dovrebbe dunque controllare se stessa. Nonostante tutto, alle numerose domande e osservazioni presentate nei consigli comunali e regionali, i relativi assessori Mattei e Ceccobao hanno sempre garantito la regolarità di tutti gli aspetti dell’opera, con una crescente insofferenza verso chi si permetteva di avanzare dubbi e domande, in sintonia con l’Ad di Ferrovie, Moretti, che definì i contrari al progetto “quattro fessi”.

Ora questi quattro fessi non possono non notare che la vera cifra della vicenda sta, anche questa volta, nel distorto rapporto fra politica e grandi opere. Come per la Val Susa, come per il Ponte di Messina, come troppe altre volte, la politica decide, spesso non solo senza analisi costi-benefici, ma neanche una semplice valutazione della domanda effettiva o delle alternative, e da quel momento si adopera per minimizzare i “fattori di disturbo” nell’attuazione dell’opera, che siano meccanismi di trasparenza, tutele ambientali, o il dissenso dei cittadini. Così il presidente Rossi, che vuole portare in tribunale le “mele marce”, appena pochi mesi fa ha avocato a sé la competenza sui procedimenti di Via, ed ha deciso il trasferimento ad altro incarico del dirigente del settore, l’architetto Fabio Zita, che aveva appena firmato un parere sulle terre di scavo classificandole, come da normativa vigente, rifiuti speciali. Proprio quei rifiuti per cui è scattata l’ipotesi di traffico illecito e illecito smaltimento. Normale avvicendamento, dice Rossi. Sarà, ma Zita non aveva nessuna voglia di cambiare settore, e il nuovo dirigente non ha alcuna competenza non solo di Via, ma neanche di ambiente.

Ivan Cicconi sostiene che il sistema Tav, e in generale delle grandi opere, è un perfezionamento del sistema tangentizio emerso nei primi anni novanta, nel senso che si sono sistematizzati l’arbitrio ed il potere della politica nell’affidamento e nella spartizione dei lavori, e la libertà di azione degli operatori nel ritagliarsi in ogni modo profitti oltre misura, senza più il fastidio della mazzetta sottobanco. Ogni volta che la magistratura apre uno squarcio su questo mondo (e purtroppo è l’unica che interviene, a testimonianza della stortura del sistema), si hanno immediate conferme a questo assunto.

Gruppo  consiliare fiorentino Perunaltracittà. La consigliera comunale è Ornella De Zordo

La vicenda del tunnel Tav sotto Firenze, e le proposte alternative presentate dal Comitato No tunnel Tav, sono ampiamente trattate nel libro “I No Tav d’Italia”, edito nel settembre scorso da DKm0 con Intramoenia. http://www.democraziakmzero.org/2012/10/11/no-tav-ditalia/

Articolo originale su:

http://www.democraziakmzero.org/2013/01/22/la-banda-pd-e-la-tav-di-firenze/