Riceviamo da Un ponte per… e volentieri pubblichiamo:

Mentre il mondo spera che l’annunciata tregua tra Israele e Hamas regga, fumano ancora le macerie di Gaza. Dopo una settimana di bombardamenti, piangono familiari e amici di 164 vittime palestinesi e 5 israeliane.

Civili sono oltre i due terzi delle vittime – molti bambini, donne e anziani – e civili erano i ragazzi di Gaza uccisi già l’8 e il 10 novembre mentre giocavano a calcio, in una escalation di violenza costruita coscientemente da Israele per provocare la reazione di Hamas, e distrarre gli Israeliani dalle questioni di politica interna prima delle elezioni del 22 gennaio.

Soprattutto, come dice Noam Chomski “L’incursione e i bombardamenti su Gaza non puntano a distruggere Hamas. Non hanno il fine di fermare il fuoco di razzi su Israele, non puntano a instaurare la pace. La decisione israeliana di far piovere morte e distruzione su Gaza, di usare armamenti letali degni di un moderno campo di battaglia su una popolazione civile largamente indifesa, è la fase finale di una pluridecennale campagna per fare pulizia etnica dei palestinesi”.

Se la tregua fa tacere le armi, ben altra cosa è la costruzione della pace. Questa richiede un lavoro di rimozione delle cause strutturali del conflitto: l’occupazione sulla Cisgiordania, l’assedio a Gaza, l’apartheid in Israele. Per questo, i veri costruttori di pace sono gli attivisti palestinesi, israeliani e internazionali che hanno continuato a protestare con azioni nonviolente (dalle manifestazioni all’hackeraggio) contro la brutalità dell’esercito israeliano, per una pace giusta, e i ragazzi israeliani che hanno rifutato di servire il loro esercito. Come Natan Blanc, diciannovenne di Haifa, che ha cominciato a pensare di rifiutare l’arruolamento durante l’operazione “Piombo fuso” nel 2008, e negli scorsi giorni ha deciso che preferiva la prigione al servizio militare.

“Raccolgono la pace” in questi giorni anche volontari di Servizio Civile Internazionale, Un ponte per… e Assopace, che si trovano in Cisgiordania per aiutare i Palestinesi nella raccolta della olive. La loro presenza e interposizione nonviolenta serve a disincentivare o denunciare eventuali arresti, ferimenti e altre violazioni dei diritti umani commesse da esercito e coloni israeliani. Dai villaggi in cui sono dislocati, ci scrivono di Gaza.

Durante l’aggressione israeliana contro la popolazione di Gaza, nelle città e villaggi palestinesi di tutta la Cisgiordania si sono tenuti sit-in, cortei e manifestazioni di solidarietà ai palestinesi della Striscia. Queste vengono sedate sul nascere dalla violenta repressione delle forze di occupazione israeliane. La resistenza palestinese è affidata a una manciata di pietre e qualche bottiglia di vetro, la risposta israeliana sono lacrimogeni spesso lanciati ad altezza d’uomo e non in aria come da norma, proiettili rivestiti di gomma, bombe sonore e in alcune occasioni munizioni normali.
Rushdi Tamimi, 28 anni, di Nabi Saleh, Jawwad Mohammad Al-Falah, 22 anni, di Hebron, e un bambino di 20 mesi di Qalandiya sono le vittime degli scontri di questi giorni, a cui si aggiungono decine di feriti, alcuni dei quali versano in gravi condizioni.

Razzi sparati da Gaza hanno colpito il blocco di colonie di Gush Etzion, Gilo e Teqoa. Alcuni razzi sono stati intercettati e distrutti in volo mentre i restanti hanno colpito terreni disabitati senza provocare vittime, causando comunque il panico tra i coloni.
Dopo il tramonto le strade della Cisgiordania sono nuovamente dei palestinesi nonostante i controlli ai checkpoint interni siano aumentati, provocando disagi alla popolazione durante le ore diurne e colpendo un’economia palestinese già disastrata dopo gli accordi di Oslo.

Cinque delle ultime sette elezioni israeliane sono state precedute da una guerra mossa dallo Stato d’Israele verso le popolazioni circostanti, in primis quella palestinese. I partiti politici israeliani si dividono tra quelli che appoggiano l’aggressione alla popolazione Gazawi e quelli che in maniera sterile chiedono la pace, che per loro implica solo lo stop dei bombardamenti verso la striscia e del lancio di razzi da Gaza verso il Sud d’Israele.

Ciò che chiedono questi partiti è una pace senza giustizia, una pace che non cita la fine dell’occupazione dei territori palestinesi come causa primaria per la fine di ogni tensione e violenza, un’occupazione che dura dal 1948 e ha radici più antiche, una pulizia etnica che prosegue e si evolve nel tempo, la cui unica costante è l’obiettivo finale: l’eliminazione della popolazione indigena da un territorio occupato.

Un ponte per… testimonia il proprio sostegno a tutti gli operatori e volontari internazionali che hanno scelto di rimanere in Palestina in questi giorni accanto alla popolazione, raccontando al mondo la tragedia che si consuma davanti ai loro occhi.

Denunciando la sistematica violazione delle risoluzioni ONU e del diritto umanitario internazionale da parte di Israele, rilanciamo l’invito della società civile palestinese a BOICOTTARE l’economia e le istituzioni israeliane, premere perché le nostre imprese DISINVESTANO da Israele, chiedere che la comunità internazionale applichi SANZIONI e l’embargo militare su Israele.

Chiediamo al nostro governo che ponga fine agli accordi preferenziali, all’accordo militare e alla complicità con la condotta di Israele: il Ministro Terzi smetta di dichiarare che Israele ha esercitato legittima difesa! Il Ministro Riccardi legga il comunicato scritto dai cooperanti italiani appena prima di essere evacuati da Gaza, e si faccia portavoce delle loro denunce!

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