La notizia della convocazione da parte dei Servizi Sociali di alcuni genitori di ragazzi che avevano partecipato a manifestazioni No Tav solleva, oltre a perplessità e allarmi, una serie di domande sul ruolo genitoriale, su quello dei servizi e degli organi deputati alla tutela dei minori, così come alcune riflessioni sull’idea che abbiamo di cittadino e prima ancora di persona.

Il Servizio Sociale che si occupa di minori ha come obiettivo quello della tutela dei bambini o degli adolescenti; ha funzioni di aiuto, di sostegno e/o di controllo-vigilanza nei casi in cui l’esercizio della genitorialità, per diverse ragioni , risulti in varia misura compromesso al punto da esporre il figlio ad un pregiudizio psicologico o fisico.

I tre ragazzi, che saranno assieme alle loro famiglie oggetto di indagine sociale, sono a rischio? E di quale rischio si tratta? E le loro famiglie sono potenzialmente dannose per il loro sviluppo? Perché? Un adolescente che partecipa ad azioni di protesta si situa nell’area della devianza? Una famiglia “militante” è potenzialmente pregiudizievole per i suoi figli?

Sembra assurdo, ma è questo il messaggio che un’azione come quella decisa dalla Procura presso il Tribunale dei minori di Torino rischia di veicolare; i presupposti per un’indagine sociale, così come ci sono stati raccontati dai giornali, restano oscuri e se il tutto si basa sulla partecipazione dei ragazzi ad alcune iniziative nell’ambito della protesta No Tav, francamente inquietanti. [Leggi il racconto di uno dei genitori, ndr]

Che di fronte allo sgretolamento del senso di comunità, di cittadinanza, di fronte al crescere di situazioni di individualismo esasperato, di isolamento e solitudine urbana, alcuni ragazzini abbiano deciso di impegnare una parte del loro tempo per una causa sentita come comune, che travalica il confine puramente personale, mi sembra una bella notizia, non certo un fattore di preoccupazione; che questi ragazzi siano arrivati alla partecipazione alle manifestazioni di protesta verosimilmente riflettendo e confrontandosi con i loro adulti di riferimento, in casa e fuori, a cena davanti ad un piatto di pasta, a scuola o ad un’assemblea; che abbiano discusso, ascoltato ed espresso opinioni rispetto ad una questione che è sentita come problema dalla maggioranza della comunità di appartenenza, è un fattore di protezione personale e sociale, non certo di rischio. Come genitore e come assistente sociale mi sembra più un’occasione di crescita che di pregiudizio.

Che le famiglie siano sistemi non asfitticamente richiusi su se stessi, ma permeabili ai fermenti sociali, che siano luoghi di discussioni, di circolazione di idee e proposte, che siano anche luoghi di coinvolgimento attivo dei loro membri, è sano.
Si fa un gran parlare di sviluppo di cittadinanza attiva, di sicurezza come bene collettivo, di assunzione di responsabilità, di qualità del vivere, di partecipazione e democrazia diffusa, di rafforzamento delle reti sociali; ma è tutta retorica stantia se un adolescente che manifesta in modo legale e legittimo il proprio dissenso, e con lui la sua famiglia, vengono coinvolti in indagini che ben altri destinatari potrebbero e dovrebbero avere. Ci sono bambini e adolescenti gravemente trascurati, maltrattati e abusati, spesso proprio dalle stesse figure parentali che dovrebbero rappresentare per loro cura e protezione. Ci sono anche bambini e adolescenti che vivono interminabili ore di solitudine davanti alla televisione, con genitori assenti o silenti. Ci sono cene e pranzi in cui il sottofondo è solo quello dell’ennesimo quiz televisivo, e uscire di casa vuol dire andare al centro commerciale.

Davanti alle varie declinazioni di rischio per un minore, da quelle più gravi a quelle più diffuse e apparentemente innocue, le istituzioni non sempre si muovono. Per mancanza di reale volontà politica ad affrontare alcune questioni come prioritarie e, conseguentemente, per mancanza di risorse economiche e professionali. Gli assistenti sociali che lavorano nei servizi sono spesso frustrati più dal senso di impotenza derivante dalla pochezza dei mezzi professionali messi a loro disposizioni, dalle stressanti condizioni lavorative, di precarietà e sovraccarico, che dal contatto con i problemi portati dell’utenza.

Come operatrice posso immaginare il senso di disagio e lo sconcerto dei colleghi nel dovere sottrarre tempo e risorse per colloqui e indagini francamente surreali, mentre quotidianamente si combatte perché situazioni reali di rischio e pregiudizio per tanti bambini possano decentemente essere prese in carico. D’altra parte di fronte ad un mandato di indagine sociale che proviene dall’autorità giudiziaria, il servizio sociale è obbligato a procedere. Certo è triste che si usino così operatori che, invece, potrebbero svolgere un ruolo prezioso all’interno della comunità locale, se si investisse sul loro vero mandato:

”La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l´autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel processo di cambiamento, nell´uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione.”

Così recita l’art.6 del codice deontologico degli assistenti sociali.

E’ sconfortante che si usino professionalità per scoraggiare e non per sostenere i processi di partecipazione singola e collettiva. E’ triste che proprio le famiglie che non delegano, ma che si impegnano in prima persona nel processo di risoluzione di un conflitto che le riguarda, che trasmettono ai loro figli il valore dello sviluppo di un senso critico e della socialità, siano quelle verso cui si guarda con la lente d’ingrandimento e atteggiamento inquirente.

Mi sembra un’altra occasione mancata per fare sentire che lo Stato è dalla parte giusta, quella dei valori che la nostra Costituzione riconosce come principi fondamentali. [Leggi l’interrogazione parlamentare del deputato Zamparutti, ndr]

di Elisa Stilitano (assistente sociale, membro della chiesa battista di Asti).

tratto da: http://www.lavallecheresiste.info/