Qui di seguito la mia intervista con l’attivista e traduttrice pro-palestinese Martina Lauer. Martina Lauer è nata in Germania meridionale e vive in Canada da 20 anni. In Germania ha studiato germanistica e storia presso l’Università di Friburgo in Germania e ha lavorato come insegnante e lettrice in Germania, Inghilterra e Peru. Dal 2008-09, all’indomani dei violenti bombardamenti israeliani contro Gaza, ha iniziato ad impegnarsi nel movimento pro-palestinese. Ha scritto per il sito Itisapartheid, ora Adsfor Apartheid e traduce articoli e testi sulla resistenza palestinese per i siti pro-palestinesi ProMosaik e Palästina Portal. Vorrei ringraziare Martina per le sue risposte così dettagliate ed importanti alle nostre domande. Spero che grazie alle sue parole molte lettrici e molti lettori comprenderanno l’importanza di un impegno attivo e “creativo” a favore del popolo palestinese. Ognuno di noi può e deve impegnarsi a favore della Palestina e dei diritti umani. La critica nei confronti di Israele e l’antisionismo in questo contesto significano un posizionamento chiaro a favore dei diritti umani e a favore dei popoli oppressi e colonizzati anche al di fuori della Palestina occupata.

 

Milena Rampoldi: Che importanza riveste secondo Lei l’impegno pro-palestinese in Occidente?

Martina Lauer: I difensori di Israele spesso rinfacciano agli attivisti pro-palestinesi di ignorare importanti eventi mondiali e pesanti violazioni dei diritti umani in altre parti del mondo. Perché non si occupano del Tibet, del Kashmir e della Siria? Da una parte i nostri governi parlano della comunanza spirituale con Israele e del carattere esemplare della democrazia israeliana. Dall’altra si fa riferimento ad una responsabilità storica per la protezione e il mantenimento dello stato ebraico. Da Washington, la centrale di comando del mondo occidentale, ogni anno vengono inviati oltre 3 miliardi di Dollari in Israele e sono persino in corso delle negoziazioni per aumentare questo importo.

Misuriamo i nostri governi sulla base del loro comportamento nei confronti di Israele:

In Germania i politici dicono persino che la responsabilità storica della Germania per la sicurezza di Israele sarebbe parte della ragione di stato tedesca.

MR: Per Lei personalmente che cosa significano sionismo e antisionismo?

ML: Il sionismo partiva dal presupposto che gli ebrei fossero un corpo straniero nel rispettivo paese di provenienza e che formassero una nazione o persino una razza. Per gli ebrei sionisti per uscire da questa situazione anormale non vi era e non vi è altra soluzione che fondare e mantenere uno stato ebraico. Dall’inizio della migrazione degli ebrei europei verso la Palestina il movimento sionista affermava il diritto esclusivo sullo stato di Palestina. I diritti dei palestinesi di avere uno stato proprio nella loro patria venivano considerati relativi da parte dei sionisti che ritenevano prioritarie le esigenze degli immigrati ebrei. Si poteva dunque contare sul fatto che i palestinesi avrebbero aspettato di avere il loro stato fino a che i sionisti non avrebbero raggiunto i loro obiettivi. Sebbene fossero atei, i sionisti ritrovavano comunque nella Bibbia una conferma storica e una giustificazione della presenza ebraica in Palestina. Il nuovo stato di Israele, secondo questa logica, avrebbe delle radici nella regione, comprovate dall’interpretazione della Bibbia come libro fondamentale e storico. L’arrivo degli ebrei sionisti in Palestina dunque per loro non significava un nuovo inizio, ma una continuazione, una costruzione costante dei fondamenti posti circa duemila anni fa. Nei confronti della popolazione indigena questa storiografica mistico-nazionalista permetteva la giustificazione dell’invasione e della confisca delle terre. I risultati che avevano raggiunto i palestinesi a livello politico, culturale ed economico venivano visti come inferiori o semplicemente ignorati. La Palestina per i sionisti era una terra senza popolo e senza cultura o società proprie. Il sionismo rivendica anche il diritto secondo cui tutti gli ebrei di tutto il mondo facciano automaticamente parte della nazione ebraica e debbano dunque vivere in Israele. I critici del sionismo hanno fatto riferimento alle conseguenze negative per tutti gli ebrei del mondo, quando i premier israeliani affermano di parlare nel nome di tutti gli ebrei. Altrimenti infatti si potrebbero colpevolizzare tutti gli ebrei per la politica brutale e illegale dello Stato di Israele.

Il sionismo significa razzismo? Se il sionismo persegue i suoi obiettivi a scapito di un’altra popolazione, allora il sionismo significa razzismo. In Palestina giorno dopo giorno vediamo che i diritti basilari dei palestinesi vengono violati per permettere la vita privilegiata degli ebrei israeliani. Fino a che punto criticare il sionismo dipende dal fatto se si rifiuta il sionismo fin dall’inizio quale progetto colonialista.

L’antisionismo religioso degli ebrei ortodossi ha da sempre rifiutato la creazione di uno stato israeliano secolare. Alle manifestazioni di protesta ad Ottawa a favore di Gaza partecipano sempre anche i membri di Neturei Karta di Montreal o i rabbini ortodossi di New York per esprimere la loro solidarietà nei confronti dei palestinesi e chiarire che gli ebrei non sono automaticamente sionisti.

Tra le organizzazioni pro-palestinesi in Canada si parla anche della questione se Israele nei confini del 1967 sia uno stato legittimo e ce si chiede se si tratta solamente di porre fine all’occupazione. Nel contesto dell’elaborazione della storia coloniale del Canada si afferma sempre di più che il sionismo quale forma di colonialismo non sia assolutamente giustificabile. Durante la settimana dell’apartheid israeliana ad Ottawa si fa sempre riferimento al fatto che la manifestazione si tiene sul territorio occupati di Algonquin. I rappresentanti dei palestinesi e delle First Nations parlano delle conseguenze del colonialismo, dell’attacco alla cultura, all’economia indigena e alla vita politica. Il sionismo e il colonialismo britannico-canadese miravano alla distruzione della società indigena e all’espulsione della popolazione in piccoli lotti di terra. Attualmente le First Nations e i palestinesi vivono forme simili di discriminazione e di provvedimenti all’insegna dell’apartheid: a Gaza e nelle riserve del Nord non c’è acqua potabile pulita. I bambini palestinesi e i bambini First Nations non ottengono lo stesso sostegno scolastico dei bambini della società dominante. Il Canada può suscitare speranze: l’elaborazione della storia del colonialismo, soprattutto dei provvedimenti terrificanti nelle “Residential Schools”, ove centinaia di migliaia di bambini delle First Nations dovrebbero essere privati delle loro radici familiari, territoriali e culturali (molti persero la vita), ha suscitato rabbia ed ira, ma anche dialogo costruttivo. Idlenomore è un movimento creato dalle donne delle First Nations che grazie a delle iniziative spontanee riunisce i discendenti dei colonialisti e dei colonizzati per danzare e discutere insieme. Nei media i canadesi non solo sentono parlare dei problemi delle First Nations da parte di esperti bianchi, ma sempre di più anche da esperti provenienti dalle diverse nazioni indigene. Durante le ultime elezioni i politici delle First Nations hanno spronato gli abitanti di Turtle Island (Canada) ad andare a votare per permettere un cambio di governo. Tra le First Nations ci sono gruppi che non vogliono partecipare alla vita politica perché il Canada è un paese fondato come colonia britannica e dunque non rappresenta uno stato legittimo. Nonostante questo comunque molti membri delle First Nations hanno dato seguito a questo invito e hanno mandato a casa il premier conservatore Harper. Secondo me l’esempio del Canada dimostra che la critica di fondo al colonialismo non significa distruggere lo stato esistente, come spesso accusano i difensori di Israele, ma trovare un percorso di un vero compromesso capace di porre in essere una forma di governo legittima.

In Canada i difensori di Israele rinfacciano anche agli antisionisti che l’antisionismo non sarebbe che una forma di antisemitismo nascosto, una posizione condivisa dai grandi partiti canadesi. Nel rapporto della commissione interparlamentare di lotta contro l’antisemitismo, in cui erano rappresentati tutti i partiti, eccezion fatta per il Bloc Quebecois, si accentuava che il nuovo antisemitismo si trasvestirebbe da antisionismo e che il diritto del popolo ebraico ad una partecipazione dignitosa alla famiglia delle nazioni verrebbe da questa negato. Michael Keefer ha riassunto la critica di esperti, attivisti e organizzazioni canadesi riguardanti questa limitazione della libertà di espressione nella sua raccolta di articoli “Antisemitism real and imagined”.

Quale cittadina tedesca e canadese non mi vedo solo come antisionista, ma prima di tutto come attivista anti-colonialista, in Canada, in Palestina e in Africa e dunque i nostri politici ci vogliono condurre verso una missione commerciale o di bombe che promuoverebbe la cultura. Il movimento del sionismo ci dimostra che gli ideali migliori devono misurarsi su come stanno le persone che vivono sotto il dominio di una determinata ideologia.

MR: Per me la questione palestinese è una questione coloniale. Che ne pensa di questo?

ML: Il movimento sionista si è sviluppato in Europa e “nell’ombra dei fucili britannici”, come diceva Gandhi, è giunto in Medio Oriente per costruire uno nuovo stato di Israele nel paese dei Palestinesi. Se un gruppo si appropria della terra di un altro ed espelle o uccide la popolazione locale e poi fonda un proprio stato sulla terra conquistata, questo significa colonialismo. Le giustificazioni di questa invasione sono importanti solo per i colonialisti visto che vogliono giustificare i loro metodi brutali e disumani nei confronti dei loro discendenti. Le vittime del colonialismo vedono la cosa in modo del tutto diverso: sono stati dichiarati esseri umani inferiori, i cui diritti vengono dettati dalle esigenze dei colonizzatori. Hanno diritti solo relativi. La loro storia e la loro creazione politica, economica e culturale fino all’arrivo dei colonialisti viene cancellata. Hanan Aschrawi una volta ha detto che il conflitto viene risolto non appena gli israeliani riconoscono che i palestinesi sono esseri umani uguali a loro. All’inizio io pensavo che la soluzione della questione palestinese consistesse nel porre fine all’occupazione israeliana. Ora invece ritengo che il colonialismo sionista in Palestina debba sparire e che la storia della Palestina vada analizzata come questione colonialista. Questo significherebbe la richiesta della distruzione di Israele come alcuni formulano la cosa in modo drammatico? Sì e no. Finché Israele rimane uno stato ebraico, i palestinesi nel loro paese verranno trattati come persone deprivate dei loro diritti. Israele come Stato Ebraico protegge la posizione privilegiata degli ebrei israeliani e degli ebrei di tutto il mondo in Terra Santa. Questo significa una forma di apartheid in cui lo stato non garantisce gli stessi diritti a tutti i cittadini, ma protegge lo stato privilegiato di un gruppo.

Se si descrive il progetto sionista in Palestina come colonialismo, diviene anche possibile la solidarietà con gli altri popoli colonizzati. Le First Nations canadesi prendono parte alle flotille verso Gaza, nella riserva isolata di Moose Cree le First Nations di Ontario menzionano la Palestina. Se la popolazione in Kashmir getta pietre sull’esercito di occupazione indiano, pensano alla resistenza palestinese e nel villaggio cisgiordano di Bilini e nelle località confinanti la collaborazione tra attivisti palestinesi, israeliani ed internazionali nelle manifestazioni settimanali viene considerata come contributo fondamentale per poter continuare la resistenza pacifica. Alla fine vorrei citare un altro esempio canadese:

Una parte della famiglia di Mike Krebs vive in una riserva black foot nella provincia occidentale Alberta. Krebs ha partecipato a diverse manifestazioni del movimento Idle no more che da decenni vuole continuare la lunga lotta per i diritti sovrani della terra delle First Nations, per il ruolo a favore della protezione del territorio e dell’ambiente. Il nome “Smetti di rimanere passivo!” è stato scelto vista la continua erosione dei diritti degli indigeni durante il periodo di governo del premier conservatore Stephen Harper. Krebs è un attivista nel movimento pro-palestinese e anche in quello Idle no more. Dice: “La terra rappresenta veramente l’aspetto comune fondamentale. Entrambi i gruppi hanno un senso profondo per la relazione con e la responsabilità per la terra. E se si distrugge la terra, questo distrugge la cultura.” Krebs cita la presa di posizione di Ben Gurion che nel 1948 diceva: “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”, aggiungendo che sia il governo canadese che quello israeliano avevano sperato che i due gruppi etnici o sarebbero stati sterminati o si sarebbe fatti assimilare. “Non siamo ancora tutti morti o scomparsi. Siamo ancora qui e diventiamo più forti. Viviamo una rinascita politica e culturale che il Canada e Israele probabilmente non si erano aspettati e che non fa loro piacere.”

https://psnedmonton.ca/2013/01/30/haaretz-article-on-connections-between-idle-no-more-and-palestine/

MR: Che importanza ha secondo Lei la messa in rete tra attivisti per i diritti umani, autori e giornalisti e perché?

ML: In Occidente spesso Israele viene ciecamente sostenuto dai governi, dai media e dalle istituzioni importanti. Quando Israele nel 2014 attaccò nuovamente Gaza in modo estremamente aggressivo, alcuni parlamentari canadesi di entrambe le case non andarono a Gaza o Ramallah, ma a Tel Aviv per dimostrare il loro sostegno a favore di Israele. Il movimento pro-palestinese ha molti nemici, tra l’altro all’interno della lobby professionale israeliana, deve compensare la mancanza di informazioni giuste sulla situazione palestinese e spronare le persone affinché agiscano. Un esempio dal Canada: L’autrice canadese Anne Laurel Carter nel 2008 scrisse un libro per giovani sulla situazione in Palestina, intitolato The Sheperd’s Grand-Daughter. Il libro ha ottenuto un premio delle librerie di Ontario e può essere letto come libro di testo nelle scuole della provincia. B’nai Brith protestò presso il ministero dell’educazione di Ontario per impedire che il libro venga inserito nella lista dei libri consigliati. Nella provincia di Toronto il libro non fa parte del curriculum scolastico, ma viene letto nelle scuole in altre parti della provincia. CJPME, un gruppo lobbistico pro-palestinese, in collaborazione con storici e artisti, ha messo a disposizione una mostra itinerante che può essere ordinata da maestri ed organizzatori. La mostra tratta del colonialismo e dell’apartheid in Canada, Sudafrica e Palestina. Dobbiamo essere creativi e versatili per avere successo.

MR: Come è la situazione in Canada? Quanta hasbara colpisce gli attivisti pro-palestinesi?

ML: Negli ultimi dieci anni Israele ha potuto contare sul supporto incondizionato del premier canadese conservatore Stephen Harper. Quando nel 2006 durante un bombardamento israeliano contro una postazione dell’ONU nel Libano meridionale rimasero uccisi quattro osservatori delle Nazioni Unite, tra cui un canadese, Harper si mise a criticare l’ONU, esprimendo la sua assoluta comprensione per l’attacco israeliano.

Ma il supporto privo di ogni critica a favore di Israele non ebbe inizio con i conservatori. Anche il partito liberale del centro ha una lunga storia di sostegno attivo a favore del sionismo e di Israele. Questo ha senza dubbio motivi ideologici e pratici. L‘80% delle esportazioni canadesi viene venduto negli Stati Uniti. Se si vuole essere ben accolti a Washington, si deve sostenere la politica medio-orientale statunitense. Comunque Harper, con la sua relazione con Israele a forte motivazione religiosa e vicina al fondamentalismo cristiano, secondo il punto di vista di molti stati, aveva superato i limiti. Nel 2010 il Canada perse la votazione per un posto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU al Portogallo, anche se la rappresentazione canadese presso le Nazioni Unite aveva regalato a tutti una miriade di bicchieri di sciroppo di acero!

In Canada esistono le organizzazioni ufficiali della lobby pro-israeliana. Ma i rappresentanti di questa lobby non sono noti al pubblico, a differenza degli Stati Uniti, ove invece i nomi delle organizzazioni quali ADL (Anti-Defamation League) o AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) li conoscono tutti.

Politici, giornalisti e rettorati universitari spesso collaborano per ostacolare l’organizzazione di manifestazioni della comunità pro-palestinese. In seguito alla popolarità crescente della settimana sull’apartheid israeliana Israeli Apartheid Week a partire dal 2005, aumentavano la critica da parte dei politici e l’accusa di antisemitismo. In Ontario il parlamentare conservatore Peter Shurman nel 2010 inoltrò una domanda per bandire il termine “apartheid israeliana”, accolta dalla maggioranza dei politici liberali e conservatori. Nel 2009 il rettorato di due università in Ottawa vietò di appendere un poster IAW visto che la rappresentazione di un bambino di Gaza, bombardato da un aereo israeliano, non rispetterebbe la “dignità innata” e i diritti umani di tutto gli studenti. Gli attivisti conoscono questo linguaggio: Chi difende Israele, sostiene che gli studenti ebrei mediante tali iniziative potrebbero essere resi insicuri, diventando automaticamente il bersaglio della critica.

I sionisti e anche gli antisemiti apparentemente sono convinti del fatto che le persone di fede ebraica facciano automaticamente parte del collettivo nazionale ebraico e dunque non vogliano prendere le distanze da Israele. Quest’anno un’assemblea generale presso l’università McGill di Montreal è stata chiamata anti-semita per il fatto che si era votato a favore di una petizione BDS. Una mostra sulla resistenza palestinese nel centro studenti dell’università di York condusse il moghul dei media Paul Bronfman a minacciare di ritirare le proprie sponsorizzazioni per i programmi universitari. E la partecipazione di Students Against Israeli Apartheid ad una campagna di disinvestimento contro i produttori di armi da un portavoce del centro Friends of Simona Wiesenthal è stata denigrata come campagna nefasta contro la comunità collettiva ebraica canadese. Il nuovo premier liberale Justin Trudeau ha ripetuto vecchie argomentazioni israeliane, quando di recente ha motivato la condanna del movimento BDS da parte del suo partito in parlamento: determinate forme di critica nei confronti di Israele non sarebbero legittime visto che sarebbero motivate da tre DS, ovvero delegittimazione, destabilizzazione e double standards. L’organizzazione pro-palestinese Canadians for Justice and Peace in the Middle East (CJPME), che dalla gente del giro viene descritta come lobby anti-israeliana, organizza il suo tour di conferenze in tutto il Canada soprattutto in chiese visti i grandi problemi riscontrati per ottenere degli spazi all’interno delle università.

Ma la pressione di ferro esercitata dalla lobby israeliana può anche raggiungere l’effetto contrario: i piccoli partiti di sinistra canadesi hanno imparato che i loro sostenitori non sostengono i bombardamenti israeliani contro Gaza e che i canadesi sono indignato del fatto che i loro parlamentari limitano diritti democratici basilari in Canada, eseguendo ordini di un governo straniero.

Tre anni fa il giornale Jewish Tribune (JT) pubblicò un’intervista con la presidente del partito dei verdi. Elizabeth May è l’unica parlamentare verde del Parlamento canadese, e l’organizzazione CJPME l’aveva invitata ad un evento di beneficienza. Nell’intervista telefonica con JT parlò del suo supporto a favore del fondo Jewish National Fund, distanziandosi dall’organizzazione CJPME con l’argomentazione secondo cui il gruppo sarebbe anti-israeliano. Quando l’intervista fu pubblicata senza tagli, la May fu fortemente criticata dai sostenitori pro-palestinesi dei Verdi e l’organizzazione CJPME ritirò il suo invito. Negli anni successivi comunque risultò che la lobby aveva ottenuto una vittoria di Pirro. Quando Paul Estrin, il Presidente dei Verdi, durante il bombardamento israeliano contro Gaza del 2014, pubblicò una presa di posizione anti-palestinese, la May ne prese le distanze e lui dovette ritirarsi. Quando la maggioranza dei liberali e dei conservatori in febbraio condannarono la campagna BDS, la May respinse la delibera, dicendo che il partito non partecipa al boicottaggio, ma non condanna il movimento BDS per antisemitismo, facendo riferimento alla posizione della chiesa United Church canadese che invece sostiene completamente il boicottaggio. La May andò avanti per un paio di giorni: presentò una petizione in parlamento in cui il governo canadese veniva sollecitato ad abbandonare il punto di vista della rigida condanna del movimento di boicottaggio per lavorare ad una soluzione giusta e pacifica delle esigenze legittime e dei diritti storici dei palestinesi nel contesto di rispettive risoluzioni delle Nazioni Unite.

La questione palestinese sembra determinare le decisione degli elettori dei partiti di sinistra, dei Verdi e dei social-democratici e del terzo partito, l’NDP. Durante la presidenza del capo dell’NDP Thomas Mulcair, in occasione della campagna elettorale dello scorso ottobre, otto candidati sono stati esclusi, non appena era stata pubblicata la loro critica nei confronti di Israele, tra l’altro ad opera del partito conservatore. Mulcair ha perso le elezioni e molti canadesi si aspettano che il nuovo capo del partito segua una linea meno pro-israeliana. Ma la lobby israeliana canadese avrà la piena libertà, finche Washington non cambierà i suoi rapporti con Israele.

MR: Nella Sua vita come ha trovato la via verso i diritti umani?

ML: Quando era all’università, facevo parte di Amnesty International. Scrivevo lettere e distribuivo volantino nella zona pedonale di Friburgo. L’impegno per i diritti umani è un progetto nobile. A quei tempi ancora non mi ero resa conto che la difesa dei diritti umani viene manipolata per obiettivi politici. Dopo anni di interruzione per motivi di lavoro aveva di nuovo più tempo di leggere e ho scoperto i libri del critico del regime statunitense Noam Chomsky. La sua opera “Fateful Triangle” sulle guerre israeliane in Libano e la relazione particolare con Israele mostra le distorsioni del giornalismo soprattutto nel settore della politica estera. Per ottenere un consenso sociale, le informazioni vengono filtrate, le violazioni dei diritti umani e del diritto dei popoli dei “nostri” governi vengono banalizzate o del tutto ignorate. Veniamo poi informati in dettaglio sui difetti nelle società non alleate con Washington. Chomsky parla delle vittime che meritano il nostro aiuto e delle vittime che rimangono invisibili perché la nostra politica estera ha contribuito alla loro miseria.

Soprattutto a partire dalla formulazione del principio di protezione R2P da parte dell’ONU gli interventisti di Washington parlano della protezione dei diritti umani per giustificare un cambiamento violento del regime. Gli attivisti dei diritti umani a volte sono a favore di una nuova coscienza missionaria che giustifica gli attacchi militari di Washington contro determinati paesi, soprattutto se questi secondo il punto di vista occidentale violano i diritti delle donne, delle minoranze o delle comunità LTGB. Per questo non mi considero più attivista dei diritti umani, ma attivista politica.