Come sempre, quando si viene a capo di una lunga e problematica mediazione, è nelle limature dei testi e nelle reazioni del giorno dopo che è possibile individuare “i vincitori e i vinti”: il carattere eventualmente progressivo della mediazione raggiunta, l’equilibrio più avanzato intanto conseguito, la rinnovata occasione per una ulteriore iniziativa.

Nella negoziazione che ha visto “l’un contro l’altra” l’Eurogruppo, vale a dire l’insieme dei ministri economici e finanziari degli Stati membri dell’Unione Europea che hanno adottato l’euro come moneta comune (18 su 28 membri UE, la cosiddetta “Eurozona”), e la Grecia, attraverso il suo brillante ministro delle finanze, il marxista “impenitente ed eccentrico” Yanis Varoufakis, era evidente la assoluta sproporzione di forze in campo.

Il paragone di “Davide contro Golia” è fin troppo abusato per essere ripercorso in questa sede; d’altro canto, che, al di là delle marcate sfumature tra la posizione francese e quella tedesca e l’inedito oltranzismo rigorista di alcuni tra i Paesi più indebitati dell’area euro, Spagna, Irlanda e Portogallo in primo luogo, la cosiddetta Eurozona si sia mossa come un vero e proprio “fronte” a difesa del rigore monetaristico e della cappa neoliberista, è risultato chiaro, in maniera persino troppo lampante.

D’altra parte, il rifiuto dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ad accompagnare, richiesta dalla Grecia in tal senso, le autorità finanziarie della ex Trojka, vale a dire l’Unione Europea (nelle sue articolazioni economico-finanziarie), la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale, nella definizione della trattativa e nella supervisione del nuovo programma proposto dalla Grecia, è a suo modo indicativo non solo dello schieramento di forze (e di interessi) in campo, ma anche della portata (e delle finalità) della posta in palio.

Di questo, il nuovo governo della sinistra greca, di Syriza, di Alexis Tsipras (già candidato presidente della Commissione UE per la Sinistra Europea, vale a dire l’insieme delle forze della sinistra riformatrice, ecologista e comunista del continente europeo, a sinistra della “sinistra tradizionale”, rappresentata dal PSE), ha mostrato subito di essere consapevole, rendendo esplicita, per bocca dello stesso premier, tale consapevolezza, nella dichiarazione del 7 febbraio scorso: «La Grecia vuole pagare il suo debito e raggiungere un’intesa con i partner per l’interesse di tutti: il problema del debito greco non è economico ma politico».

Non si è trattato infatti, semplicemente, di raggiungere un’intesa in merito al coordinamento delle politiche economiche e finanziarie né di perseguire un mero compromesso tra esigenze di bilancio, ristrutturazione del debito e politiche di crescita. Si è trattato, come l’andamento e l’esito stesso della trattativa hanno confermato, di verificare la possibilità di una pratica politica non-omologata nel quadro di una Unione Europea, oggi, ad egemonia neo-liberista e di assicurare uno spazio alla democrazia all’interno di quella stessa Unione Europea in cui la combinazione di egemonia neo-liberista ed austerità monetaria rischia di stringere un cappio mortale alla gola della democrazia (perfino quella più banalmente rappresentativa) e della auto-determinazione (fino a mettere in discussione elementari istanze di sovranità popolare e di autonomia decisionale).

Non è solo per fortuita coincidenza che, lo stesso 7 febbraio, si è fatta sentire anche la voce del presidente venezuelano, Nicolas Maduro, il quale, memore della presenza ai funerali di Hugo Chavez, l’8 marzo 2013, dell’attuale premier ellenico, ha ricordato «tutte le pressioni alle quali è sottoposto a causa del neoliberismo selvaggio applicato in Grecia» e rivendicato che «il Venezuela Bolivariano e la Grecia sono uniti nella comune battaglia contro il neoliberismo e per la dignità». Dignità, emancipazione e giustizia sociale non sono solo degli slogan nell’esperienza rivoluzionaria del Venezuela Bolivariano, e l’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America) è un modello di integrazione, politica e solidale, molto lontano dagli egemonismi e dai monetarismi della odierna Unione Europea.

Se, ad oggi, è ancora presto per dire se la mediazione conseguita frutterà l’apertura di nuovi spazi ed opportunità democratiche nell’Europa ristretta rappresentata dalla Unione Europea, fino a prefigurare, come da più parti si auspica, una vera e propria “rifondazione democratica” dell’Unione stessa, è tuttavia già tempo di cogliere l’elemento di avanzamento che la mediazione conseguita istruisce: ci sono, allo scopo, le quattro cartelle e le quattordici proposte che il piano greco, infine accettato dall’Eurogruppo, avanza, che rappresentano, a partire dal 23 febbraio scorso, la base per rinnovare il quadro pattizio tra la Grecia e l’Unione Monetaria e per avanzare lungo la strada delle riforme.

Da una parte, il fatto che le misure di base siano “fiscalmente neutre”, vale a dire a impatto zero sulle finanze statali, viene imposto come pre-condizione, per potere assicurare entrate sufficienti a liberare l’ultima quota del piano di rifinanziamento da parte delle istituzioni internazionali (7 miliardi). D’altra parte, tuttavia, il piano avanzato dalla Grecia riesce, superato una volta per tutte il vecchio “Memorandum”, ad impostare i termini del nuovo piano per il rientro del debito e la stabilizzazione economica, imponendo sin da subito all’Eurogruppo tre misure di rilievo: la copertura alimentare, sanitaria ed energetica per le fasce più povere della popolazione, garantendo «il controllo della spesa e il miglioramento dei servizi e, contemporaneamente, l’accesso universale»; la sostituzione di determinate agevolazioni fiscali con nuovi sussidi sociali e l’introduzione della tassazione patrimoniale finalizzata a far sì «che tutti i settori della società, specialmente le fasce di popolazione più ricca, contribuiscano in modo adeguato al finanziamento delle politiche pubbliche»; l’avvio del programma di estensione del salario minimo.

C’è indubbiamente la conferma delle privatizzazioni già ultimate, con la revisione di quelle ancora in corso di definizione; e c’è una riduzione delle spese improduttive, insieme con un piano di rilancio della contrattazione collettiva, che era stata sbaragliata, insieme con i tagli ai salari e alle pensioni ed il massacro sociale foriero di una vera e propria crisi umanitaria, dal governo greco precedente, quello delle destre e del neoliberismo.

Le componenti più radicali del quadro politico greco (anche quelle interne o collaterali a Syriza), insieme con le tendenze estremistiche e i fautori dell’uscita unilaterale dalla moneta europea, sono state, non a caso, i censori più severi di Tsipras e Varoufakis, i più munifici cantori delle “promesse tradite” e delle “speranze deluse” da parte di Syriza e della sua “capitolazione”: in singolare convergenza, su questo, con i falchi dell’austerity e settori rilevanti dell’establishment neo-liberale (tra cui la filiera lunga di opinionisti ed economisti collaterali alla socialdemocrazia riformista e alla sinistra borghese).

Valga per tutti, ragionando per “contrari”, il giudizio sul Piano Syriza espresso dal Fondo Monetario Internazionale: «in vari settori» mancano rassicurazioni sulle riforme previste dal Memorandum. Qualcuno spieghi loro che, dal 23 febbraio, quel Memorandum non esiste più.