L’Europa secondo gli americani (da eastjournal.net)

La Biennale d’Arte a Venezia è sempre un evento “glamour”, carico di “fascino” e di “tendenza”, nel senso di rappresentare ed offrire spazio e visibilità ad opere e installazioni che non perdono, quasi mai, occasione di sfidare il gusto e le provocazioni; ma anche nel senso di costruire, attraverso i “luoghi dell’immaginario”, che l’arte inevitabilmente e potentemente evoca, anche gli “scenari della politica”, che la presenza di questooquel Paese, questooquell’artista, inevitabilmente, suscita.

La prossima Biennale d’Arte non sembra avere ancora attratto più di tanto le attenzioni e le sensibilità (estetiche e socio-culturali) del grande pubblico, ma certamente sta già suscitando dibattito presso alcune “cerchie”: di appassionati, di osservatori e di addetti ai lavori. Essa si svolgerà, ovviamente, a Venezia, impegnerà tutto il periodo a cavallo tra Giugno e Novembre e ospiterà, al suo interno, in particolare, una rassegna che già si candida ad occupare il proscenio e fare parlare di sé. Il rischio è che se ne parli più al di là dell’Adriatico, che non sulle nostre sponde.

Una delle mostre organizzate nell’ambito della 55a Esposizione Internazionale d’arte contemporanea della Biennale di Venezia è, infatti, designata come il “Palazzo Enciclopedico”: sarà ospitata nel cosiddetto “padiglione centrale”, vale a dire i Giardini dell’Arsenale, sarà inaugurata il 29-31 Maggio prossimi, e soprattutto sarà concepita e rappresentata (come in qualche modo, sebbene allusivamente, lasci intendere anche la denominazione scelta) come una “vetrina”. In altre parole, un’occasione per gli artisti, in primo luogo artisti giovani, innovativi ed emergenti, provenienti dai più diversi Paesi del mondo, soprattutto quelli un po’ periferici e un po’ decentrati, rispetto al solito canovaccio main-stream, desiderosi di mettersi “in mostra” e soprattutto di rappresentare una novità, attraverso opere ed installazioni originali, che parlino di una voglia di scoperta e di riscatto.

È così che, in questa cornice e dati questi presupposti, gli ingredienti ci sono tutti perché questa Biennale rischi davvero di “passare alla storia”. Anzitutto per le provenienze, vale a dire per i Paesi che, attraverso le opere dei loro campioni, saranno rappresentati all’interno degli stand e dei padiglioni, tra i quali si alternano clamorosi rientri e sorprendenti esordi. Che parlano di Balcani, in un momento, per di più, decisivo per questa vera e propria “terra dell’inaccessibile”, alla vigilia dell’entrata ufficiale della Croazia (1 Luglio) come 28° Paese Membro dell’Unione Europea, dell’apertura del crono-programma di “adesione ufficiale” della Serbia alla compagine euro-comunitaria (probabilmente alla fine di Giugno) e all’indomani dello storico accordo tra Belgrado e Pristina (19 Aprile scorso) per la normalizzazione dei rapporti e l’organizzazione dell’auto-governo.

Sarà dunque la Biennale del grande rientro della Bosnia e, soprattutto, della prima assoluta per il Kosovo. Petrit Halilaj, nato nel 1986, residente tra l’Italia (dove ha studiato) e Berlino (dove oggi vive), porta dal Kosovo una nuova installazione, che, a detta dei curatori, sarà ispirata e influenzata dal suo ricordo personale della guerra, dell’esodo e dello spostamento, raccontando “della paura di perdere il proprio spazio (fisico, geografico, storico) e della speranza di ritrovare le cose identiche a come erano prima di averle dovute lasciare”. Solo per questo, merita una visita ed un’attenta lettura: in queste parole, che potrebbero adattarsi perfettamente tanto al vissuto degli albanesi, quanto a quello dei serbi, durante e dopo la guerra e i bombardamenti del 1998-1999, si condensa tanto di ciò che il Kosovo è oggi, una tipica, come dicono gli analisti internazionali, “società in transizione post-conflitto”,segnata però dallamoltiplicazione e dallastratificazione delleviolenze e delleviolazioni, a partire dai dirittiumani fondamentali (libertà di espressione, libertà di movimento, libertà di lavoro).

Ma sarà anche l’anno della Bosnia, e subito verrebbe da chiedersi: quale Bosnia? Per la prima volta dal 2003, infatti, un artista bosniaco, Mladen Miljanovic, eseguirà, nell’ambito della Biennale (a Palazzo Malipiero il 30 Maggio) una performance speciale: “Il peso dei desideri”, proveniente dal Museo di ArteContemporanea della Repubblica Srpska, l’entità serba di Bosnia, grazie al sostegno del Governo di Banja Luka. Una mostra che apparirà, da quanto si apprende, come “sospesa” tra le ansie del passato e le speranze del futuro: forse, una metafora di ciò che sono, o vogliono essere, i Balcani.