Nel pomeriggio di sabato 26 ottobre, oltre cinquemila persone (molti i/le giovani) hanno attraversato Milano per manifestare la propria solidarietà con la popolazione curda in Rojava, vessata dalla guerra che l’esercito turco sta ingaggiando per sopprimere la rivoluzione. Si estende e si rafforza la solidarietà alle vittime di Erdogan anche se non tutte le organizzazioni sindacali e politiche che avevano partecipato alla manifestazione del 14 ottobre hanno aderito all’iniziativa.

Ad aprire il corteo è stato un gruppo di donne, a sottolineare il fondamentale ruolo femminile nella resistenza che ha portato i popoli del Kurdistan prima a sconfiggere l’Isis e ora a resistere all’esercito turco.

Migliaia di partecipanti si sono mossi da Palestro fino al Consolato turco, percorrendo la città, denunciando i principali elementi critici della situazione curda, degenerata dopo il ritiro americano che ha di fatto dato il via libera al progetto panturco di Erdogan e delle truppe da lui comandate.

Primo bersaglio della critica dei manifestanti sono state le imprese italiane colpevoli di vendere armi nelle regioni interessate dagli scontri, alimentando la potenza di fuoco repressiva del presidente turco e costringendo a un eterno conflitto le popolazioni autoctone.

Per ricordare e condannare la complicità italiana nella devastazione del Rojava, una bomba recante la scritta “made in Italy” è stata cementata in mezzo alla strada a piazzale Meda, circondata da macerie e abiti civili lacerati.

Attraversata piazza della Scala, la fiumana di solidali pro-kurdi ha superato piazza Duomo, giungendo davanti alla sede milanese di Facebook.

Martedì 15 ottobre, sulle principali piattaforme social sono stati temporaneamente bloccati diversi profili legati alla sinistra extraparlamentare, a realtà autogestite e al movimentismo in generale. La colpa di queste realtà, a parte la loro esistenza stessa, è stata quella di pubblicare contenuti contrari a Erdogan, in solidarietà ai kurdi e alla rivoluzione in Rojava.

La sede di Facebook è stata quindi bersagliata con gavettoni di vernice blu (il colore iconico della piattaforma), per quanto il gesto non sia stato particolarmente chiaro alla maggior parte dei partecipanti.

Arrivato a piazzale Cadorna, il corteo si è nuovamente fermato per una seconda azione d’effetto: dopo aver bloccato una delle strade che portano alla stazione con una rete metallica, alcuni militanti hanno srotolato uno striscione in denuncia delle conseguenze che la situazione politica del Rojava sta avendo sul piano migratorio.

Nonostante i grossi flussi di profughi che cercano riparo in zone sicure, l’Occidente non sembra intenzionato ad offrire aiuto ai fuggitivi, rendendosi così complice politico, oltre che economico, del progetto di annientamento turco.

Ultima tappa del corteo, il consolato turco. Dopo un blando contrasto con un cordone di polizia, i manifestanti sono riusciti ad aprirsi un varco tramite il quale lanciare fumogeni e fuochi d’artificio, a conclusione di una manifestazione che promette mobilitazione finché in Rojava si farà guerra e, in generale, finché l’Occidente continuerà ad appoggiare economicamente, politicamente e materialmente governi dittatoriali e contrari a qualunque diritto umano.

Foto di Pietro Caresana e tratte dalla pagina Facebook di Milano in Movimento

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