La repressione del governo iracheno lascia sul terreno 50 morti.
La scintilla è scoppiata il 1° ottobre a Baghdad, quando un gruppo di studenti universitari ha protestato per le condizioni del mercato del lavoro, per la disoccupazione e per la corruzione, che rappresentano tre dei motivi principali dello stato di crisi economica dell’Iraq.
La disoccupazione raggiunge tra i giovani il 25%, una percentuale altissima e preoccupante, così come lo è la corruzione, soprattutto nel settore pubblico. A questo, si aggiunge la sparizione di 450 miliardi di dollari in fondi pubblici, erogati dal 2004 ad oggi, dei quali non si hanno notizie e che, presumibilmente, sono stati dirottati sui conti di affaristi e politici.
A questo punto, la rabbia della popolazione ha preso corpo e le proteste si sono susseguite, partendo da Baghdad fino a coinvolgere altre località del sud est dell’Iraq: Najaf, Zaferaniyeh, Kut, Diwaniyah, Nassiriyah, Rifai, Mishikhab, Amarah, Hila.
La repressione ordinata dal governo è stata feroce: i morti sono 50, tra i quali 5 poliziotti. Le forze di sicurezza irachene hanno risposto alle proteste sparando proiettili ad altezza uomo, così come riportato dall’agenzia Afp. A supporto dei manifestanti si è espresso l’ ayatollah Ali Al Sistani, che ha dichiarato: “Il governo ascolti i manifestanti e le loro richieste, prendendo misure concrete, prima che sia troppo tardi. Altrimenti le proteste si intensificheranno“, monito diretto al governo iracheno e al suo premier Adil Abdul Mahdi.
Ma non è solo la crisi economica il motivo scatenante delle proteste: c’è anche il problema dei servizi pubblici che non riescono a soddisfare le esigenze della popolazione. Per avere un’idea della situazione, basti pensare che nella maggior parte del Paese l’energia elettrica viene erogata al massimo per 10 ore al giorno, e nonostante Baghdad abbia investito 40 milioni di dollari per la ricostruzione della rete di approvvigionamento idrico, avere l’acqua potabile rimane un lusso per gran parte della popolazione.
Il contesto geopolitico e il problema delle milizie paramilitari.
L’Iraq ospita al momento migliaia di militari statunitensi, come pure le milizie paramilitari Hashd al Shaabi, che hanno combattuto l’Isis e vengono sostenute dall’Iran, alleato del Paese. Queste milizie, prendendo ordini sia da Baghdad che da Teheran, sono difficilmente inquadrabili e possono rappresentare un serio problema per la sicurezza dell’Iraq, che da tempo ha iniziato un dibattito interno per stabilire la loro regolamentazione. La rimozione del comandante delle truppe, Abdulwahab al Saadi, vice capo dell’unità anti terrorismo e considerato da molti iracheni un eroe nazionale nella guerra all’Isis, rischia di innestare ulteriori scontri, complicando così la già difficile situazione in atto.
Il blocco di internet e il coprifuoco
Alla notizia della rimozione di Al Saadi, èpartita su Twitter una campagna di solidarietà con l’hashtag #siamotuttiandulwahabalsaadi. Dopo poco, il governo ha deciso il blocco di internet e l’istituzione coprifuoco, entrambi applicati, sembra, per motivi di sicurezza. A queste misure, definite dal premier Mahdi come una ” medicina amara che deve essere ingerita “, hanno risposto Marta Hurtado, portavoce dell’Ufficio diritti umani delle Nazioni Unite e Lynn Maalouf, direttrice del dipartimento M.O. di Amnesty International, condannando principalmente l’uso dei proiettili sui manifestanti e l’oscuramento del web.
La protesta della comunità irachena di Roma
In supporto alle proteste in Iraq, una rappresentanza della comunità irachena in Italia ha organizzato a Roma un sit in in piazza Igea, al quale seguirà un’altra manifestazione prevista per il prossimo 25 ottobre, in concomitanza con altre manifestazioni che stanno avendo lugo in diverse altre città europee.