A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, in Brasile sembra non placarsi la crisi politica seguìta dal golpe di Michel Temer, nonostante lo scarsissimo consenso che i golpisti hanno nel paese. Recentemente l’immenso paese del Sud America è stato scosso da un lungo sciopero dei camionisti, a cui è seguita una crisi energetica imponente. Abbiamo cercato di fare il punto della situazione, cercando di capire cosa sta succedendo in Brasile, con Gianni Fresu, associato di Filosofia Politica presso la Universidade Federal di Uberlandia.

Destituzione di Dilma Rousseff, Temer capo del Governo, Lula carcerato, cosa sta succedendo in Brasile?
«Prima un parlamento corrotto sino al midollo ha disarcionato Dilma Rousseff dalla Presidenza della Repubblica con un procedimento di Impeachment farsa, per il quale mancava qualsiasi presupposto giuridico; poi il Supremo Tribunale Federale ha reso possibile l’arresto di Lula, in modo da impedire la sua partecipazione al voto delle prossime presidenziali, nelle quali era dato vincente da tutti i sondaggi. Come nel caso di Dilma, ciò è avvenuto in totale assenza di prove, dopo un processo imbastito su indizi e una campagna mediatica sistematicamente pensata dai principali mezzi di comunicazione nazionale e da loro realizzata con un preciso scopo: generare riprovazione generale e preparare l’opinione pubblica a un atto illegittimo e liberticida. Come sempre, le svolte reazionarie necessarie a garantire la conservazione di equilibri sociali passivi avvengono attraverso una combinazione di coercizione e consenso, dominio + egemonia. Il tutto in un Paese nel quale i protagonisti del Golpe sono quotidianamente coinvolti in clamorosi e milionari scandali di corruzione, beccati con valigie piene di soldi, intercettati nel contrattare tangenti e oggetto di delazioni documentate che ne provano la colpevolezza. La democrazia è fortemente a rischio, come sottolineava Gramsci, nel descrivere i chiaroscuri delle crisi di egemonia, dove né un gruppo tradizionale né quello avverso riescono a prevalere definitivamente, vengono fuori i mostri, le figure carismatiche pronte a imprimere alla involuzione autoritaria una accelerazione reazionaria.
Un altro aspetto interessante, nei modi di descrivere quanto accaduto, riguarda noi. Per mesi giornali e TG nostrani hanno riempito pagine intere con la storia del candidato leader liberale contro Putin, messo fuori gioco per via giudiziaria dal perfido Zar del KGB per non avere concorrenti alle elezioni.

Nel caso di Lula, invece, i media occidentali tendono a presentare questa vicenda (che nasce da un impeachment illegittimo e arriva a fino a una carcerazione scandalosa a pochi mesi dalle elezioni presidenziali) come assolutamente legittima, rispettosa delle regole democratiche. Ovviamente, a nessuno viene in mente di ricordare che se il “candidato russo dell’Occidente” era dato al di sotto del 3%, Lula, che non potrà candidarsi, viene indicato in tutti i sondaggi (di gran lunga) come vincente. Insomma, in termini puramente matematici, se nel primo caso l’argomentazione del golpe giudiziario ha del ridicolo, nel secondo, invece, lo stesso avrebbe un senso, ma chissà come, chissà perché evitano accuratamente di riutilizzarlo. Così si arriva alla conclusione politica dispensata come anestetico sociale: la Russia sarebbe uno Stato autoritario e antidemocratico mentre nel Brasile, ritornato nell’orbita degli USA dopo i giri di valzer con i BRICS, regnerebbe il del Check and balance di una moderna democrazia liberale.

Quali sono, alla luce di questo, secondo te, gli obiettivi di quest’operazione?
«Se al di là della cronaca intendiamo approfondire le ragioni di quanto accaduto, a me sembra gli obiettivi di questa operazione fossero tre, e su essi si sono concentrati gli sforzi e le pressioni interne ed esterne:
il primo riguarda il ruolo internazionale assunto dal Brasile (in quanto nazione egemone e preponderante dell’America Latina) all’interno del polo dei BRICS. Non casualmente la situazione è precipitata quando queste nazioni hanno annunciato di voler creare una banca di investimento propria capace di stare fuori dalle regole del FMI e dalla BM. Gli USA hanno il debito pubblico più elevato al mondo che possono alimentare grazie al fatto di essere i detentori della moneta al centro di tutte le transazioni internazionali. Questa ipotesi, con il rischio di sottrarre Asia, Africa e America Latina al circuito del dollaro, rappresenta un pericolo mortale per Washington, che non casualmente ha iniziato a operare su più fronti (Ucraina, Siria, Hong Kong, America Latina) con l’obiettivo di destabilizzare i presupposti di questo blocco;
il secondo è legato al primo, e ha a che fare con l’esigenza di restituire agli USA il controllo delle immense risorse naturali del Brasile;
il terzo invece attiene agli equilibri sociali interni, minacciati da una politica redistributiva che, seppur tra mille limiti e contraddizioni, stava tentando di creare un nuovo blocco sociale, ampliando la base dello Stato con l’inclusione di fasce sociali povere, aree territoriali marginali e tradizionalmente arretrate

L’attualità ci porta allo sciopero dei camionisti. Come spesso accade in Occidente (e in Italia ancora di più), la stampa non se ne occupa con dovizia di particolari. Se dovesse iniziare a farlo, si limita a riportare dei soldi persi a causa della dimostrazione e dei disagi provocati. Cosa chiedono i camionisti e cosa si aspettano, dato che scesero in piazza anche anni fa contro la Rousseff e il Governo del PT?
«Il Brasile è nel baratro di una crisi energetica che, in realtà, e solo speculativa e politica, essendo questo un Paese ricco di gas e petrolio. Il governo Temer (tra le tante misure adottate senza alcun mandato popolare) ha concesso (“a preço de banana“) alle compagnie straniere i diritti sull’estrazione (il cui sfruttamento era prima garantito con esclusività all’azienda nazionale e pubblica), quindi il petrolio, pagato una miseria (secondo gli studi della FUP le compagnie stanno arrivando a pagare un barile di 159 litri 0.84 centesimi di real, un dollaro vale 3,7 reais) non viene trasformato in loco ma mandato direttamente verso le raffinerie oltre confine controllate da USA e alleati. Il greggio estratto in Brasile è destinato sempre più a rientrare sotto forma di benzina, ma per comprarla servono i dollari, questo per una moneta in costante svalutazione come il Real significa quotidiano saccheggio delle ricchezze nazionali. Intanto il prezzo della benzina è più che raddoppiato in due anni e solo nelle ultime settimane ha avuto una decina di rialzi consecutivi. I camionisti, gli stessi che bloccarono il Paese per chiedere l’impeachment di Dilma convinti di guadagnarci qualcosa, sono oggi alla canna del Gas, così hanno indetto uno sciopero che (in un Paese senza reti ferroviarie, privatizzate e smantellate dopo la dittatura militare) ha paralizzato ogni attività lasciando intere città senza combustibile e rifornimenti alimentari. Ecco in poche mosse spiegate essenza e effetti di ciò che si intende per asservimento di una Nazione agli interessi imperialistici. Per la cronaca, nel periodo in cui il Brasile stava nell’alleanza dei BRICS la risorsa energetica era utilizzata non solo in ragione dell’interesse nazionale, ma anche per rafforzare (attraverso accordi vantaggiosi e solidali) una prospettiva di sviluppo indipendente e integrato dell’America Latina fuori dal controllo degli USA. Nel 2013, Snowden pubblicò dei documenti riservatissimi dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (NSA) dai quali emergeva un’attività continuativa di spionaggio e intervento diretto sugli affari interni del Brasile, specie dopo la scoperta di nuovi immensi giacimenti petroliferi potenzialmente in grado di trasformare questo Paese (in quel momento più vicino economicamente e politicamente alla Cina che a Washington) in uno dei maggiori produttori di greggio al mondo. Nel 2013 iniziano pure le mobilitazioni sovversive dei ceti medi arrabbiati contro Dilma, parallelamente alle inchieste giudiziarie che presero di mira proprio la Petrobras e il governo (su cui si scatenò una indegna campagna mediatica di delegittimazione e condanna preventiva a qualsiasi sentenza). Il resto è cronaca di queste settimane, ma nei media occidentali sicuramente raccontano un’altra storia».

Recentemente hai scritto “Nas trincheiras do Ocidente” sulla questione di fascismo e antifascismo nell’Occidente. A seguito di quanto sta accadendo e dei provvedimenti di Temer, pensi che fascismo e antifascismo siano una questioni aperte anche in Brasile?
«Penso che utilizzare l’aggettivo fascista per qualsiasi movimento o regime di origine conservatrice sia un grande errore concettuale e, pertanto, politico. Il fascismo è un fenomeno con caratteristiche sue proprie, nasce nel contesto specifico successivo alla Prima guerra mondiale segnato contemporaneamente dall’irrompere della politica di massa e dalla crisi di egemonia delle classi dirigenti tradizionali (ideologie, partiti, istituzioni), in un quadro di profonda crisi strutturale del capitalismo mondiale che in Europa, e in Italia particolarmente, ebbe i suoi effetti più tragici. Il fascismo fu una forma moderna di ideologia reazionaria, che si serviva con una volontà sistematica inedita di tutti i moderni mezzi di comunicazione (radio, cinema, arti figurative, letteratura) di massa per plasmare politicamente l’opinione pubblica e trasformare il popolo italiano in un esercito ben disciplinato. Se le vecchie forme di involuzioni autoritarie puntavano ad allontanare il popolo dalla politica, il fascismo puntò alla mobilitazione permanente del popolo (seppur in funzione passiva, coreografica e militare) e per questo creò una fittissima rete di organizzazioni di massa incaricate di irreggimentare le masse popolari accompagnando politicamente ogni aspetto della loro esistenza dalla nascita alla morte. Insomma, il fascismo non fu solo uso monopolista dalla violenza di Stato, ma anche costruzione del consenso, egemonia. Dire che è sbagliato parlare di fascismo in termini superficiali e generici però non significa che non esistano fenomeni di fascistizzazione nella politica, nella cultura e nel modo di concepire i rapporti sociali. L’esito tragico e autoritario di questa vicenda, che sta buttando un enorme Paese sull’orlo della guerra civile, era ampiamente prevedibile nel 2016. Ora questo fatto appare innegabile, sebbene allora più di uno non volle vedere e, tra un distinguo e l’altro, si rifiutò di parlare di Golpe. Ma è di questo che si tratta, seppure con le forme nuove di una realtà caratterizzata da un elevato sviluppo della società civile e dunque degli apparati privati di egemonia delle classi dominanti. Gramsci, nel Quaderno 13, lo chiarisce bene: per imprimere una svolta reazionaria negli equilibri passivi di un Paese moderno sul piano degli apparati egemonici, non è necessario un Golpe militare di tipo tradizionale. Piuttosto torna centrale la funzione preventiva e politica della polizia e degli apparati giuridici, unitamente al controllo monopolistico degli organi preposti alla formazione dell’opinione pubblica».

A breve (mi pare fra sei mesi, se non sbaglio) si terranno le elezioni in Brasile. Quali scenari si prospettano, secondo te per il Paese?
«Come dicevo, Lula, nonostante il carcere, è dato di gran lunga vincente in tutti i sondaggi nazionali.. Le forze che hanno promosso l’impeachment, poi unitesi attorno al Governo Temer, sono in grandissima difficoltà per le misure antipopolari fino ad ora adottate (tagli radicali a sanità, scuola, università e Stato sociale, privatizzazioni selvagge, precarizzazione del mercato del lavoro e riforma liberista del sistema pensionistico). Tra queste due forze sta emergendo una figura carismatica profondamente reazionaria, si tratta di Jair Bolsonaro, un ex militare che guadagna consensi sollevando la questione morale con la promessa di ristabilire ordine e disciplina. Bolsonaro è un nostalgico della dittatura militare, e per dare l’idea del personaggio quando il Parlamento votò l’impeachment lui intervenne dedicando in quella giornata il suo omaggio all’ufficiale che torturò Dilma Rousseff, presentandolo come un eroe nazionale. La situazione è letteralmente esplosiva, e può avere qualsiasi esito possibile, ciò rende ancora più instabile l’economia, condizione che a sua volta spinge ancora di più verso una crisi politica sempre più pericolosa. Difficile prevedere come andrà a finire».