All’unanimità questa mattina il governo israeliano ha esteso di un altro anno il divieto di riunificazione familiare per le coppie in cui uno sia cittadino israeliano e l’altro provenga dalla Cisgiordania o dalla Striscia di Gaza.
Ancora una volta c’è stato pieno accordo di politici e ufficiali dell’Intelligence sull’estensione di questa legge e completa il quadro la complicità della Magistratura che, come fa da decenni a questa parte, respingerà i ricorsi presentati da palestinesi.

Il provvedimento di vecchia data fa parte della Legge israeliana sulla Cittadinanza del 1952, un compendio di vincoli e divieti rivolti a colpire l’unità familiare dei palestinesi e, in senso più ampio, l’integrità di questa comunità.
Il principio di legge a sostegno del provvedimento esteso oggi è la minaccia alla sicurezza che i palestinesi della Cisgiordania o di Gaza sposati a un palestinese in Israele rappresentano nella visione israeliana.

Un palestinese cittadino di Israele coniugato con un residente della Cisgiordania o della Striscia di Gaza non estende automaticamente il proprio status al coniuge, ma deve farne richiesta.
La norma, anche questa a discrezione del ministero dell’Interno, è stata articolata nel corso degli anni subendo revisioni e specificazioni, con qualche battuta d’arresto conseguente a petizioni presentate da Organizzazioni per i Diritti Civili.

Nel 2003, un Ordine Temporaneo sulla Nazionalità e gli Ingressi in Israele introdusse una serie di modifiche che avrebbero reso tutto più complesso.

La richiesta di ricongiungimento familiare può essere presentata solo dal coniuge di sesso maschile e, qualora fosse accolta, il permesso avrà una validità di cinque anni e tre mesi ma non darà diritto a lavorare né a usufruire dei diritti sociali.
Nel 2005 si sono introdotti permessi di carattere militare rilasciati in determinate circostanze e per precise fasce d’età, mentre in altri casi si parlerà di ragioni umanitarie.
Entrambe le categorie di permessi non danno luogo a nessun diritto sociale.

Nel 2008 l’Ordine Esecutivo n°3598 ha introdotto il divieto assoluto di ricongiungimento familiare per i coniugi di Gaza.
Tra il 2011 e il 2012 il trend registrato è stato il seguente: il Ministero dell’Interno ha accolto favorevolmente solo il 4% del totale delle richieste presentate, ordinando ai restanti coniugi di lasciare Israele.
E’ identico il meccanismo per i palestinesi di Gerusalemme definiti “residenti permanenti”.

Il governo di Israele considera i palestinesi nati o residenti a Gerusalemme o nel resto del territorio dello Stato al pari di qualsiasi immigrato che intende stabilirsi nel Paese. Anche questo rientra nella visione nazionale israeliana di uno Stato ebraico per la garanzia del quale si innesca un processo irreversibile di negazione ai danni dei palestinesi.
Ciò significa che essi non sono cittadini, quasi come se la loro presenza sul territorio dello Stato corrispondesse a un atto di generosità delle autorità e non  fosse propriamente un diritto.

I palestinesi sono esclusi quindi dal diritto all’unità familiare, e altre privazioni di diritti fondamentali deriveranno. Il sistema è quello di Apartheid perché la negazione è istituzionalizzata. Il diritto a contrarre matrimonio, alla non discriminazione, alla vita privata e alla non interferenza in essa sono espressamente enunciati nel Patto Int.le sui Diritti Civili e Politici.