Si è concluso alle ore 16.40 di mercoledì 17 dicembre nel porto di Napoli lo sbarco delle 113 persone soccorse dalla Life Support, nave di ricerca e soccorso di EMERGENCY, in due distinte operazioni nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.

I naufraghi sono stati portati in salvo dalla nave dell’Ong con due differenti operazioni di soccorso, la prima delle quali ha interessato 69 persone e ha avuto luogo nella notte tra il 12 e il 13 dicembre in zona SAR libica, la seconda ha riguardato 44 persone e si è svolta la sera del 14 dicembre in zona SAR maltese.

Le 113 persone soccorse, tutti uomini di cui tre minori non accompagnati, erano partite dalle coste libiche e provengono da Bangladesh, Pakistan ed Egitto. Paesi devastati da conflitti, instabilità politica, povertà estrema e crisi climatica, che non sono e non dovrebbero essere considerati sicuri.

Molti dei naufraghi hanno condiviso con noi le loro esperienze, soprattutto dei centri di detenzione libici, dove sono stati sottoposti a violenze di vario tipo – Annachiara Burgio, mediatrice culturale a bordo della Life Support di EMERGENCY -. Alcuni riportano sulla propria pelle i segni dei trattamenti inumani e delle torture subite, molti hanno raccontato delle condizioni pessime in cui erano costretti a vivere in questi centri, vessati con costanti minacce e violenze e in condizioni igienico sanitarie praticamente assenti. Speriamo che tutti possano ricostruire il proprio percorso qui in Italia o in Europa”.

Un ragazzo del Bangladesh a bordo ha raccontato la sua esperienza: “Nel mio Paese c’è molta corruzione e mancano le opportunità di lavoro, ci sono state anche gravi inondazioni che hanno distrutto la zona da cui provengo. Per questo molti giovani decidono di lasciare il Paese, sono le stesse ragioni che mi hanno spinto ad andare in Libia. La vita lì è terribile. Dopo due mesi di lavoro sono stato arrestato per strada da alcune milizie, hanno chiamato il mio datore di lavoro e lui è riuscito a farmi liberare. Ma comunque in Libia non ero libero, la mia vita era solo lavorare, mangiare e dormire. Conoscevo i rischi del viaggio in mare per arrivare in Europa, ma come tutti speravo in una vita migliore nel Vecchio Continente”.

Ho provato ad attraversare il mare tre volte – conclude il ragazzo-. La prima volta la cosiddetta Guardia costiera libica ci ha intercettati dopo quattordici ore di navigazione e ci ha portati in prigione, dove sono rimasto per un mese. La seconda, dopo un’ora di navigazione, il motore si è rotto e gli scafisti ci hanno riportati a riva. Dopo due mesi siamo saliti su un’altra imbarcazione, ero terrorizzato, ma questa volta ci avete soccorsi. Ora vorrei trovare un lavoro e pensare al mio futuro”.

Con 1.190 tra morti e dispersi solo da inizio anno ad oggi e oltre 26 mila persone in movimento intercettate e respinte in Libia (dati OIM), il Mediterraneo centrale si conferma una delle rotte migratorie più letali al mondo.

La Life Support stessa in questa missione è stata suo malgrado testimone di due possibili intercettazioni da parte di soggetti terzi e della cosiddetta Guardia costiera libica, con respingimenti collettivi verso le coste libiche, ossia respingimenti illegali – commenta Jonathan Nanì La Terra, capomissione della Life Support . E purtroppo sappiamo da molte testimonianze di questi anni che il Mediterraneo resta protagonista non solo di migliaia di attraversamenti, ma anche di intercettazioni, di naufragi di cui si viene a conoscenza troppo tardi o addirittura di cui non si ha notizia, di casi aperti che restano per troppo tempo senza soccorso. Anche per questo è importante mettere la tutela della vita al centro di ogni decisione che riguarda questo mare e rafforzare la capacità di soccorso anche con una missione SAR europea.”

La Life Support – con un equipaggio composto da 29 persone tra cui marittimi, medici, infermieri, mediatori culturali e soccorritori – ha concluso la sua 39/a missione nel Mediterraneo centrale. Da dicembre 2022 a oggi, ha soccorso un totale di 3.234 persone.